Nel 1939 Thomas Mann pubblica un articolo dal titolo “Fratello Hitler” in cui non mancano le sue considerazioni sull’ascesa del dittatore tedesco.
Indice dell'articolo
Fratello Hitler
Nel marzo del 1938 Thomas Mann concepisce l’idea di un testo dal titolo Tagebuchblätter per la rivista americana Cosmopolitan in cui trattare “il fenomeno Hitler”. Dopo essersi reso conto che il tema era forse troppo complesso e difficile per quel tipo di giornale, ripropone l’argomento in un nuovo articolo, intitolato Der Bruder, destinato al suo ultimo scritto, Attenzione, Europa!.
Ci troviamo nel 1938, un anno cruciale per la storia europea e mondiale; in Svezia a numerosi editori viene consigliato di non pubblicare nulla che possa compromettere ancora di più i rapporti politici con la Germania. L’editore di Mann, dunque, cerca di convincere l’autore tedesco a pubblicare la sua raccolta di saggi senza Der Bruder.
Nonostante le insistenze e i tentativi di persuasione, dopo la tragica notte dei cristalli, Mann sarà costretto a cedere. L’articolo, dal titolo definitivo Bruder Hitler, fratello Hitler, sarà pubblicato nel marzo del 1939 in Das Neue Tage-Buch.
Il fascino della figura di Hitler secondo Mann
Un fratello… un fratello un po’ sgradevole e di cui vergognarsi; uno che dà sui nervi, un parente piuttosto scomodo.
Nonostante l’orrore per le tante vittime che la follia del fratello Hitler ha causato, «il fenomeno della sua esistenza» esercita sui tedeschi e gli europei un certo fascino. Ciò, osserva Mann, è dovuto «a una catena di circostanze straordinariamente felici – ovvero infelici (…)», ossia alla fortuna di aver collezionato, una dopo l’altra, «una vittoria sul nulla (…) senza incontrare la minima resistenza».
Per poter fronteggiare i momenti carichi di ostilità e disprezzo, Mann si aggrappa a quelle ore, definite «più felici, più adeguate», in cui il bisogno di libertà, di libera opinione e di ironia “riporta la vittoria sull’odio”.
Quel tipo è una catastrofe; ma ciò non ci impedisce di trovarne interessante il carattere e il destino.
Le “particolarità” del fratello Hitler, ossia risentimento, sete di vendetta, incapacità a svolgere qualsiasi lavoro, compreso quello dell’artista (qui non manca l’allusione agli anni in cui il dittatore, disoccupato e senza fissa dimora, cercò invano di essere ammesso alla prestigiosa Accademia di Belle Arti di Vienna), si legano al senso d’inferiorità, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, del popolo tedesco.
Quest’ultimo, messo in ginocchio dalle pesanti sanzioni postbelliche, non riesce a ritrovare quella che Mann definisce «la giusta via» e ha come unico obiettivo quello di restaurare il proprio onore. Dunque, su cosa ha puntato Hitler per avere così tanto successo in Germania? Sulla sua eloquenza, scrive Mann,
uno strumento (…) che gli permette di frugare nelle ferite del popolo, di toccarlo con la profezia della sua grandezza offesa, di stordirlo con le promesse facendo della sofferenza nazionale il veicolo della propria grandezza.
L’efficacia dialettica di Hitler, osserva l’autore, non esercita il suo potere solo in Germania, ma anche in tutta Europa. Proprio per questa sua particolare caratteristica, non si può fare a meno di nutrire per questa figura «una certa disperata ammirazione».
L’eroe della “bella addormentata” Germania
L’analisi condotta da Mann – a tratti ironica, dal momento che il sarcasmo rimane l’unico strumento per combattere quell’odio che lo pervade al solo pensiero di Hitler – non si ferma. Nella figura del dittatore, per l’autore, è possibile rintracciare degli elementi fiabeschi: più volte, infatti, il dittatore tedesco è stato presentato come l’eroe che libera dall’incantesimo la “bella addormentata” Germania e la salva dalla minaccia dell’ “ebreo tra le spine” (anche qui il riferimento alla fiaba dei fratelli Grimm, Der Jude im Dorn, è evidente). Non solo: in «quest’uomo incapace, inetto, dieci volte fallito» si possono riconoscere tutti quei caratteri tipici dell’artista: dalla rabbia contro il mondo all’istinto rivoluzionario e di sopraffazione, dal desiderio di rivalsa al
sogno di vedere, ai piedi di colui che un tempo era stato disprezzato, un mondo che muore di paura, d’amore, di meraviglia e di vergogna…
Un fratello “geniale” che domina il mondo
Hitler diventa per Mann un fratello di cui non andare particolarmente fiero: egli ha condotto la Germania e l’Europa a un vero e proprio processo di primitizzazione. Questa primitività viene presentata come una nuova Weltanschauung (visione del mondo) da cui l’artista, l’«ironico partigiano», si allontana: egli non è in grado di partecipare a quella danza, vista in un film, sacra per gli abitanti di Bali e che termina con terribili e spaventose convulsioni, molto simili, afferma Mann, a un’adunanza politica in Europa. L’unica differenza «passa tra l’esotico e il disgustoso». Una persona come Hitler, scrive l’autore, non può non provare odio «di fronte allo spirito e alla conoscenza», quindi per colui che il dittatore tedesco considera tra i suoi più pericolosi nemici: Freud, «il grande disincantatore, che capiva e spiegava persino il “genio”». Hitler, dunque, per questa sua follia unita a un’insana riflessione, può essere considerato un genio. La genialità
si manifesta nei più disparati livelli spirituali e umani, anche nei più bassi, presentando caratteristiche e producendo effetti che giustificano la comune definizione.
Che fare, dunque, di fronte alla minaccia costituita da tale “genialità”? Secondo Mann, «dobbiamo rassegnarci al nostro destino storico che ci impone di vivere il genio a questo livello delle sue possibilità di rivelazione».
Pia C. Lombardi
Bibliografia
T. Mann, Fratello Hitler e altri scritti sulla questione ebraica, Milano, Oscar Mondadori, 2005.