Elettra, figlia di Agamennone e Clitennestra, sorella di Oreste, è stata protagonista indiscussa della tragedia greca. Come si sa, solo pochi drammi di Eschilo, Sofocle e Euripide sono giunti fino a noi, e quelli in cui compaiono gli stessi personaggi, così da permettere un confronto tra i tre, si contano sulle dita della mano.
Il mito degli Atridi, tuttavia, era così radicato nella cultura greca, e così pregnante da un punto di vista etico, che nessuno dei tre massimi esponenti della tragedia rinunciò ad affrontarlo. Era senza dubbio un’impresa non facile: la storia che si dipana tra Agamennone, Clitennestra, Egisto, Oreste e Elettra è un intreccio di assassinii, sangue e vendetta. È dunque chiaro che le tre personalità, tanto diverse tra loro per stile e pensiero, l’abbiano sviluppato in maniera personale e con un messaggio di volta in volta differente.
Le Coefore di Eschilo
Il primo che tentò (e riuscì perfettamente) in questa impresa titanica fu Eschilo. Egli dedicò addirittura un’intera trilogia al mito degli Atridi, l’Orestea, in modo da sviscerare la storia in tutti i suoi aspetti terrificanti. In particolar modo, la tragedia tra le tre dedicata alla figura di Elettra sono le Coefore. La figlia di Agamennone, in questo dramma, è quasi figura secondaria rispetto ai giganti Oreste e Clitennestra.
C’è da dire che Eschilo, il più “arcaico” tra i tre tragediografi, assunse il compito di educare le nuove generazioni della polis attraverso i suoi drammi, trasmettendo nei suoi versi i valori tradizionali. Ecco che dunque una donna giovane come Elettra viene dipinta alla stregua della figlia ideale: ella percepisce il dolore per la morte del padre, ucciso brutalmente da Clitennestra e Egisto, ma non può fare nulla in quanto donna.
Non le rimane altro che attendere il ritorno di Oreste, perché solo il primogenito maschio della casata può vendicare l’assassinio del padre, secondo le leggi tribali del mito. Elettra è, insomma, una vergine sottomessa, il perfetto modello della giovane donna, legata al ricordo di Oreste, l’unico affetto che le rimane.
La scena del riconoscimento tra i due fratelli è indimenticabile: Elettra nota presso la tomba del padre delle impronte di uomo, poi un ciuffo di capelli, poi le vesti cucite in cui Oreste era stato avvolto da piccolo. Non può che essere lui! La ragazza si scioglie nell’abbraccio col fratello, e i due, ritrovati, stringono sulla tomba del padre il loro giuramento di vendetta.
L’Elettra di Sofocle
Sofocle, invece, apporta una rivoluzione nel trattare il mito degli Atridi e la figura di Elettra. La tragedia di Sofocle, non a caso, prende proprio il nome di Elettra, perché stavolta è la vergine l’indiscussa protagonista. La fanciulla è descritta con toni opposti rispetto a quelli di Eschilo: ella è una principessa i cui diritti di successione sono stati violati da uno sconosciuto come Egisto, si sente una schiava rinchiusa in casa, vittima della follia della madre.
L’Elettra di Sofocle è la tragedia dell’odio puro: impossibile descrivere quanto rancore, quanto veleno, quanta rabbia la donna trattenga dentro. Elettra odia con tutta se stessa la madre, la vuole morta, e subito. È assai più impaziente rispetto al dramma precedente, non è capace di attendere Oreste, e giura solennemente che se il fratello non tornerà sarà lei stessa ad afferrare l’ascia e ad uccidere la madre.
È una donna forte, pervasa dal nero, dal desiderio di vendetta, dalla sensazione di essere sola tra i suoi peggior nemici. Impareggiabile la scena dell’assassinio di Clitennestra: non è Elettra ad afferrare l’arma e ad uccidere la madre, ma gode nel vedere il suo sangue scorrere per mano del fratello.
L’Elettra di Euripide
Euripide, infine, porta un po’ della sua novità anche in un mito così tradizionale. Elettra, nella sua omonima tragedia, diventa addirittura una contadina! Egisto, infatti, per evitare una possibile vendetta da parte dei figli di Agamennone, cerca di disfarsi di loro. Oreste è mandato via bambino, Elettra invece è data in sposa ad un contadino, che tuttavia non la tocca riconoscendo in lei una principessa di rango superiore, indegna di stare con lui.
Elettra, non più rinchiusa nel palazzo, ma addirittura al di fuori della civiltà, aspetta disperata il ritorno di Oreste. Il riconoscimento tra i due, tra l’altro, è la palese parodia delle Coefore di Eschilo: il pedagogo cerca di indurre in Elettra il sospetto che il fratello possa essere stato presso la tomba del padre, ma la fanciulla risponde che non si può riconoscere con certezza una persona da un’orma o un ciuffo di capelli! I due fratelli, tuttavia, poco dopo si ritrovano, ed escogitano il piano di vendetta. Oreste ucciderà Egisto, mentre ad Elettra tocca il compito di distrarre la madre.
A differenza della precedente tragedia, dunque, la figlia di Agamennone è direttamente responsabile della morte di Clitennestra. Elettra, infatti, finge di star partorendo, e chiama la madre in soccorso. A questo punto Clitennestra entra in scena, e non è assolutamente la donna crudele che la figlia aveva descritto per tutto il dramma. Ella è sinceramente preoccupata per lo stato di Elettra, ma viene ingannata dai suoi stessi figli, e uccisa a tradimento.
Ecco dunque come un personaggio del mito può essere guardato da più prospettive, a seconda dell’epoca che produce quel mito stesso: legge tribale e vendetta per Eschilo, forza del destino per Sofocle, thumòs e impulso umano per Euripide.
L’uomo è uno solo, le persone dentro di lui possono essere cento e mille. È forse questo il messaggio più profondo della tragedia greca.
Alessia Amante