Oltre a olismo e empirismo, un’altra coppia di termini che dividono da sempre il metodo della ricerca sociale sono nomotetismo e idiografia. La loro importanza, tuttavia, è ben più estesa. Secondo C.P. Snow, scrittore e scienziato inglese, essi caratterizzerebbero addirittura le “due culture” in cui è divisa l’intera ricerca intellettuale occidentale. Il nomotetismo, infatti, è prerogativa delle scienze naturali, mentre l’idiografia lo è di quelle umanistiche.
Vediamo meglio, dunque, il significato di questi due termini.
Nomotetismo: le leggi universali
“Nomotetismo” deriva dal greco antico e indica, approssimativamente, l’“imposizione di una legge”. Chi usa tale metodo, infatti, ricerca principi generali che valgano al di là del caso specifico che sta studiando. Questo è, per l’appunto, esattamente lo stile degli scienziati naturali. È il caso del medico che cerca una cura per il cancro che sia efficace per qualunque paziente, non solo per quello di cui si sta occupando. Similmente, leggi come quella della gravità sono valide universalmente e non soltanto per questo o quell’oggetto.
Quando nacquero le scienze sociali (XIX secolo) questo tipo di approccio venne adoperato dalle tre discipline che studiavano la realtà occidentale dell’epoca: l’economia, la sociologia e la politologia. A quei tempi, infatti, lo scopo principale della ricerca sociale era trovare il modo di gestire il cambiamento.
In questa prospettiva era indispensabile scoprire i principi universali che, si pensava, regolassero il funzionamento degli oggetti di studio delle tre discipline citate, ovvero l’economia, la società e la vita politica. Ciò spiega anche perché al centro dell’attenzione c’era solo il “mondo civilizzato”. Se l’economia si evolve secondo un percorso universalmente definito e sempre uguale, infatti, poco importa che io lo studi in Inghilterra o in Australia. La differenza è, tuttavia, che nel primo caso avrò sicuramente molti più dati a disposizione per le mie ricerche.
Idiografia: l’indagine del particolare
L’idiografia è il contrario del nomotetismo e significa “scrittura propria”. Essa caratterizza i cosiddetti studi umanistici per i quali, ovviamente, la cosa più importante sono le specificità di un argomento. Un letterato inglese, ad esempio, sarà ben più interessato a individuare i caratteri peculiari dell’opera di Shakespeare piuttosto che un principio universale che accomuni tutti gli autori inglesi (qualora, ovviamente, un principio del genere esistesse).
Un approccio idiografico, dunque, si focalizza sulle particolarità di ciascun oggetto di studio.
Sempre nell’ambito della ricerca sociale, in origine applicavano questa metodologia l’antropologia, l’orientalismo e la storia. Per le prime due lo scopo era ben preciso: scoprire le caratteristiche sociali specifiche di ciascun Paese studiato, in modo da facilitarne la comprensione e il controllo da parte delle potenze colonizzatrici. L’antropologia infatti si rivolgeva alle realtà arretrate, come l’Africa, mentre l’orientalismo, come si evince dal nome, a quelle orientali, con una civiltà un po’ più avanzata.
La storia, al contrario, prediligeva l’idiografia per la supposta impossibilità di scoprire, lungo il proprio corso, tendenze regolari.
Una netta divaricazione, dunque, tra i due ambiti della ricerca sociale. Come si può intuire facilmente, tra l’altro, essa riflette perfettamente quella tra olismo e empirismo. Una teoria olistica, infatti, ricercherà quasi sempre principi universali che regolino il “tutto” di cui si occupa, mentre quella empirica, al contrario, prediligerà un ambito specifico.
Quando e come questa doppia dicotomia è stata abbandonata?
Una via di mezzo: Fernand Braudel
La contrapposizione tra nomotetico e idiografico è stata superata, nel secolo scorso, da numerose teorie che hanno cominciato a proporre visioni intermedie, come quella del celebre storico Fernand Braudel. Secondo quest’ultimo, le due metodologie corrispondono all’uso, da parte degli scienziati sociali, di “tempi” differenti. I sostenitori del nomotetismo, infatti, cercano le strutture immutabili del tempo “eterno”. Quelli dell’idiografia, al contrario, si limitano alle vicende contingenti del tempo “breve”.
Di contro, l’autore propone altri due tempi sociali, che potremmo definire ibridi. Uno, la longue durée, riguarda strutture sociali durevoli ma non eterne, come il capitalismo. Ne risulta che, pur nella loro peculiarità, è possibile individuare, nel loro corso, delle tendenze costanti (nel nostro esempio, il progressivo arricchimento dei capitalisti nel corso dei secoli). L’altro, il temps conjuncturel, riguarda invece eventi specifici che sono visti come semplici momenti all’interno di cicli più lunghi. Ad esempio, la rivoluzione industriale settecentesca non sarebbe null’altro che un incremento improvviso di quel processo di tecnologizzazione cominciato nel Basso Medioevo e protrattosi, con alti e bassi, fino alla nostra rivoluzione digitale.
Francesco Robustelli
BIBLIOGRAFIA
Immanuel Wallerstein, Comprendere il mondo, editore Asterios, 2006.
Fonte Media
L’immagine di copertina è ripresa dal sito: https://www.loccidentale.it/articoli/112624/e-sbagliato-pensare-che-la-tecnologia-tolga-spazio-allumanesimo