Il signore delle mosche: il best seller di William Golding

All’indomani di un conflitto mondiale, un aereo precipita su un’imprecisata isola deserta dell’oceano Pacifico. Un gruppo di bambini, di età compresa tra i sei e i dodici anni, si ritrova dinanzi all’immane responsabilità di imparare a cavarsela da soli, emulando le sane regole di civiltà e democrazia del “mondo dei grandi”, le quali si incarnano nel richiamo della conchiglia e nella figura di Ralph, leader eletto dal gruppo, affiancato da Piggy, goffo e grasso e, per questo, oggetto di derisione. La leadership democratica di Ralph sembra assicurare un clima di convivenza civile e di rispetto. Tuttavia, è destinato a prendere una tragica piega. “Il Signore delle Mosche”, capolavoro del premio Nobel per la letteratura nel 1983 William Golding, intraprende una strada ben diversa.

Regime totalitario.. 

Nel gruppo iniziano ad emergere comportamenti asociali, antidemocratici e paure irrazionali che alimenteranno il regime totalitario di Jack, capo dei coristi, antagonista per eccellenza di Ralph. Sull’isola aleggia il terrore per la presenza di una presunta bestia che è la personificazione del male. La paura sempre più irrazionale causerà scissioni marcate all’interno del gruppo: da un lato, i coristi capeggiati da Jack, un moderno bullo prepotente ed egoista; dall’altro Ralph, carismatico e leale. La caccia, occupazione principale del gruppo di Jack, persuaderà e affascinerà la maggior parte dei bambini portandoli ad allearsi con lui, garantendo loro sicurezza e cibo.

..e branco omicida

Il “branco” di Jack è colto da un istinto omicida, il piacere che ne deriva viene definito con una straordinaria espressività dall’autore nei termini di “orgasmo collettivo”. Con queste parole descrive l’accecamento raccapricciante dei sensi durante il momento della caccia accompagnata da cantilene e danze tribali. Dipinti in volto e armati di bastoni aguzzi, non sono più bambini ma selvaggi e ben presto tale istinto omicida si estenderà a macchia d’olio con risvolti devastanti. I selvaggi offrono come “dono” alla bestia, in segno di rispetto, il capo mozzato di una maiale infilzato su un bastone. Egli è il  Signore delle mosche (epiteto fenicio del dio Belzebù).

«Che idea pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere!- disse la testa di maiale. Per un po’ la foresta e tutti gli altri posti che si potevano appena vedere risuonarono della parodia di una risata. “Lo sapevi no? Che io sono una parte di te?».

Queste parole, proferite dal Signore delle Mosche in un allucinatorio colloquio con Simone, quest’ultimo  affetto da epilessia, riassumono il clima di crudeltà di cui si è macchiata l’isola. Simone scoprirà la vera identità della bestia, ma non potrà comunicarlo agli altri perché sarà ucciso dal gruppo intento a intrattenere una danza tribale sulla spiaggia. La stessa sorte toccherà a Piggy , quando ormai il gruppo di Jack, persa totalmente la ragione, si trasforma in un branco omicida. Ralph, rimasto solo, diventa l’ultima preda della caccia.

L’amaro epilogo

L’epilogo del romanzo è la sfrenata corsa di Ralph, in fuga dalla morte, attraverso tutta l’isola in fiamme; il gruppo di Jack ha appiccato il fuoco ovunque. L’isola ha ormai perso il suo fascino e si è trasformata in un inferno di cui Ralph è prigioniero e da cui non può fuggire. La salvezza arriverà dal mare. Un gruppo della marina militare giungerà a riva dove terminerà la corsa di Ralph che, stremato, cadrà a terra dinanzi al capitano della marina; dietro di lui arriva il gruppo di Jack  che alla vista dell’uomo scoppia in un pianto. I bambini piangono per la fine dell’innocenza.

Il pessimismo di Golding

Golding

Golding descrive con pathòs e crudezza gli aspetti reconditi dell’essere umano, il quale, abbandonato a se stesso, sviluppa rapidamente un’indole maligna che lo conduce ad uno stato primitivo e selvaggio. L’autore ricorre alla figura del bambino, da sempre simbolo di ingenuità e innocenza. Lo stupore del lettore è garantito: il pianto liberatorio al termine del romanzo rappresenta il “ritorno” ad uno stato infantile che di fatto non può più essere tale. L’innocenza è perduta e la crudezza del cuore umano li ha sopraffatti, la salvezza conclusiva è artificiale. L’immagine pessimista di Golding è estremamente radicale e non lascia spiragli di speranza e consolazione.

La debolezza umana è il vero male

Sulla scia del modello del grande pensatore Thomas Hobbes, l’autore scava nel fondo dell’uomo e nella sua natura. La riflessione che segue la lettura del celebre capolavoro di Golding apre le porte a molteplici interpretazioni. La sua posizione non è univoca. Il tema del “male” è oggetto di discussione dai tempi più antichi ma la sua concezione dell’uomo emersa nella vicenda del romanzo è tra le più intense e coinvolgenti. William Golding riassume la sua posizione con queste parole: «L’uomo produce il male come le api producono il miele»

Valentina Grasso