Giovanni Pascoli (1855-1912) è considerato, insieme a Gabriele D’Annunzio, il maggiore poeta decadente italiano. E infatti la sua poesia trascende indiscutibilmente il modulo di lingua che ci è noto dalla tradizione letteraria.
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Giovanni Pascoli e il linguaggio fonosimbolico
Vastissima è in Pascoli la presenza di onomatopee e di un linguaggio fonosimbolico.
È un linguaggio che non ha nulla a che vedere con la grammatica. È agrammaticale, o pregrammaticale, estraneo alla lingua come istituto.
Ricorda infatti il modo di comunicare dei bambini, ed è formato da suoni e non da semantica.
I Tecnicismi
Incontriamo in abbondanza anche termini tecnici, a volte in funzione espressiva, altre volte con un aspetto più nomenclatorio; questi termini rientrano sotto l’etichetta che i linguisti definiscono “delle lingue speciali”, sotto la quale sono classificati ad esempio i gerghi.
Esaminandoli ci rendiamo conto che molte volte, nell’utilizzarli, Giovanni Pascoli prova a riprodurre il colore della lingua locale. Nelle poesie ispirate alla vita di Castelvecchio, sature di termini garfagnini, questo è particolarmente evidente.
Mescolanza di linguaggi locali
A sua volta il colore locale può comporsi di più ingredienti.
L’emigrante, tornando il Lucchesia dagli Stati Uniti parla un linguaggio impastato di italiano e di americano. Il toscano incastona o assorbe adattati alla sua fonetica i vocaboli stranieri.
“Oh! No: non c’era lì né piené flavour né tutto il resto. Ruppe in un gran pianto:
“Ioe, what means nieva? Never? Never? Never?“
Oh! No: starebbe in Italy sin tanto
ch’ella guarisse: one month or two, poor Molly!
E Ioe godrebbe questo po’ di scianto.” […] da Italy.
Il “color locale d’occasione”
Un’altra variante del color locale è quella che Contini chiama “color locale d’occasione”. Giovanni Pascoli davanti ad una situazione di una guerra d’Abissonia evoca termini specifici, etiopici, molti dei quali sono nomi propri e perciò risultano doppiamente estranei al linguaggio quotidiano.
In Gog e Magog il vasto uso poetico dei nomi propri caratterizza quello che si classifica per estensione come parnassianesimo.
“Ma meno udian di giorno quel tumulto
lassù; di giorno anche le genti chiuse
ruggìano, e il cibo dividean con l’unghie.
Vaniva il grido di lassù nell’urlo
della lor fame. Era, di giorno, tutto
al sangue, Alan, Aneg, Ageg, Assur,
Thubal, Cephar. Più, nelle notti lunghe,
s’udiva, quando concepìan, nel Yurte,
le loro donne i figli di Mong-U.” da Poemi Conviviali.
Il color temporale
Accanto al color locale si introduce quello che i critici chiamano il “color temporale”.
Giovanni Pascoli a volte vuole alludere al tono presunto della poesia in volgare del Duecento. Egli ricorre allora ad elementi linguistici che evidentemente associano echi bolognesi, emiliani, padani a echi arcaici duecenteschi.
Alessandrinismo pascoliano
L’amore che Pascoli ha per simili stilemi si può iscrivere sotto la definizione di alessandrinismo.
Abbiamo a che fare con una lingua speciale, preziosa, squisita.
Questa lingua funziona ed esiste proprio grazie alla sua potenziale differenza con la lingua normale.
Giovanni Pascoli e la lingua latina
Pascoli è uno dei poeti più esperti di lingua latina dell’epoca moderna. Il suo latino non è uniforme, monotono o morto. Non è un centone di fossili frasi già costituite. Il latino di Pascoli è ricchissimo di varianti stilistiche.
L’inquietudine che si fa strada all’interno del latino di Pascoli è perfettamente comparabile a quella che rivela il suo volgare.
Un rapporto critico con il mondo
In effetti, le eccezioni alla norma che caratterizzano la lingua pascoliana (volgare o latina che sia), sono strumenti espressivi scelti appositamente. Quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell’universo si ha un’idea sicura e precisa. Si crede in un mondo certo, ben determinato ontologicamente. Un mondo gerarchizzato dove i rapporti tra l’uomo e il cosmo sono ben determinati.
Le eccezioni alla norma significano che il rapporto tra l’io e il mondo di Pascoli è un rapporto critico e non più tradizionale. È caduta quella certezza logica che caratterizzava la nostra letteratura fino a tutto il primo romanticismo.
Il rapporto con la tradizione
Tutto questo è caratteristico di Pascoli? Serve a definire solo la sua poesia? Del linguaggio speciale e del linguaggio post grammaticale tutto il tardo romanticismo ha fatto un uso copioso. Basti pensare a D’Annunzio e all’intero movimento simbolista. Per quanto riguarda l’eccezione onomatopeica e fonosimbolica vengono subito in mente esperienze come quelle del futurismo.
L’unicità di Pascoli
Però qualcosa è unico in Pascoli. In primo luogo il fatto che egli esperisca contemporaneamente i due settori. Il settore postgrammaticale, poeticamente, era al tempo molto battuto e per esso Pascoli si inserisce nella più frequentata cultura del suo tempo.
Ma quello pregrammaticale no. Per questo tipo di linguaggio Pascoli è un innovatore. Le esperienze futurista, dadaista e surrealista vengono tutte dopo, e l’avanguardia italiana non potrebbe essere concepita senza il precedente pascoliano. La poesia di Pascoli è radice e matrice di molta parte degli esperimenti europei.
Ciò che soprattutto è unico in Pascoli è aver messo sullo stesso piano il linguaggio pregrammaticale, grammaticale e postgrammaticale.
Mescolanza come scelta precisa
Questa mescolanza non è però prova di timidezza. Non è paura di essere troppo rivoluzionario o massimalista. Pascoli si comporta come se non avesse voluto usare in modo puro e isolato la poesia pregrammaticale. Inoltre, se usa elementi sprovvisti di semanticità, accade, all’interno di questa sua innovazione, di simulare un uso semantico dell’interazione o dell’onomatopea.
Ma può accadere anche la cosa inversa.
“Finch… finchè nel cielo volai,
finch… finch’ebbi il nido sul moro;
c’era un lume, lassù, in ma’ mai,
un gran lume di fuoco e d’oro,
che andava sul cielo canoro,
spariva in un tacito oblio…” Da Canti di Castelvecchio.
“Finch finch” è una semplice onomatopea, un grido sfornito di contenuto nozionale. È una sillaba che evoca immediatamente la natura.
Giocando con l’equivoco fonico, tra evocazione immediata e parola dei vocabolari convenzionalmente riconosciuta Pascoli insinua questo finch nel linguaggio normale. Lo fa diventare una particella, un elemento funzionale: finché. Poi torna ad uscire fuori dal linguaggio normale nella direzione opposta, verso la pura onomatopea.
Accordo con la tradizione quindi, ma eretico. Accordo non canonico e non tradizionale. Accordo che non rimane isolato. È un elemento tipico dell’intima struttura pascoliana.
Nadia Rosato
Fonti: G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in Varianti e altra linguistica. Einaudi, Torino 1970.