Tony Tammaro all’Università! è il seminario tenutosi il 16 maggio al Dipartimento di scienze sociali dell’Università di Napoli Federico II, terzo seminario organizzato da La COOLtura, con Nerd Monday e Udu Scienze Sociali – Napoli. Ha introdotto Davide Esposito, direttore responsabile della testata La Cooltura.
Tony Tammaro, nome d’arte di Vincenzo Sarnelli, è un cantautore napoletano in azione dagli anni ’80. Punto di riferimento d’intere generazioni, le sue canzoni trash, ironiche e parodistiche sono ormai parte del quotidiano e della cultura personale di un’intera popolazione. Durante le tre ore della conferenza si è potuto finalmente conoscere a pieno il cantante, sotto l’aspetto umano, musicale e sociale. Ironico anche al di fuori del suo ruolo, l’artista parla a lungo del popolare, da cui la “cultura dotta” ha sempre attinto a piene mani, rinnegando l’idea che le due siano facce separate e non comunicanti della stessa medaglia. Questo concetto si ricollega all’intera idea alla base dell’incontro, come afferma Esposito: « Noi de La COOLtura abbiamo notato una cosa: La distanza tra comunicazione culturale e l’università. Noi vogliamo unire le due cose, ossia fare divulgazione culturale però attraverso il mondo delle università e persone competenti; Tony Tammaro è la dimostrazione che la cultura popolare è arte, cultura a tutti gli effetti».
Nel parlare del concetto di popolare con il prof. Raffaele Savonardo, docente di Comunicazione e Culture Giovanili, Tony Tammaro riassume il concetto con quello che definisce il Fenomeno Benetton: «Benetton è stato uno che prima pagava gli stilisti per disegnare i maglioni e poi ha pensato di risparmiare i soldi e mandare le persone a fare la spia nei quartieri popolari, perché le mode nascono là. Per dire, anche una persona borghesissima e coltissima ogni tanto si va a mangiare una pizza a Porta Capuana per sentire questo calore, quest’abbraccio del popolo. Le idee tutto sommato nascono lì, poi la cultura le mette a fuoco, le fotografa. La cultura è quella che scrive un libro, il libro è la testimonianza che passerà ai posteri.
Interessante l’aspetto televisivo affrontato con Andrea Macera e Gian Paolo Pregevole, gestori e creatori della pagina Telecapri & Co. – operazione nostalgia; l’idea dell’artista riguardo alla televisione è interessante e battagliera, nel suo modo di affrontare le battaglie, con il sorriso e la satira. Spiega il cantante: «I tempi hanno subito un cambiamento importantissimo, la televisione è fallita! Questo me lo auguravo fin da ragazzo perché se la Tv serve a diseducare la gente è meglio chiuderla! Io farò un programma ma sul web, che consente una libertà d’azione inimmaginabile. La televisione è qualcosa di completamente passivo. Io la sera mi siedo sul divano e ho la possibilità di scegliere fra venti trenta canali che trasmettono tutti la stessa cosa. Il web invece è bellissimo, Youtube è qualcosa di meraviglioso, io dico: stasera mi passo una serata jazz, o guardo una commedia di Shakespeare. Puoi fare ciò che vuoi, sei tu che scegli! La Tv purtroppo è stata un fallimento è questa per me è una vittoria!».
Oltre a domande esistenziali alle quali da sempre si cercava una risposta (ad esempio, che fine hanno fatto Dj Sacchetto e Angela Lago?) affronta questioni più attuali come quella dell’Orgoglio terrone, riguardo alla quale ha affermato: «In realtà l’orgoglio tamarro l’ho descritto in modi strani, ma è l’orgoglio terrone che oggi grazie a dio sta venendo fuori, perché noi abbiamo sempre questo senso d’inferiorità verso i popoli del Nord». Com’è nato O’Trerrote? «A Bologna si è ribaltato un camion carico di verdura e i colti e fini bolognesi sono scesi dalla macchina e hanno fatto incetta di frutta e verdura. Io credo che i napoletani del 2017, invece, avrebbero chiamato i vigili urbani e avrebbero detto: guardate c’è stato un incidente, senza toccare niente. Io nella vita ho visto cose incredibili […] ora sto vedendo una cosa molto bella: il sud sta superando il nord in fatto di civiltà!».
L’ultimo giro di domande spetta a Claudio Albero, co-fondatore ed amministratore del sito “NerdMonday”ed è incentrato sull’aspetto musicale, oltre che personale. The Dark side of Moonnezz è l’album più maturo musicalmente, quello in cui l’autore, rivolgendosi a nuove generazioni, ha potuto osare più che in passato. Si parla anche della distinzione fra Tony Tammaro e Vincenzo Sarnelli e a riguardo il cantante spiega: «Quando mi viene appioppata questa definizione di tamarro mi dà sempre fastidio perché ci terrei a scindere la persona dal personaggio. Io sono quasi uno svizzero, poco napoletano, mi arrabbio quando la gente salta le file, mettevo il casco in testa quando non era ancora obbligatorio». Si parla anche del Festival di Sanremo e dell’ultimo vincitore: «Io ho vissuto in un regime schifosissimo, in cui Sanremo lo si vinceva in base all’etichetta. Gabbani secondo me è un punto di svolta, è coltissimo, intelligente, fa citazioni colte, poi la sua è una canzone allegra».
Tony Tammaro ha sicuramente l’affetto di molte generazioni, anche di quest’ultima, che canta spassionatamente e con naturalezza Patrizia durante la conferenza. Oltre a questo, però, c’è l’insegnamento che si può ricavare da lui; l’ottimismo del cantante per il futuro, la stima per il presente e l’importanza di continuare a creare reinventando, superando i “modelli sacri” e i canoni, sono input fondamentali e danno fiducia. C’è sempre un’ottica positiva, un certo modo di vivere con ironia la realtà, che in quest’epoca di “tristezza cronica”, di “crisi nella testa della gente”, come l’ha definita, è un insegnamento prezioso.
Emblematico di tutto questo è ciò che afferma riguardo al “tamarro”: « I tamarri sono come un popolo, come il popolo ebraico, sono dappertutto. Basta guardare i film americani, ci sono dei tamarroni in America. Il tamarro partenopeo fortunatamente ha perso questa sua connotazione violenta, perché il tamarro finché è sboccato, colorato, va bene. La persona che non ha cultura e cerca d’importi la sua ignoranza, a quel punto si chiama camorrista. Questa parola mi ha sempre dato fastidio, questo modo di esser arrogante, di imporre la propria non cultura agli altri. Nel 1989 era in corso una delle più spietate guerre di camorra. Io feci una cassetta per far ridere un po’ i napoletani e risollevarsi, dato che c’erano morti ammazzati tutti i giorni e pareva che i tamarri stessero vincendo. Oggi, per quanto se ne possa dire, pare che la scuola sia migliorata, soprattutto la vostra generazione ha la possibilità di un’apertura mentale che a noi è mancata, in mezzo a voi tamarri io non ne vedo. Almeno, se il vecchio rattuso fuori al bar è il vecchio napoletano, voi siete i napoletani 2.0. Voi mi piacete un sacco, mentre quelli là di cui parlavamo non mi piacciono per niente, per cui sono molto ottimista per il futuro».
Francesca Lomasto