Nasce per emulazione di Giovanni Verga il romanzo I Viceré di Federico De Roberto, pubblicato nel 1894. De Roberto aveva studiato attentamente le lezioni di Capuana e di Verga, ma in quegli anni si concludeva l’esperienza naturalistico-verista.
Anche tra i lettori andava scemando l’entusiasmo per il verismo e forse, come il “maestro” Verga scrisse all’autore, la mole del romanzo contribuì all’indifferenza del pubblico e della critica.
A lungo l’opera è stata considerata un romanzo di costume, anche dallo stesso autore. I Viceré appariva come un racconto del vizio e della corruzione, una storia moralizzante contro le estreme passioni.
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De Roberto e il ciclo dei vinti
I Viceré è stato definito da alcuni il seguito dell’incompleto “ciclo dei vinti” di Verga, che non prosegue oltre Mastro Don Gesualdo. Quando si occupò di scrivere La duchessa di Leyra, Verga non riuscì mai a completare il suo lavoro; anzi si dice che quasi imprecasse contro chi gli chiedesse come stesse procedendo il romanzo o quando sarebbe stato pubblicato.
Il romanzo di De Roberto è l’ideale prosieguo della saga. Verga, come De Roberto, avrebbe scelto di trattare l’instabilità psicologica dei personaggi nobili, perché in alcun altro modo avrebbero potuto risultare sconfitti.
Così la famiglia Uzeda di De Roberto è avida fino all’alienazione, ognuno di loro è ossessionato dalla propria monomania. Sono ‘vinti’ perché incapaci di provare sentimenti di pietà, di amore, di gioia, ma tuttavia riescono ad ottenere ciò che vogliono.
Gli Uzeda sono inavvicinabili. De Roberto li allontana del tutto dal lettore con feroci ma brillanti pennellate di ironia. Il narratore prova disgusto per gli Uzeda, li deride, si compiace delle loro disavventure. È insomma un personaggio a sé stante, nemico della famiglia aristocratica. Ed anch’egli ne esce sconfitto.
Il romanzo antistorico
L’ossessione della più antica Uzeda vivente, Donna Ferdinanda, è quella di preservare la purezza di nobiltà della famiglia. Rivolta al passato, Donna Ferdinanda si aspetta che gli eredi Uzeda si susseguano all’infinito, sempre ricchi e potenti. Così non accetta né comprende il tradimento di chi tra i suoi parenti possa mischiarsi alle classi borghesi, in politica o col matrimonio. Ripudia l’amato pronipote, che – unico – ha prestato orecchio ai suoi sogni di gloria familiare; colui che più d’ogni altro ha appreso dai libri di araldica della zia: le epoche si sono susseguite, ma gli Uzeda non sono mai tramontati.
Così Consalvo saluta la zia nel suo monologo prima di andare via dalla Sicilia:
“La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo, tra la Sicilia di prima del Sessanta, ancora quasi feudale, e questa d’oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore”.
Il discorso si conclude poi con una riflessione simile, questa volta sulla natura della famiglia Uzeda, che evolve coi tempi e si espande al potere politico democratico, e che tuttavia rimane sempre la stessa.
Vittorio Spinazzola ha definito I Viceré “romanzo antistorico”. Per De Roberto non c’è rivoluzione che tenga, non c’è sconvolgimento che abbia come effetto il mutamento. Chi aveva il potere continuerà ad averlo, il sistema di corruzione cambierà nome e forma, senza mai morire.
La storia d’Italia si affaccia su quella personale della famiglia Uzeda: chi ne è attore è deriso, perché negli intenti malizioso o, altrimenti, illuso dai suoi ideali. Non c’è posto per altruismo e generosità nella famiglia degli Uzeda, del resto.
De Roberto ha la prospettiva distaccata di chi crebbe quando ormai l’Italia era stata già fatta, figlio di una famiglia di origini nobiliari. Non c’è spazio per altro che sarcastico disincanto. Se non c’è scampo per gli individui, come può la storia – vasta, pigra – sottrarsi a un ciclo continuo di costituzioni e guerre che si assomigliano tra loro?
Il romanzo storico risorgimentale
I Viceré è romanzo storico più de I Vecchi e i Giovani e de Il Gattopardo. Il racconto e il senso della storia fanno da padroni nella narrazione. È evidente in questo l’ispirazione manzoniana, ma anche nella chiarezza dello stile di De Roberto. Manca tuttavia lo spirito provvidenziale della storia.
I Viceré è parodia del romanzo risorgimentale. Il progresso è negato, la storia non apporta cambiamento; cambiamento di cui il popolo è vittima e partecipe passiva la classe dei nostri autori siciliani.
Oriana Mortale
Bibliografia
M. Ganeri, Il romanzo storico in Italia: il dibattito critico dalle origini al postmoderno, Piero Manni, 1999.
G. Giudice, Introduzione a F. De Roberto, I Viceré e altre opere, UTET, 2006.
Sitografia
N. Aragno, “Il Mezzogiorno e la crisi del realismo nella narrativa tra Otto e Novecento” in U. Dotti, Gli scrittori e la storia, Nino Aragno Editore, 2014
S. Minervini, “Luigi Capuana, lo sperimentalismo del “teorico” del verismo”, 2015