Il cinema di propaganda nazista ha caratteristiche molto simili a quelle del cinema fascista: spesso si prediligono film privi di espliciti messaggi politici e di alta qualità tecnico-formale. Ovviamente, si devono escludere i cinegiornali e alcune opere di finzione esplicitamente di propaganda come il famoso Süss, l’ebreo del 1940 (in tedesco Jud Süß).
Süss, l’ebreo è diretto da Veit Harlan il quale, nel corso degli anni Trenta realizza diversi film antisemiti e viene scelto, nel 1937, da Joseph Goebbels come uno dei suoi registi di propaganda preferiti.
Per il soggetto del film Harlan prende spunto dalla storia di Joseph Süß Oppenheimer (Heidelberg, 1698 – Stoccarda, 1738), un finanziare di origine ebraica che ha fatto da consulente al duca Carlo I Alessandro di Württemberg e che, dopo la morte del duca, ha grossi problemi legali per i quali viene processato e impiccato.
Süss, nella versione di Veit Harlan, rappresenta lo stereotipo ebreo della propaganda nazista ed è proprio attraverso questa rappresentazione che l’antisemitismo viene giustificato (senza dimenticare che questo film ha avuto la supervisione proprio di Joseph Goebbels).
In Italia viene proiettato in anteprima alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1940 e riesce a riscuotere il successo sperato sia in Germania che all’estero.
In Germania, come in Italia, non si può nettamente distinguere tra cinema di propaganda e quello di intrattenimento proprio perché lo spettacolo leggero è funzionale alla «rimozione dei problemi sociali dalla coscienza degli spettatori»[1] la quale è proprio una delle basi su cui si costruisce la propaganda nazista.
I mezzi della propaganda nazista
Ciò di cui soffre il cinema tedesco del periodo nazista è la grande fuga verso Hollywood che, in realtà, è cominciata già prima del 1933 per ragioni specificatamente economiche: la Germania del primo dopoguerra è moralmente ed economicamente distrutta, se da un lato ciò ha dato voce e respiro alla nascita di movimenti artistici straordinari come l’Espressionismo, non si può negare che la situazione è stata via via sempre più difficile. Il cinema è anche un’arte industriale e nei processi evolutivi che la coinvolgono non bisogna sottovalutare la questione economica[2].
Al fine di sottomettere la produzione cinematografica agli obiettivi della propaganda nazista viene fondata una scuola professionale gestita dallo Stato per produttori cinematografici “politicamente fidati”: la Deutsche Filmakademie Babelsberg, che è stata poi resa praticamente obbligatoria a tutti coloro che avevano intenzione di intraprendere la carriera cinematografica in Germania.
Viene inoltre inasprita la censura (che ha avuto un ruolo principale già con la Prima guerra mondiale e durante la fallimentare Repubblica di Weimar) e viene istituita anche una banca cinematografica, la Filmkreditbank GmbH, che ha lo scopo di fornire prestiti alla produzione di pellicole aderenti alla politica nazista.
Nonostante questi accorgimenti, a metà degli anni Trenta, l’industria cinematografica tedesca affronta una grave crisi; un po’ per la fuga degli autori e degli attori all’ascesa del partito nazista e un po’ perché quelli rimasti aumentarono a dismisura il salario e, conseguentemente, diviene sempre più complesso coprire i costi di produzione.
Ciò però non necessariamente si traduce in una diminuzione drastica dei film prodotti: in realtà le case di produzione rimaste sono state proficue e il controllo da parte dello stato diviene sempre più capillare e estremamente facilitato.
Goebbels si interessa in prima persona della produzione cinematografica nazista e propone (non con poche contraddizioni) a Fritz Lang di diventare il “regista ufficiale” del Terzo Reich.
Dopo la rocambolesca e repentina fuga di quest’ultimo (lascia in Germania anche la moglie Thea von Harbou, coautrice di Metropolis, perché iscritta al partito nazista) la colonna del cinema tedesco di quegli anni è stata senza dubbio la documentarista Leni Riefenstahl.
La Riefenstahl, di cui qui si fa solo un piccolo accenno che rimanda a un futuro e necessario approfondimento, è la più importante autrice del cinema di propaganda nazista.
È celebre soprattutto per aver firmato documentari che esaltano il regime nazista e alcune opere dedicate alle culture tradizionali africane e alla biologia marina.
Ha avuto una profonda amicizia con Adolf Hitler, con il quale ha condiviso l’esaltazione dell’estetica nazista che le ha dato la possibilità di sviluppare una notevole capacità espressiva spiccatamente visiva.
Ed è proprio per questo che la dimensione artistica che la vede come protagonista non può essere ridotta solo alla politica e alla propaganda: la Riefenstahl ha avuto una spiccata personalità anticonformista che difficilmente può essere paragonata al modello femminile nazista (è anche per questo che ha delle inconciliabili “difficoltà” con Goebbels).
Cira Pinto
Bibliografia principale:
P. Bertetto, Introduzione alla storia del cinema.
[1] P. Bertetto, Introduzione alla storia del cinema, p. 154.
[2] Non a caso si potrebbe approfondire tale tematica partendo proprio dalle considerazioni fatte da Deleuze nelle primissime pagine di Immagine-movimento; nelle quali paragona la storia del cinema a un lungo martirologio proprio perché davvero pochi autori sono riusciti a esprimere a pieno i loro intenti (sia per questioni economiche ma anche e soprattutto a causa di questioni politiche e di una feroce censura).