Nel 1795 compare Favola di Goethe, uno dei testi dal Fabulieren più complesso di sempre e dall’intreccio con fittissimi riferimenti. Gli spunti per questo suo testo derivano da una conversazione con Schiller nel giugno dello stesso anno, mentre Goethe si stava recando a Karlsbad. L’opera era destinata alla rivista fondata da Schiller Die Horen. Sin dall’inizio, Goethe insistette affinché la favola fosse pubblicata in due parti separate, mentre Schiller era dell’idea che una cosa del genere avrebbe allontanato l’interesse del pubblico, fondamentale per una neonata rivista letteraria. Goethe tuttavia non si arrese: «Vorrei la separazione in due parti perché proprio in un lavoro come questo un intento precipuo è quello di eccitare la curiosità. Anche alla fine, del resto, di enigmi ne rimarranno a sufficienza». Purtroppo, le parole di Goethe non suscitarono l’effetto desiderato: Schiller, infatti, decise di pubblicare in un unico fascicolo il racconto dell’amico.
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La favola di Goethe
Il serpente aveva appena guardato quella venerabile immagine quando il re prese a parlare e domandò: «Da dove vieni?». «Dai crepacci in cui abita l’oro» rispose il serpente. «Che cos’è più stupendo dell’oro?» domandò il re. «La luce» rispose il serpente. «Che cosa è più vivificante della luce?» domandò il primo. «Il dialogo» rispose il secondo.
Il modello a cui si rifà Goethe per le sue favole è quello delle Mille e una notte, con la fascinosa Shahrazād che, con i suoi racconti lasciati a metà, non fa altro che eccitare la curiosità dei suoi interlocutori. Anche Goethe, quando raccontava una fiaba ad alta voce, amava interrompere la narrazione per poi riprenderla successivamente. Per Goethe la favola non è frutto dell’intelletto, bensì della fantasia. Il poeta si abbandona a quest’ultima, facendo però sempre molta attenzione al pericolo di dar corpo a idee astratte e di avvicinarsi così all’allegoria. La favola, dunque, non ha solo il compito di divertire il lettore oppure chi la ascolta, ma anche di offrire un «ammaestramento divertente».
L’interpretazione della Favola
Quando uscì sul decimo fascicolo delle Die Horen di Schiller, la Favola di Goethe catturò l’attenzione e la curiosità dei lettori, tutti impegnati a trovare la corretta interpretazione del testo goethiano. Il poeta di Weimar, in realtà, non darà mai una spiegazione dei rebus e dei personaggi che, per certi versi, ricordano proprio quelli delle Mille e una notte (ad esempio, la lampada magica e il barcaiolo che solo a certe condizioni è disposto a portare i viandanti sull’altra riva). Per quanto i suoi personaggi non possano essere ricondotti a meri concetti, ad una “decodificazione” del testo arrivò soltanto l’amico Schiller, senza però mai rivelarla a nessuno. Oggi possiamo farci un’idea della spiegazione schilleriana partendo da una frase in una lettera di Goethe all’amico Wilhelm von Humboldt, quando egli scrisse che la sua favola era «zugleich bedeutend und deutungslos», cioè al contempo ricca e povera di significati.
L’utopia di Goethe e Schiller
Già dalle prime pagine del testo, ci si rende conto che in questa favola tutti i personaggi vivono in una condizione di sofferenza e dolore: la bella Lilia, il cavaliere, la moglie dell’uomo della lampada, il gigante, il barcaiolo e così via. La vicenda si conclude però con una «grande felicità» che mette fine al supplizio. Tale felicità deriva dall’inizio di un nuovo millennio, una sorta di età dell’oro. Tutta la Favola, con le sue profezie, è costruita per questo lieto fine. Ma un evo del genere può davvero esistere per Goethe? Ovviamente, si tratta di un’utopia e il leit motiv di questo testo (lo si può evincere anche dal titolo) è proprio l’utopica trasformazione del mondo. Da questo elemento possiamo capire il legame che esiste tra Goethe e Schiller, prendendo in considerazione la principale opera filosofica di quest’ultimo, Lettere per l’educazione estetica dell’uomo.
Le Lettere di Schiller
In questo testo anche Schiller ipotizza l’inizio di una nuova era che non è altro che uno «Stato estetico», in cui gli uomini possano realizzare tutti i loro ideali e liberarsi dalle sofferenze. Questo rinnovamento, una promessa non mantenuta della Rivoluzione francese, non è possibile semplicemente attraverso una serie di accordi economici, bensì deve trovare una sua solida base nella bellezza e nell’arte, in particolare nella poesia. Alla fine delle Lettere Schiller ammette però che una tale condizione è possibile in «pochi circoli eletti» di anime sensibili. Si tratta, appunto, di un’utopia che prende forma nella Favola di Goethe, dove nasce davvero uno stato in cui domina la bellezza e l’uguaglianza.
L’invito alla creatività
Dopo il suo viaggio in Italia, Goethe cercò in tutti i modi di dar inizio ad un Rinascimento tedesco. Preso poco in considerazione, l’unico a supportare questo suo progetto fu Friedrich Schiller e a lui Goethe indirizza il suo racconto, anche per invogliarlo a riprendere la poesia come in passato. Da molto tempo, infatti, Schiller l’ha abbandonata per dedicarsi alla filosofia kantiana, poiché è convinto di non possedere abbastanza creatività. Goethe è invece di tutt’altra idea: Schiller è nato per essere poeta e la Favola è uno dei mezzi che il poeta di Weimar adopera per convincerne l’amico.
Pia C. Lombardi
Note
Nell’immagine in evidenza una scena tratta dalla Favola di Goethe: il serpente e i due fuochi fatui
Bibliografia
W. Goethe, Favola, trad. it., Adelphi, Milano 1990.