Jürgen Habermas, filosofo e sociologo tedesco, si è pronunciato su diverse branche del pensiero umano. Partendo dall’assunto di base che l’illuminismo kantianamente inteso non sia tramontato ma necessiti di un ripensamento critico, Habermas si fa interprete del nostro tempo. Teorico dell’etica del discorso e autore di un interessante dialogo su ragione e fede con Joseph Ratzinger, si è occupato in questi anni anche di bioetica filosofica, contribuendo alla riflessione sulla manipolazione genetica e sul suo influsso sull’identità umana.
La post-metafisica
Habermas colloca la bioetica e la filosofia nel contesto del pensiero post-metafisico che ha smarrito la strada per la “vita giusta”. Apice di questo sviluppo è la teoria del liberalismo politico di John Rawls, in cui vita buona e società giusta si intersecano a tal punto da coincidere con quell’esistenza in cui lo Stato garantisce ad ognuno la possibilità di essere e permanere nella differenza dall’altro. Il liberalismo politico di John Rawls segna il punto di arrivo di questo sviluppo:
Dal fallimento cui è votato ogni tentativo filosofico di considerare come vincolante una determinata forma di vita, Rawls trae le conseguenze ultime. La «società giusta» lascia libere tutte le persone di decidere «che uso fare» del tempo della loro vita. A ciascuna essa garantisce pari libertà di sviluppare un’autocomprensione etica, al fine di realizzare una concezione personale di «vita buona» in base alle proprie possibilità e preferenze. (Habermas J., Il futuro della natura umana, Piccola biblioteca Einaudi, Torino, 2010, p. 6)
Con la crescente individualizzazione dell’etica, le domande etiche si collocano sempre più nel contesto di una “determinata storia di vita individuale” o di una “particolare forma di vita intellettiva”. La filosofia si trova così costretta a rinunciare a considerazioni di tipo normativo, incorrendo in quella che Habermas chiama una “astensione ben giustificata”:
Proprio nelle questioni per noi più rilevanti, la filosofia si ritira su una sorta di metalivello. Essa si limita ad indagare le caratteristiche formali dei processi di autocomprensione, facendo astrazione dai loro contenuti. (Habermas J., Il futuro della natura umana, Piccola biblioteca Einaudi, Torino, 2010, p.7)
Eppure per Habermas quest’esito risulta insoddisfacente di fronte alle urgenti questioni di filosofia pratica poste dagli orizzonti conoscitivi e dalle possibilità offerte dalla manipolazione genetica.
Habermas e la questione dell’ingegneria genetica
Ne Il futuro della natura umana, Habermas riflette sui rischi della genetica liberale. Memore dell’eugenetica nazista, prende in considerazione le potenzialità della manipolazione genetica. In particolare, egli si pone contro le procedure di eugenetica e a favore delle diagnosi preimpianto. Questo genere di diagnosi infatti permette ai genitori, che vogliano usufruire di procedure di fecondazione assistita, di verificare la presenza di malattie genetiche e tare ereditarie varie nell’embrione, prima del suo impianto nell’utero materno.
Habermas distingue inoltre una genetica negativa (terapeutica) e una genetica positiva (migliorativa), mostrando per entrambe (anche se molto più verso la seconda) una certa preoccupazione. Intaccando i fondamenti biologici della nostra identità, le modificazioni genetiche rischiano di smarrire “il confine tra la natura che noi siamo e la dotazione organica che noi ci diamo”. D’altra parte si rischia di confondere la distinzione tra il Gewachsene e il Gemachte, ovvero tra “naturalmente divenuto” e “tecnicamente prodotto“.
…quanto più drastico e approfondito diventa l’intervento sulla composizione del genoma umano, tanto più lo stile clinico del rapporto viene a somigliare allo stile biotecnico di un intervento ingegneristico che confonde l’intuitiva distinzione tra ciò che è “cresciuto” naturalmente e ciò che è “prodotto” tecnicamente, tra il soggettivo e l’oggettivo- una confusione che coinvolge persino l’autoriferirsi della persona alla propria esistenza corporea. (Habermas J., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2010, p.49)
Intervento, produzione e “autocomprensione del genere”
Laddove si lavora sulla materia inorganica, una materia attiva lavora su una materia passiva, producendo qualcosa. Se l’oggetto di produzione non è passivo ma attivo, allora si tratta di un intervento, non di produzione. La manipolazione genetica capovolge il padroneggiamento della natura trasformandolo in un atto di “auto-imprigionamento”. Quest’ultimo altera la nostra “autocomprensione etica del genere”, ovvero modifica la percezione che abbiamo della nostra identità come esseri umani liberi.
Le società liberali propongono, sostiene Habermas, un erroneo parallelismo tra genetica ed educazione, dando a pensare che si possa educare geneticamente, per così dire, ad essere migliori e lasciando così un spiraglio, non solo alla genetica negativa, terapeutica, ma anche a quella positiva, ovvero migliorativa. L’idea di poter manipolare una vita nascente per renderla migliore dà al termine “migliore” un valore oggettivo che invece non ha nell’ambito dell’umano e le toglie quell’autonomia che invece è sua caratteristica imprescindibile.
Rita Obliato
Bibliografia
– Habermas J.,Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2010.
– Lecaldano E., Dizionario di bioetica, Laterza, Roma-Bari, 2007.