Vediamo il mito di Orfeo ed Euridice in due sovrapponibili rivisitazioni di Italo Calvino: le cosmicomiche e l’altra Euridice.
Il mito greco di Orfeo ed Euridice rappresenta una delle prime narrazione della storia in cui la passione amorosa che cerca di andare oltre la morte. Orfeo, figlio della musa Calliope e di Eagro re di Tracia, è considerato il cantore per eccellenza, musico e poeta. Il suo della sua cetra era così dolce da riuscire a fermare il corso dei fiumi, ammansire le fiere e trascinare dietro a sé persino pietre e piante.
La parte più famosa del mito è la discesa di Orfeo negli inferi per amore della propria sposa, la ninfa Euridice, morta a causa del morso di un serpente. Dopo essersi aggraziato, col suono del suo strumento, gli dei dell’inferno Plutone e Proserpina (Ade e Persefone nella mitologia greca), egli ottiene il permesso di recarsi nell’Oltretomba a riprendere Euridice, a patto però di non voltarsi mai a guardarla prima di aver lasciato il regno dei morti. Orfeo non resiste alla tentazione e, voltatosi, provoca la seconda, definitiva morte della moglie.
“quando un’improvvisa follia prese l’amante incauto;
perdonabile, se potessero perdonare gli dei di sotterra:
sulla soglia ormai della luce immemore, vinto nell’animo,
si fermò e si volse a guardare la sua Euridice e perdette
tutte le sue fatiche, fu rotto il patto del crudele tiranno
e tre volte si udì un fragore per gli stagni d’Averno.
‘Quale enorme follia ha distrutto me infelice
e te, Orfeo? Di nuovo mi chiamano indietro
i fati crudeli e il sonno spegne i miei occhi offuscati.
Addio: mi circonda e mi inghiotte una notte infinita
mentre non più tua, a te tendo invano le mani.” (Georgiche)
Sulla sorte di Orfeo esistono varie tradizioni: secondo quella più divulgata, egli rifiutatosi di unirsi a altre donne viene ucciso dalle Menadi (o Baccanti, sacerdotesse del dio Bacco, Dioniso nella mitologia greca), che, gelose del suo attaccamento ad Euridice ed offese quando lui le evita, lo smembrano.
Dopo aver straziato il suo corpo, le Menadi lo gettano nel fiume Ebro; la testa e le labbra del poeta giungono nell’isola di Lesbo, dove gli abitanti erigono una tomba (per questo l’isola fu riconosciuta per eccellenza la terra della lirica). Le più celebri versioni letterarie del mito di Orfeo ed Euridice sono quelle, composte in età classica (I sec. a.C.), di Ovidio nelle Metamorfosi e di Virgilio nelle Georgiche.
Il mito invertito di Italo Calvino
Il cielo di pietra
La vicenda de “Il cielo di pietra” di Italo Calvino, racconto del 1968 tratto dalla raccolta “La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche”, è una rivisitazione del mito di Orfeo ed Euridice in senso rovesciato.
Nella cosmicomica di Calvino i personaggi Orfeo-Rdix-Qfwfq rimandano alla triade Orfeo-Euridice-Plutone, solo che qui è presente la separazione tra il cantore e il narratore, prigioniero volontario del sottosuolo dove vive da solo: attraverso una prolessi Qfwfq anticipa ciò che avverrà in seguito, informandoci della sua attuale solitudine. Il fuori viene descritto in termini negativi.
“Vi fate chiamare terrestri, non si sa con che diritto: perché il vero nome vostro sarebbe extraterrestri, gente che sta fuori: terrestre è chi vive dentro, come me e come Rdix, fino al giorno in cui me l’avete portata via, ingannandola, in quel vostro fuori desolato”
In questo racconto Qfwfq si trova al centro della terra e descrive il paesaggio stratificato e cangiante che lo circonda e lo sovrasta, contrapponendolo alla dimensione piatta degli “extraterrestri” che vivono sulla crosta. Quello che preme a narratore è di raccontare di Rdix, la cellula-donna da lui amata che è stata strappata dal centro della terra e trasportata in superficie da un ignoto cantore.
Qfwfq vuole assolutamente liberarla e approfitta dell’eruzione vulcanica del Vesuvio per portarsi sulla crosta terrestre ma non riesce a rintracciare l’amata perché il frastuono del mondo esterno copre il suo canto. Il narratore torna a sprofondarsi nel centro della terra e da lì supplica i suoi ascoltatori extraterrestri di dargli notizie di Rdix in modo che possa provare di nuovo a trarla in salvo.
L’autore ricorre al mito e lo modifica per esprimere il proprio ideale amoroso: Qfwfq avrebbe voluto giungere al nucleo della terra insieme a Rdix e da lì irradiare la loro “condizione a tutto il globo”. Il legame che li unisce sarebbe dunque basato sul perseguimento della dimensione più interiore dell’amore per proiettarne all’esterno la bellezza. Calvino fa del cantore una figura che incarna il contrasto tra l’attrazione per il mondo esterno e la sua contemporanea repulsione, il terrore della vera e propria contaminazione che la nostra civiltà contraddittoria opera nei confronti di tutti noi.
L’altra Euridice
Nel 1980 Calvino scrisse “L’altra Euridice”, una “cosmicomica trasformata” che riassorbe in sé gran parte del testo de “Il cielo di pietra”. In particolare,“L’altra Euridice” uscì su una rivista nel settembre-ottobre 1980, come riscrittura sia del mito di Orfeo ed Euridice sia del precedente racconto dello stesso autore, solo che qui usa i nomi del mito classico.
Nella rivisitazione del mito da parte di Calvino ne l’altra Euridice sussiste la stessa serie di capovolgimenti del racconto precedente rispetto ai rapporti originali del mito classico, tra i quali il più notevole deriva dal considerare il mondo all’interno della Terra, in cui abitano Plutone e la sua compagna Euridice, il vero mondo terrestre, ricco di fantastici paesaggi nati da fantasmagorici rapporti tra elementi.
Esso è ben diverso dalla classica immagine degli Inferi, e soprattutto ben più confortevole rispetto al mondo della superficie, il vero inferno, oppresso dall’insopportabile valanga del rumore.
“le antenne inalberate sui tetti a trasformare in suono le onde che percorrono invisibili e inudibili lo spazio, coi transistor appiccicati agli orecchi per riempirli in ogni istante della colla acustica senza la quale non sapete se siete vivi o morti…”
Anche il canto di Orfeo, che il mito definisce come la più alta manifestazione di poesia, capace di creare emozioni anche negli esseri inanimati, o di commuovere gli dei infernali, viene definito da Plutone come una melodia distraente, che sottrae la sua compagna, Euridice, alla ricerca dell’autentica vita all’interno della scorza del pianeta, verso il suo nucleo, al centro della Terra.
Il racconto de l’altra Euridice è narrato in prima persona da Plutone, il re degli Inferi della mitologia romana, il quale originariamente vive con Euridice, la sua compagna nel mondo incantato della Terra vista dall’interno. Plutone assume il ruolo di un Orfeo capovolto: è il compagno della curiosa Euridice, e vive all’inizio con lei in un mondo dominato dalle armonie dei metalli che costituiscono l’interno della Terra.
“La Terra, dentro, non è compatta: è discontinua, fatta di bucce sovrapposte di densità diverse, fin giù al nucleo di ferro e nichel, che è pur esso un sistema di nuclei uno dentro l’altro…”
Se, nel racconto originario di Orfeo ed Euridice, è Orfeo che perde la sua amata, morsa da un serpe mentre sfugge il pastore Aristeo tra i campi della Tracia, ne l’altra Euridice, al contrario, è Plutone che perde la donna, attratta verso la superficie della Terra da musiche menzognere, la poesia di Orfeo.
Nel mito classico, Euridice, morendo per il morso venefico del serpe, precipita agli Inferi; nella rivisitazione di Calvino, invece, il movimento è invertito: Euridice non precipita, ma sale in superficie. Orfeo, il mitico cantore di cetra, otterrà il permesso dagli dei degli Inferi di riprendersi la sua Euridice; per fare questo dovrà egli stesso discendere negli Inferi e, fallito il suo tentativo, resterà solo nel suo dolore inconsolabile.
Al contrario, Plutone risalirà sfruttando un’eruzione vulcanica, nel tentativo, anche questo fallito, di riprendersi la sua Euridice, e di realizzare con lei il suo progetto: scendere fino al centro della Terra per darle vita.
“Mi ritirai, muovendomi a ritroso nella colata di lava, risalii le pendici del vulcano, tornai ad abitare il silenzio, a seppellirmi. Ora, voi che vivete fuori, ditemi, se per caso vi accada di cogliere nella fitta pasta di suoni che vi circonda il canto di Euridice, il canto che la tiene prigioniera ed è a sua volta prigioniero del non-canto che massacra tutti i canti, se riuscite a riconoscere la voce di Euridice in cui risuona ancora l’eco lontana della musica silenziosa degli elementi, ditemelo, datemi notizie di lei, voi extraterrestri, voi provvisoriamente vincitori, perché io possa riprendere i miei piani per riportare Euridice al centro della vita terrestre, per ristabilire il regno degli dei del dentro, degli dei che abitano lo spessore denso delle cose, ora che gli dei del fuori e dell’aria rarefatta vi hanno dato tutto quello che potevano dare, ed è chiaro che non basta.”
Nel capovolgimento del mito attuato da Calvino ne l’altra Euridice, la critica ha voluto cogliere una serie innumerevole di richiami simbolici, che vanno dal contrasto tra i silenzi o le armoniose musiche del “dentro” e il rumore che annulla e svilisce tutti i suoni del “fuori”. Lo scrittore, secondo alcuni studiosi, vorrebbe alludere alla società contemporanea, oppressa dal suo carattere dispersivo, che nega qualsiasi riflessione, a vantaggio di una frenesia rumorosa.
La visione di Plutone appagato del suo esser “dentro” la Terra, nella dimensione autentica della vita, è allegoria del rapporto dello stesso Calvino con il mondo e del suo progressivo isolamento dalla realtà esterna per appagarsi del solo “mondo scritto”.
Maurizio Marchese
Fonti:
Italo Calvino, Tutte le Cosmicomiche, Mondadori, Milano, 1997
Romanzi e Racconti, II, III, Mondadori, Milano, 1992