Oltre che attivisti politici, quasi tutti i più importanti leader bolscevichi furono raffinati intellettuali e ricercatori sociali. Nelle loro opere, infatti, essi cercano di dare una base teorica alle rispettive idee rivoluzionarie. Tra i numerosissimi temi che affrontano, uno dei più sentiti è sicuramente quello della transizione al socialismo. Essi cercano, in altre parole, di descrivere in che modo il capitalismo deve lasciare spazio alla nuova società che intendono fondare.
Vediamo, allora, in che modo Lev Trockij, Nikolai Bucharin e Vladimir Il’ič Ul’janov, più noto come Lenin, immaginano questo passaggio.
Trockij: la rivoluzione permanente
Trockij è noto al grosso pubblico come uno dei più decisi oppositori di Stalin. Dopo aver condotto l’Armata Rossa bolscevica alla vittoria nella guerra civile, fu il leader, dal 1924, della cosiddetta opposizione di sinistra all’interno del partito. Sconfitto ed espatriato in Messico, venne assassinato nel 1940. Celebre è la sua critica rivolta alla teoria del socialismo in un solo Paese di Stalin. Se, infatti, il dittatore sosteneva che il nuovo regime avesse più possibilità di sopravvivere rimanendo all’interno dei confini russi, Trockij teorizzava, al contrario, la rivoluzione permanente. Ciò vuol dire che il Partito si sarebbe dovuto, a suo dire, impegnare ad estenderla quanto prima al mondo intero.
Il contrasto tra le due teorie era evidente non solo sul piano ideologico, ma anche su quello economico-sociale. Relegare il comunismo alla sola Russia significava, infatti, secondo Trockij, rimanere sottomessi al capitalismo. Perseguire l’autosufficienza, infatti, non avrebbe comportato altro che l’ulteriore accentuazione della propria “dipendenza dal mercato mondiale”. Questo perché la divisione del lavoro creata dal capitalismo avrebbe lasciato eternamente la Russia in una condizione di arretratezza rispetto agli altri Paesi. L’unica soluzione possibile, dunque, era ribaltare tale sistema economico a livello mondiale.
Tutto ciò sarebbe avvenuto, per l’appunto, solo con la rivoluzione permanente.
Lenin: dal capitalismo al socialismo
Principale leader bolscevico e protagonista indiscusso della rivoluzione d’Ottobre, Lenin fu anche un prolifico scrittore. Nella sua opera, Lo sviluppo del capitalismo in Russia (1899), egli prende posizione contro il populismo.
Si tratta di una corrente filosofica e politica, rivale del bolscevismo, molto diffusa a quei tempi. Contrariamente ai suoi teorici, che esaltavano la vecchia società russa del mir, ovvero la comunità di villaggio, Lenin sostiene che, paradossalmente, per fondare un mondo più equo sia indispensabile il progresso capitalistico. Infatti:
Il vecchio sistema russo non è altro che stagnazione nelle forme di produzione (e quindi nei rapporti sociali) e dominio dell’arretratezza “asiatica”. Il nuovo sistema capitalistico è progresso malgrado le sue contraddizioni (Lentini)
Solo così, infatti, si possono creare in Russia le condizioni per quello sviluppo delle forze produttive che, secondo Lenin, è indispensabile per la vittoria del socialismo. Il leader bolscevico segue, infatti, l’ortodossia di Marx nell’affermare che la nuova società non potrà mai sorgere in un contesto arretrato come quello della Russia zarista. L’instaurazione del comunismo va, dunque, di pari passo con lo sviluppo economico. Questa sarà anche la strada battuta dal gruppo dirigente stalinista quando, una volta preso il potere dopo la morte di Lenin, accelererà l’industrializzazione dell’Unione Sovietica.
Bucharin: la transizione graduale
Esattamente all’opposto di Trockij, Nikolai Bucharin guidò, all’interno del partito, la cosiddetta opposizione di destra alle politiche di Stalin. Secondo lui, infatti, la transizione al socialismo sarebbe dovuta avvenire in maniera molto più graduale di quella imposta dal dittatore. Non a caso, egli fu uno dei maggiori sostenitori della NEP, il sistema di economia mista attuato dai bolscevichi tra il 1921 e il 1928 in sostituzione del rigidissimo comunismo praticato durante la guerra civile.
Bucharin, infatti, riteneva che esagerare i ritmi dell’industrializzazione e della collettivizzazione fosse deleterio. Non a caso, per lui doveva essere il mercato a liquidare i residui borghesi. Il socialismo doveva imporsi attraverso “le banche, l’industria statale e la grande cooperazione”, cioè passando per una fase transitoria di capitalismo di stato. Al contrario, dal 1929 Stalin opterà per un drastico e radicale collettivismo, aprendo una spaccatura tra i due. Secondo Bucharin, infatti, il socialismo non deve vincere con la forza, bensì grazie alla sua “dimostrata superiorità economica”.
Il contrasto tra i due leader andrà ben oltre il piano teorico: Bucharin, infatti, nel 1938 sarà una delle vittime più illustri delle famigerate purghe staliniste, condannato a morte come “antisovietico” per la sua opposizione al dittatore.
Francesco Robustelli
BIBLIOGRAFIA
- Orlando Lentini, Saperi sociali, ricerca sociale, 1500-2000, 2003, editore Angeli
- Foa, Introduzione a Bucharin e Preobrazenskij in L’accumulazione socialista, 1973, Editori Riuniti.