L’Octavia è l’unica tragedia di tipo praetexta che ci sia giunta dal mondo romano. Le tragedie di Seneca, invece, sono cothurnatae, cioè con soggetto greco. Le tragedie praetextae, invece, sono di argomento latino, più che altro storico, e il nome infatti fa riferimento alla toga vestita esclusivamente dai romani. Anche l’Octavia però, è stata tramandata dai manoscritti come opera di Seneca. Dunque, come spiegarlo?
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L’antefatto storico
Partiamo dall’inizio: di cosa tratta l’Octavia? È un dramma incentrato sulla morte di Ottavia, la prima moglie di Nerone. Quando infatti l’imperatore strinse la famosa relazione con Poppea, venne ostacolato dalle due figure femminili più vicine a lui: la moglie ufficiale, Ottavia, che però in quanto sotto tutela del marito (come tutte le donne) niente poteva fare; e la madre, la celeberrima Agrippina, la quale credeva che divorziare da Ottavia, esponente della potente gens Claudia, non avrebbe certo giovato all’immagine del princeps.
Ed è proprio nel momento in cui l’imperatore si vide limitato nella sua libertà “istrionica” che diede inizio alle famosissime persecuzioni, ponendo fine al cosiddetto “quinquennio felice”. Egli infatti mise a morte tutti i suoi nemici politici: quei pochi ancora imparentati con Augusto e, ovviamente, sia Agrippina che l’innocente Ottavia. Correva l’anno 62 d.C.
La trama dell’Octavia
La tragedia è stata attribuita, come abbiamo detto, a Seneca. Egli infatti figura nel dramma come personaggio. Nerone annuncia alla madre e al suo consigliere, Seneca appunto, la decisione di ripudiare Ottavia e sposare l’amante Poppea. Il popolo di Roma, però, “coro” della tragedia, si ribella all’intenzione del princeps, e anche Seneca consiglia all’imperatore di riflettere meglio sulle sue intenzioni. Nerone, tuttavia, ha già fissato la data di nozze, e pensa bene di eliminare fisicamente il suo ostacolo più grande: la madre.
Uccisa Agrippina con uno stratagemma, Nerone esilia Ottavia a Ventotene, dove verrà assassinata. Ma, prima che si chiuda la tragedia, una persona ha ancora qualcosa da dire: appare il fantasma di Agrippina, che annuncia la morte di Nerone, vittima del medesimo destino che aveva assegnato ai suoi nemici.
Il problema dell’attribuzione
Ed è qui che incappiamo nel problema dell’attribuzione a Seneca. Per lungo tempo, infatti, la tragedia era stata letta come una sorta di autodifesa del filosofo, per ben cinque anni vicino a Nerone.
I fatti raccontati dal dramma, tuttavia, avvengono dopo la morte di Seneca, che si colloca nel 65. Solo chi aveva assistito alla morte di Nerone, avvenuta invece nel 68, poteva raccontarla inserendola nella tragedia come una premonizione della madre. La tragedia, quindi, è sicuramente assegnabile ad un ambiente vicino al filosofo, dal momento che egli è ritratto perfettamente in molti versi.
Una tragedia “politica”
Il suo valore, tuttavia, permane immutato. Oltre ad essere preziosissima in quanto unica tragedia praetexta che possediamo, l’Octavia è la chiara testimonianza di come il teatro, in epoca imperiale ma soprattutto sotto Nerone, per molti rimase l’unico stratagemma per far sentire la propria opposizione ad un principato che diventava sempre più monarchia. E’ la tradizionale classe senatoria che prende la letteratura e ne fa un momento politico: il Foro è chiuso ormai, non ci sono più oratori, non si può più fare politica liberamente, ma resta la penna, che gli esponenti della vecchia nobilitas afferrano per gridare il loro rifiuto e il loro dissenso.
Non sarà stato Seneca direttamente a comporre la tragedia, ma il messaggio che essa echeggia è tutto suo: il filosofo dovrebbe preferire la quiete al caos politico, ma non quando in ballo c’è il bene dello Stato. In quel caso, la tranquillità dell’animo deve venire in secondo piano. Anche a costo di morire.
Alessia Amante