A partire dagli anni Trenta, la minaccia del nazionalsocialismo diventa sempre più concreta e include diversi aspetti della vita umana, tra i quali quello della comunicazione. La violenza hitleriana non si ferma davanti alla lingua, bensì la converte all’ideologia nazista attraverso un processo naturale ed inarrestabile. Molte espressioni mutano di significato e diventano sempre più brutali ed aggressive. Questa trasformazione del modo di parlare dei tedeschi è però un fenomeno invisibile e impercettibile, di cui può rendersi conto soltanto chi conosce la materia. Nella Germania di Hitler, una simile riflessione appartiene al filologo Victor Klemperer che, nella sua opera “Lingua Tertii Imperii”, riporta l’esperienza delle violenze e delle angherie dei nazisti non solo sulla sua persona e la sua famiglia (Klemperer, infatti, era ebreo), ma anche sulla lingua. Con questo articolo si inaugura un nuovo ciclo dedicato all’opera di Klemperer e alla sua riflessione sulla LTI.
Indice dell'articolo
L’identificazione con la lingua
Nella distruzione e profanazione della lingua, Klemperer individua la più alta forma di privazione della libertà comune e individuale: il filologo, raccontando le diverse vicende di cui è protagonista, finisce per identificarsi con la sofferenza della propria lingua. Non è un caso, dunque, che, come epigrafe al suo testo, egli abbia scelto una frase del filosofo tedesco Franz Rosenzweig che delinea il fortissimo legame vitale con la lingua:
La lingua è più del sangue.
L’originalità del testo di Klemperer
Sono molti i testi che hanno tentato di spiegare la forza dialettica e lo «stile dell’orrore» di Hitler oppure di Goebbels. Tuttavia, nel libro di Klemperer, a parlare non è il filologo: non si tratta, infatti, di una ricerca erudita che tende ad isolarsi dal contesto in cui viene svolta. Klemperer scrive di sé e della sua vita (per questo motivo, il suo testo, abbreviato in “LTI”, assume i contorni di un diario) con l’unico scopo di testimoniare quell’evoluzione incontrollabile della lingua tedesca.
La prefazione
Sin dalla prefazione al suo libro, Klemperer traccia i contorni di questo processo linguistico, spiegando come anche semplici prefissi abbiano mutato il modo di pensare e di approcciarsi alla realtà dei tedeschi. Ad esempio, durante la guerra, aumentarono in maniera significativa i termini con il prefisso privativo ent: entdunkeln, ossia togliere l’oscuramento delle finestre dopo il cessato pericolo dei bombardamenti; entrümpeln, cioè sgomberare le soffitte per non ostacolare il lavoro dei pompieri; infine, Entnazifizierung, denazificazione. Quest’ultimo sostantivo indica quel processo che Klemperer definisce come «il tentativo di guarirla [la Germana, ndr] da questa malattia mortale». Tutti questi termini però hanno avuto e avranno vita breve: durante la guerra, infatti, nascevano e morivano anche nell’arco di una sola settimana espressioni che avevano un significato prettamente militare.
Accadrà lo stesso anche alla parola che indica la più importante decisione di questa nostra epoca di transizione: un giorno la parola “denazificazione” sarà estinta perché non esisterà più la situazione a cui essa doveva dare un termine.
Una prima concezione d’eroismo
Come più volte afferma Klemperer nella sua prefazione, a sparire non deve essere soltanto il pensare e l’agire nazista, ma anche la lingua profanata ed intossicata dal regime. Un esempio di ciò, il filologo lo rintraccia nella concezione di eroismo. Per il nazismo esisteva un “comportamento eroico”, una “resistenza eroica”, un “eroismo in generale”. Questo modo di intendere l’eroismo, che colpiva non soltanto i giovani rientrati da poco dal fronte o dalla prigionia, ma anche le ragazze che non avevano prestato servizio militare, non permetteva, secondo Klemperer, «un rapporto realmente autentico con la vera natura dell’umanità, della cultura e della democrazia».
Le tre uniformi
Sin dal 1933, quelle giovani menti che da poco avevano imparato a leggere, si abituarono ad un’idea di eroismo collegata soprattutto a un’uniforme, anzi a tre diverse uniformi. Gli eroi esemplari erano le guardie del corpo di Hitler, «quel piccolo gruppo da cui ben presto nasceranno le SA». La seconda uniforme a cui si legava la concezione nazista di eroismo era quella del corridore automobilistico, dallo «sguardo fisso che vorrebbe esprimere una ferma decisione di andare avanti e un’altrettanta ferma volontà di conquista». Con la guerra, l’auto da corsa fu sostituita dal carrarmato e l’uniforme del corridore da quella del soldato: «dal primo giorno di guerra e fino alla caduta del Terzo Reich tutto ciò che è eroico in terra, in mare e nel cielo porta l’uniforme». L’idea di eroismo di Klemperer è però diversa:
Eroismo non è soltanto il coraggio e il mettere a repentaglio la propria vita, perché di questo è capace anche qualsiasi attaccabrighe o qualsiasi criminale. Originariamente è eroe chi compie delle azioni che promuovono l’umanità. Una guerra di conquista, tanto più una caratterizzata da tante atrocità come quella hitleriana, non ha nulla a che vedere con l’eroismo.
L’alternativa del filologo
La concezione di eroismo del filologo tedesco, dunque, si allontana sensibilmente da quella nazista e per marcare ancora di più quest’abisso, Klemperer elenca quelle figure che per lui hanno compiuto dei veri atti d’eroismo, ossia le «tante persone valorose nei KZ [campi di concentramento]» e le mogli “ariane”.
Pia C. Lombardi
Bibliografia
V. Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich, Firenze, Giuntina, 2001.