Una casa di bambola, con Marina Rocco e Filippo Timi
Sul termine del diciannovesimo secolo, in Europa fermentava il principio del movimento femminista. Henrik Ibsen, per la storia del teatro e della letteratura, contribuì con un certo fervore ad alimentare la fiamma del suddetto movimento, pubblicando la sua Casa di bambola.
Lo spettacolo, in parte riadattato da Andrée Ruth Shammah, che ne cura anche la regia, è in scena al teatro Bellini di Napoli dal 21 al 26 febbraio 2017.
Per “riadattamento”, in questo particolare caso come non mai, ci si riferisce alla “rivalutazione delle chiavi di lettura”. Non è semplice intendere quanto non è difficile fraintendere; centrare o sviare le precise intenzioni di un drammaturgo è una questione tutta relativa, e complicata da definire.
Ibsen scriveva Casa di bambola nel 1879, cercando di puntare il riflettore sulla abissale differenza che la società applicava fra le “leggi dell’uomo” e le “leggi della donna”; leggi che vedevano quest’ultima passare da un’autorità all’altra sempre adempiendo a delle mansioni precise, comportandosi come ci si aspettava che facesse, senza riuscire mai, in tutta questa farsa di ruoli precostituiti, a scegliere qualcuna delle sue battute, o meglio, quasi mai. Questo preambolo non per vittimizzare la figura della matriarca o per demonizzare quella del capofamiglia: lo stesso esserino cinguettante di Nora, la sua personalità vezzosa ed estrosa, per quanto biasimabile per una certa linea di pensiero, ne palesa una serenità nello stato d’animo iniziale, testimone del fatto che la messa in luce di alcuni aspetti non vuole essere una totale denuncia per tutto l’assetto della vicenda, ma un consequenziale trasalire di avvenimenti che portano ad una presa di coscienza finale. Nora è un personaggio in evoluzione, e va valutata in tutte le sue fasi senza partire da uno spirito di di critica nei confronti della “moglie” o del “marito”; ma è nel complesso che si compone l’opera.
Ed è nel complesso che emerge una struttura calcificata per entrambi i sessi, una struttura che tiene poco conto delle volontà intimamente personali del singolo, in questo caso soprattutto di quelle di Nora, volontà che erroneamente si pensa si fondano alle responsabilità che si accostano ai ruoli sociali: figlia obbediente … moglie accondiscendente … madre devota. Lo scrittore norvegese gioca su questo fattore, immaginando che ruoli e mansioni si confondano attraverso una lunga trafila di eventi ed inconvenienti, situazioni e malintesi, vendette e rese dei conti, lasciando che la personalità di Nora prenda corpo sempre più imponentemente ed esca allo scoperto.
Eppure, un personaggio così tanto complesso, nell’immaginario comune, per anni è stato semplificato in maniera banale: la lodoletta, la bambolina, la bomboniera di una elegante casa di bambola; che però, se tale davvero fosse stata immaginata dall’autore, nessuna delle vicende si sarebbe sviluppata, dipendendo quasi tutte dalle sue scelte e decisioni.
Ed eccola; la nuova chiave di lettura proposta da Shammah: sottolineare la più pura natura di Nora, che non è la bambola di una casa di bambola, ma per molti aspetti, è il burattinaio, che in sordina ed insospettato tira le fila delle bambole che si muovono nella sua casa di bambola, perdendo però a volte il controllo del gioco.
Se Ibsen riuscì a porre l’attenzione del Nord Europa su quell’ideale contrasto di idee e di ruoli sociali e su quel disinteresse verso le personalità che si celavano al di sotto di quei ruoli sociali, Andrèe Routh Shammah è riuscita ad esaltare il personaggio di Nora Helmer (Marina Rocco) rivendicandone l’autonomia.
Merita due righe a parte il camaleontico Filippo Timi, che si è giostrato funambolicamente da un angolo all’altro della “commedia tragica”, come la definisce Torvald (uno dei ruoli che ha calzato alla perfezione), alla fine del primo atto. Timi è passato per i panni di tre personaggi differenti, caratterizzandoli nel dettaglio in maniera così disuguale fra loro da faticare a riconoscervi lo stesso interprete. Entusiasmante la forza espressiva e la presenza scenica con le quali ha mantenuto il palco per due ore e mezza, insieme al resto del cast.
Non per forza vincente la scelta di rompere la quarta parete, tramite l’entrata e l’uscita dalla scena di Nora attraverso il pubblico, e con i frequenti riferimenti dei vari personaggi che interloquivano apertamente con la platea.
Efficace, invece, l’effetto fortemente suggestivo dell’impianto luci, adatto a ricreare le condizioni dei differenti cambi situazionali.
Letizia Laezza
Una casa di bambola- teatro bellini- (sito ufficiale)