Fino a che punto nell’etica della medicina e della scienza è meglio che a dettar legge siano i principi? Una via di mezzo tra assolutismo morale e relativismo è possibile? Vediamo come le varie teorie principialiste affrontano questi problemi.
La bioetica come ogni disciplina a metà tra la scienza e la filosofia, può avere un epistemologia bidirezionata. Il ragionamento del bioeticista può avere una struttura deduttiva e desumere le linee generali della pratica medica e scientifica quotidiana da uno o più principi etici. Oppure può avere una struttura induttiva, che dai singoli casi concreti procede di volta in volta a individuare i criteri delle scelte. Dunque, memori della logica aristotelica, anche il bioeticista e la bioetica tutta procedono dall’universale (i principi etici) al particolare (i casi) o viceversa. La seconda struttura è denominata casistica e deve la sua teorizzazione ad Albert Jonsen e Stephen Toulmin e al loro The abuse of casuistry. A history of moral reasoning. La prima è denominata principialismo (o principilismo) e deve i natali a Tom L. Beauchamp e James F. Childress. In bioetica si è consolidato l’atteggiamento principialistico.
Le teorie principialiste monistiche
Le principali teorie principialiste sono deontologismo, utilitarismo e contrattualismo. In queste teorie i principi sono ottenuti deduttivamente, a partire da una certa teoria morale di partenza. Esse sono dette monistiche perchè derivano i comportamenti quotidiani dal rispetto di un unico principio assoluto e universale.
Per deontologismo si intende quell’approccio teorico che pone l’attenzione sulla ricerca di doveri, obblighi e principi assoluti e universali da far valere. Il deontologismo riprende molti contenuti dalla morale kantiana. Secondo il deontologismo, sono gli atti, o meglio le intenzioni, l’oggetto del giudizio morale. Un’azione è morale se lo sono le intenzioni, ovvero se rispetta la legge morale supposta assoluta e universale.
L’utilitarismo è quell’insieme di teorie secondo cui le azioni giuste sono quelle che producono la maggior quantità di benessere nel maggior numero di persone. Fondato da Jeremy Bentham e ripreso poi da John Stuart Mill, l’utilitarismo propone di fare delle conseguenze delle azioni o delle preferenze, l’oggetto e il criterio del giudizio morale.
Secondo la teoria contrattualista la società civile e le sue regole di convivenza sono il risultato di un contratto. Seguaci, per così dire, di questa teoria sono tradizionalmente Thomas Hobbes, John Locke, Jean-Jacques Russeau e Immanuel Kant. Il contrattualismo è stato poi ripreso nel XX secolo come procedura per superare disaccordi pubblici su questioni etiche. Negli autori classici la contrattazione serviva ad uscire dallo stato di natura e regolare la vita associata. Nelle versioni contemporanee, come quella di John Rawls, la contrattazione fornisce i criteri per individuare i principi etici in generale. Il tipo di principialismo che si è consolidato in bioetica non è tuttavia di tipo monistico. Esso è una teoria pluralistica, ovvero basata su una pluralità di principi.
Il principialismo di Beauchamp e Childress
Tom L. Beauchamp e James F. Childress sono autori di Principles of biomedical ethics. Mossi dal desiderio di rintracciare uno schema di riferimento per l’etica biomedica, essi ne hanno proposta una basata su questi quattro principi: autonomia, non maleficenza, beneficenza, giustizia (intesa come equità).
Il principilismo è un tentativo di tenere insieme norme generali e giudizi particolari. Davanti a situazioni problematiche, in cui due o più principi possono essere in contraddizione tra loro, esso propone le strategie argomentative della specificazione e del bilanciamento. La specificazione consiste nell’adattamento dei principi ai casi e alle circostanze specifiche. Il bilanciamento consiste invece nel soppesare i valori, ovvero nell’effettuare un bilancio tra i valori in gioco e scegliere quello che ha la priorità sugli altri.
Questo caratteristiche rendono principialismo degno di nota perché porta l’etica un gradino più in basso rispetto ai principi assoluti e universali, cardini di etiche basate sul dovere, che oggi possono forse risultare insoddisfacenti ai più.
Per quanto riguarda la giustificazione dei principi, Beauchamp e Childress si situano al di là del deduttivismo e dell’induttivismo, consentendo una buona dialettica tra giudizi ponderati e principi.
Si può osservare però che alcuni dilemmi morali non vengano risolti dal principialismo, come nel caso in cui un paziente chiede l’eutanasia al medico. In tal caso i principi di non maleficenza e di autonomia confliggono e dare al primo la priorità consente al medico di prendere una decisione ma non seda il conflitto morale. Sembra quasi che l’etica di medio livello, pur non potendosi qualificare come edonistica, sia comunque ‘troppo in basso’ per esser definita etica.
Una “tirannia dei principi”?
Stephen Toulmin, fondatore della casistica, titolava così un articolo su <<Hastings Center Report>>. Basare l’etica su un unico inviolabile principio, le dona quella prescrittività che la rende ciò che è sempre stata: la risposta alla domanda “che cosa dobbiamo fare?”. La natura prescrittiva consente all’etica di sedare i conflitti morali. Eppure in bioetica si registra spesso insoddisfazione verso le teorie principialiste e l’etica teorica tutta, che siede sul suo piedistallo di utopie e di ideali e non scende tra le persone reali, fatte di sangue, carne e ossa.
Ritorna dunque l’eco della nostra domanda iniziale: fino a che punto nell’etica della medicina e della scienza è meglio che a dettar legge siano i principi?
Rita Obliato