Nei suoi numerosi saggi il filosofo e scrittore tedesco Walter Benjamin ha spesso affrontato il motivo del flâneur, una figura “leggendaria” ripresa anche da altri poeti e autori come il francese e l’inglese Edgar Allan Poe. Nella recensione al libro dell’amico Franz Hessel del 1929 intitolata “Il ritorno del flâneur” (Die Wiederkehr des Flaneurs), l’emblema del viandante, del passeggiatore “senza meta” non si limita a seguire la trattazione di altri argomenti, bensì domina la scena sin dalle prime pagine.
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Franz Hessel: il passeggiatore di Berlino
Le considerazioni di Benjamin sul flâneur partono dal testo “Passeggiare a Berlino” (Spazieren in Berlin, 1929) di Franz Hessel, con il quale Benjamin aveva lavorato alla traduzione de “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust. Nel libro, osserva il filosofo tedesco, si può individuare la condizione principale che accomuna tutte le descrizioni che Hessel fa di Berlino, ossia «una certa affinità con la memoria».
È dunque il ricordo della vita nella città natale a costituire, sia per Hessel che per Benjamin, il punto di partenza, il fil rouge del passeggiare del flâneur, anche se «la città come sussidio mnemotecnico per il passeggiatore solitario, non evoca soltanto la sua infanzia e giovinezza, non evoca soltanto la sua storia personale». Il ricordo di Hessel della sua vita a Berlino, dunque, non si riferisce solo al passato, ma butta un occhio anche al presente.
Dove nasce il flâneur?
Il libro di Hessel, osserva Benjamin nella sua recensione, sembra aver riportato in auge la flânerie a Berlino, una città dove tale fenomeno non ha mai avuto un grande seguito. Il concetto di flâneur non nasce né in Germania né in un paese dove il semplice vagare per le vie sarebbe impossibile, ossia l’Italia.
A Roma, afferma lo scrittore tedesco, può sopravvivere all’immenso carico storico (i «templi», le «piazze recintate», i «santuari nazionali») solo il viaggiatore, ossia il moderno turista. La figura del passeggiatore accompagnato dalla tartaruga nasce a Parigi, una città che «si schiude davanti davanti a lui [il flâneur] come paesaggio, lo circonda come una stanza».
La strada come casa
Anche Berlino è «piena di paesaggio», ma, come scrive Hessel, i berlinesi devono ancora imparare ad abitare la loro città. Qui il concetto di abitare si riferisce meno alle case e più alla strada. È per strada, infatti, che «quell’essere eternamente inquieto, eternamente in movimento» vive, sperimenta, conosce e inventa:
Per la massa – e il flâneur vive con essa – le insegne lucenti, smaltate delle ditte sono un ornamento altrettanto bello del dipinto a olio sulle pareti del salotto del borghese, i muri spartifuoco sono la scrivania, i chioschi le sue biblioteche, le cassette delle lettere i suoi oggetti di bronzo, le panchine il suo boudoir e la terrazza del caffè il balcone da cui guarda tutto ciò che accade nella propria casa.
Il sospetto dei berlinesi…
Con le immagini e i concetti esposti nel suo libro, Hessel riesce a penetrare nel cuore di Berlino, una città, osserva Benjamin, che come tutte le altre «si trasforma più rapidamente di un cuore umano». Non è un caso che nella capitale tedesca il “passeggiatore” Hessel venga visto con sospetto: è per questo motivo che egli sceglie di intitolare la prima parte del suo libro “La persona sospetta”.
Tutto ciò è indice della resistenza dei berlinesi alla flânerie e di conseguenza al sognatore: qui il flâneur assume «i tratti del lupo mannaro che si aggira inquieto nella selva sociale, come Poe lo ha fissato per sempre nel suo Uomo della folla».
… e l’apprendimento del flâneur
La seconda parte del testo di Hessel si intitola “Imparo”, il cui significato si allontana molto da quello del semplice “studiare”: colui che impara mira all’esperienza durevole e a ciò, secondo Benjamin, dovrebbe tendere ciascun berlinese, «se nella sua città cerca promesse diverse da quelle della pubblicità luminosa».
Pia C. Lombardi
Bibliografia
W. Benjamin, Ombre corte. Scritti (1928-1929), Torino, Einaudi, 1993.