Bronte: l’ambiguità del processo risorgimentale italiano

Le zone oscure della storia passata

Nessun film sul Risorgimento Italiano ha descritto l’impresa garibaldina in modo così dissacrante quanto Bronte. Il titolo completo del film, diretto da Florestano Vancini, è Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato.  La chiave di lettura della pellicola è, quindi, resa manifesta fin da subito. Con il suo gruppo di sceneggiatori, tra cui Leonardo Sciascia, Vancini ha ricercato il classico “scheletro nell’armadio” dell’impresa dei Mille.

Tale prassi non è nuova per il regista ferrarese. Dal suo esordio del 1960 con La lunga notte del ’43, tratto dal racconto di Giorgio Bassani, Vancini mostra un’essenziale volontà di sollevare il tappeto della storia ufficiale e celebrativa, per esplorare zone della società passata e presente rimaste in ombra. Nell’opera del ’60 vengono mostrate le rappresaglie e la guerra civile nella repubblica di Salò, la continuità dell’esercizio del potere nel passaggio tra fascismo e antifascismo e, soprattutto, la “zona grigia”, coloro che sono rimasti a guardare, senza assumersi responsabilità.

In Bronte ritroviamo lo stesso approccio all’analisi storica che traspare dal film d’esordio.

La fase di preparazione di Bronte

La vicenda della città di Bronte, avvenuta durante il 1860, anno della conquista della Sicilia da parte dell’esercito garibaldino, è stata praticamente sconosciuta fino all’uscita del film di Vancini.

Il regista fu incuriosito da una particolare novella di Giovanni Verga, intitolata Libertà. A differenza di altri scritti dello scrittore catanese, questo era alquanto impreciso per quanto riguardava i luoghi, la topografia e le notizie. Vi si parlava di un paese siciliano, in cui i contadini si sarebbero scagliati contro i proprietari, spinti dall’avvento di Garibaldi e dalla promessa, appunto, della libertà.

Incuriosito da questa novella, Vancini si recò in Sicilia e riuscì a scoprire la storia di Bronte, grazie ad alcuni volumi ritrovati in biblioteca che riportavano un diario di quei giorni. Inoltre, riuscì a leggere gli atti giudiziari del processo avvenuto tre anni dopo al Comune di Catania. Collegò, così, la novella di Verga a tale vicenda, in quanto in Libertà si parla proprio di un processo che si celebra a Catania, al quale, probabilmente, lo scrittore siciliano aveva assistito.

Bronte: le varie facce della libertà

Nel 1860, dopo la presa di Palermo, Garibaldi, promulgò una serie di editti che convinsero i contadini a combattere a favore dell’esercito risorgimentale.

Le motivazioni principali addotte dall’eroe “dei due mondi” erano: la redistribuzione delle terre e il riconoscimento dei diritti di libertà.

Il film di Vancini è ambientato poco dopo questi avvenimenti storici. L’incipit è immediatamente violentissimo. Un contadino sta raccogliendo della legna col figlio, ma viene preso a frustate dal latifondista. La sopraffazione dei proprietari sui contadini schiavizzati, costretti ad una sofferenza secolare, ci viene immediatamente  mostrata dal regista. È la lente prospettica da cui osservare l’intero episodio.

Le notizie dell’arrivo di Garibaldi e dei suoi editti, rinfranca le speranze dei contadini di Bronte, che cominciano pacificamente a manifestare il proprio appoggio all’esercito garibaldino e a cantare serenate contro i padroni. La carcerazione di alcuni di loro diventa la scintilla della rivolta. La rabbia secolare repressa si trasforma in follia omicida che porta alla strage dei proprietari.

Questa conduce a sua volta ad una seconda strage: quella dei “responsabili” della prima. L’arrivo dell’esercito garibaldino, nella persona del generale Nino Bixio ci accompagna ad un epilogo non meno spietato. I cinque condannati alla pena capitale vengono accompagnati lentamente al patibolo e fucilati. Il dramma è accentuato dall’esecuzione sommaria del pazzo del paese, avvenuta dopo la grazia da parte dei fucilieri.

Gli “eroi” risorgimentali vengono così, non solo ridimensionati, ma essenzialmente descritti come incapaci di affrontare la difficile situazione sociale siciliana. Tale incapacità, insieme all’interesse di non dispiacere all’Inghilterra che aveva possedimenti nell’isola e aveva appoggiato l’impresa garibaldina, ci mostrano l’ambiguità del processo di liberazione.

Tale ambiguità la ritroviamo nel significato stesso della parola “libertà” che dà il titolo alla novella di Verga ed è protagonista di una scena cruciale. In essa, l’avvocato Lombardo, liberale che aveva appoggiato la rivoluzione con mezzi pacifici, dialoga con un ufficiale garibaldino.

LOMBARDO: In fondo noi siciliani e voialtri abbiamo sempre detto la stessa cosa, ma intendendo due cose diverse. Italia, sì, la libertà d’Italia, e per questo abbiamo combattuto, patito il carcere, fatto la rivoluzione. Ma il popolo siciliano pensava a un’altra libertà…

CANTONI: La libertà è sempre la stessa, dappertutto.

LOMBARDO: No. Quando i siciliani gridano libertà vogliono dire pane… Voi dite: ti portiamo la libertà e il contadino siciliano intende la giustizia, che sia venuto il momento di farsi giustizia. Un atto di annessione è bastato a unire la Lombardia al Piemonte. Qui forse non basta… occorre una rivoluzione, con teste che cadono, con registri catastali che bruciano.

bronte

Da tutta la pellicola traspare, in conclusione, la nuova prospettiva di un processo storico come la conquista garibaldina della Sicilia. Essa avrebbe dovuto affermare principi liberali e antiborbonici, ma divenne solamente la sostituzione di un monarca con un altro che usava gli stessi metodi del primo.

Giuseppe Mele