Che Plauto sia stato l’inventore della commedia degli equivoci a Roma è risaputo. Ma quale commedia, in particolare, gli fa attribuire questo primato? I drammi che trattano di scambi di persone, mancati riconoscimenti, agnizioni finali corrispondono alla quasi totalità della produzione plautina. C’è però una commedia che da tutti i critici viene posta alla base del successo di Plauto: i Menecmi.
La commedia fu messa in scena probabilmente alla fine del III sec. a.C., in un periodo più o meno contemporaneo all’Amphitruo. Sembra dunque che a metà della sua produzione Plauto avesse trovato il suo stile e la sua dimensione: non a caso questo tipo di trame furono di grande successo a Roma, e rappresentano secondo molti il vero modo di fare teatro di Plauto.
La trama dei Menecmi
Un padre di Siracusa decide di portare i suoi due figli gemelli al mercato di Taranto, ma uno dei due, di nome Menecmo, si perde tra la folla e non viene più ritrovato dal padre. L’uomo, soffocato dal dolore, muore poco dopo, e il nonno dei due gemelli, pensando che il primo sia ormai morto, decide di dare al secondo il nome del defunto, rinominandolo Menecmo.
Menecmo I (quello disperso al mercato) in realtà non è morto, ma è stato trovato da un uomo di Epidamno, che l’ha adottato come figlio legittimo e portato nella sua città. Nemmeno Menecmo II (quello rimasto presso il nonno) crede che il fratello sia morto, e così decide di cercarlo dappertutto, fino ad arrivare ad Epidamno. Da lì, equivoci su equivoci: essendo gemelli, i due fratelli sono perfettamente confondibili, causando così un continuo scambio di persona. Come se non fosse abbastanza, Menecmo I, essendo stato adottato e portato ad Epidamno da bambino, non ricorda assolutamente di avere un fratello, e non immagina che lì, nella sua città, ci sia un uomo identico a lui, scambiato per lui erroneamente da tutti!
La commedia si chiude con l’agognato riconoscimento: trovatisi faccia a faccia, i due Menecmi capiscono che non c’è nessuno scambio di persona, ma ci sono semplicemente due persone uguali tra loro. Menecmo II racconta la terribile disgrazia a Menecmo I, il quale finalmente viene a conoscenza dell’episodio della sua infanzia e riabbraccia il fratello.
Una commedia unica
Rispetto ad altre commedie di Plauto, in cui egli caratterizza maggiormente la maschera del cuoco, del parassita, del soldato o del servo, sembra che in questo dramma il poeta abbia voluto esasperare il più possibile la trama, sacrificando i personaggi.
È notevole il modo in cui Plauto rende l’attaccamento di Menecmo II al fratello disperso e la confusione che colpisce Menecmo I, ignaro di tutto, ma ciò che scatena la risata e resta più nella mente dello spettatore è la cascata di equivoci che la presenza dei due a Epidamno scatena.
Il successo dei Menecmi a Roma e dopo Roma
Per questo motivo Plauto viene, a buon ragione, definito l’inventore della commedia degli equivoci in terra latina. Nonostante già Menandro avesse più volte adottato tale stile nelle sue commedie, di fondo c’era sempre una riflessione filosofica sul ruolo della sorte nella vita umana e un grande approfondimento della psicologia dei personaggi. Quello che regna nei Menecmi di Plauto, invece, è il caos: un caos che pizzica lo spettatore, lo fa sussultare, scombina le carte davanti ai suoi occhi. Ciò che lo spettatore prova è la stessa confusione che colpisce Menecmo I, e sia gli uomini seduti a teatro sia il protagonista non fanno che agognare la fine e il riconoscimento per tutta la commedia.
Il successo che questo tipo di trama ebbe a Roma non si concluse con la fine di Roma stessa. Non è un caso che, dopo la riscoperta dei testi classici in età umanistica, le rappresentazioni teatrali prima e i drammi originali poi si ispirino soprattutto a Plauto. Il riadattamento che Shakespeare fa di questa commedia ne La commedia degli errori è solo uno dei tanti riconoscimenti che i poeti moderni riservarono ad un poeta così originale da costringere a coniare un aggettivo solo suo: stile plautino.
Alessia Amante