Il libro di Imperatore diventa spettacolo: “Io so e ho le prove”
Ieri, sabato 18 marzo, presso il teatro “don Peppe Diana” di Portici, ha preso vita l’ultima tappa campana, almeno per questa stagione teatrale, dello spettacolo di e con Giovanni Meola, “Io so e ho le prove”. Ma ciò che ha preso vita, è anche un libro. Un libro dall’ omonimo titolo, soggetto della piecè, scritto da Vincenzo Imperatore. Partendo dal pensiero che il teatro non sia altro che la letteratura che si concretizza in una forma tangibile, assunto che il drammaturgo, autore ed inoltre anche attore protagonista della rappresentazione sembra aver attualizzato bene in questo suo libero adattamento, il connubio fra il testo originale e la messa in scena, fra l’autore del libro e l’autore della drammaturgia, sembra raggiungere a pieno l’obiettivo prefissatosi: quello di scuotere le coscienze, incuriosire, far scaturire le domande di un pubblico che è soprattutto “utenza”.
Nel caso specifico, utenza delle banche. Infatti, la tematica messa a fuoco da Imperatore e portata sul palco da Meola parte da una denuncia delle mancanze e delle nefandezze di quella che con affetto inquisitorio viene chiamata “Mamma Banca”. Imperatore la conosce bene; ci ha lavorato per più di venti anni e sa come funziona o come non funziona, sentenza relativa al punto di osservazione.
Fatto sta che per il protagonista dello spettacolo, Mamma Banca, ad un certo punto, non funzionava più. E non perché lei fosse cambiata in qualcosa, ma perché in lui era cambiato qualcosa. Il pretesto scenico del cambiamento è quello di uno scuotimento emotivo successivo al confronto con una cliente particolare; la dignitosa vedova di un piccolo commerciante ammazzato per motivi di pizzo. In quel momento, “Enzo ‘o pazz”, per gli amici, ma alto funzionario di un’importante banca per il resto dei suoi conoscenti, si rende conto per la prima volta che Mamma Banca, a volte, non fa niente di diverso a Mamma Camorra. Succhia il sangue della gente. La porta sul lastrico. La manda in rovina. Solo che lo fa legalmente. E subdolamente. Si, subdolamente perché affonda i suoi artigli nell’ ignoranza, nella disinformazione, nell’ esigenza e a volte anche nei sogni, di chi, disperato, le si rivolge in cerca di sostegno, pronto a firmare “anche la carta igienica” pur di ottenere un tanto ambìto prestito. Con il ripudio di “Mamma Banca” parte un delicato iter di lavoro interiore che si conclude con la denuncia dei crimini legali o para-legali ai quali aveva assistito e finanche partecipato, prima di ribellarvisi.
La denuncia di Vincenzo Imperatore prende forma di libro, caso letterario del 2015, e nel libero adattamento di Giovanni Meola prende forma di spettacolo, circa un anno e mezzo dopo.
Se la drammaturgia rende merito al libro, l’interpretazione rende merito alla drammaturgia, nella singolare capacità di fare di una complessa vicenda a più voci un monologo che non annoia. Circa settanta minuti di rappresentazione che raccontano la storia di un personaggio che ne incontra altri, e tutti quanti si racchiudono in un solo attore e in una brillante musicista/rumorista. E basta. Una notevole capacità, quella dell’interprete, di mantenere costante l’attenzione nonostante la tematica complessa, qualche termine di alta finanza estraneo ai più, e senza il supporto di più attori a palesare la differenziazione dei personaggi.
Una chicca, quella della partecipazione di Daniela Esposito, che correda il contesto di una ironia irriverente ma mai inidonea, e lo fa con il supporto, oltre che di una efficace mimica facciale, anche di originali oggetti di scena che diventano straordinari strumenti musicali capaci di creare l’atmosfera adatta alle differenti circostanze raccontate e di dare voce (senza usare la voce) a impiegate spietate o clienti sofferenti.
Un teatro fatto di suoni, luci e poco altro, come ad esempio due bravi interpreti, un buon soggetto ed una curata regia. Un teatro che consiglio in quanto “impegnato”, ma non nel senso che ci vuole impegno per capirlo, in quanto tutto il teatro in se’ non è altro che una semplice, personale percezione dello spettatore. Un teatro impegnato in quanto un teatro che si impegna a dire qualcosa. In questo particolare caso, non a dividere i bravi dai cattivi, ma a suscitare curiosità verso la tematica, a mettere in guardia, ad aprire la mente. Nella circostanza, la testimonianza che l’impegno ha raggiunto l’obiettivo, è arrivata nell’ immediato post-spettacolo, in un vivace confronto degli autori del libro e del testo con il pubblico; confronto che se non interrotto, sarebbe potuto durare ad oltranza, tante erano le domande e le osservazioni degli spettatori.
Bello, quando il teatro fa il suo lavoro.
Letizia Laezza
teatro Don Peppe Diana- (sito ufficiale)