Esaminare le culture primitive, di cui non si dispongono testimonianze storiche dirette e la cui realtà è difficile da ricostruire nel dettaglio, è da sempre un campo gravido di suggestioni e stimoli per la letteratura quanto per la ricerca. Tra i numerosi autori che hanno trattato questo tema, la voce di Ernesto de Martino è sicuramente tra le più autorevoli e interessanti.
Nato nel 1908 e vissuto fino al 1965, è tutt’ora una figura di riferimento dell’antropologia italiana e in generale dell’antropologia più recente in quanto fautore del metodo storicistico negli studi etno-antropologici, come si può osservare ne Il mondo magico – Prolegomeni a una storia del magismo, sua prima opera di ricerca.
Etnocentrismo critico
Prima di addentrarci nelle tematiche del testo, è utile spendere qualche parola attorno ad un concetto cardine di tutta la ricerca demartiniana: l’etnocentrismo critico. Per ottenere dei risultati validi e coerenti, lo studioso deve avere ben presente che le sue categorie interpretative sono sempre strettamente collegate alla sua cultura d’origine. Allo stesso tempo, nello studio di altre culture, deve dimostrarsi capace di ricostruire il percorso culturale tanto proprio quanto altrui, individuare i punti in cui le rispettive storie hanno imboccato strade differenti e quindi non cadere nell’errore di porre la propria prospettiva come assoluta, oscurando l’oggetto di indagine con gli strumenti utilizzati. Si spiega così l’accostamento, che potrebbe sembrare ossimorico, dei termini “etnocentrismo” e “critico”.
Tuttavia sarebbe sbagliato ritenere de Martino un relativista. Egli avversò aspramente tale corrente, riponendo anzi una persistente fiducia nel modello occidentale. La cultura europea, sebbene attraversata da crisi che tutt’ora sembrano difficilmente risolvibili, è stata la prima a rivolgere verso se stessa la lente del microscopio. Grazie a discipline come l’antropologia culturale e l’etnologia, lo studioso esamina sì culture altre, ma lo fa anche per avere un quadro più chiaro della propria società e delle sue origini. Deve quindi dimostrarsi all’altezza delle conquiste compiute.
Il problema della realtà della magia e il dramma storico del mondo magico
Passiamo dunque al testo. Leggendo i capitoli primo e terzo (Il problema dei poteri magici e Il problema dei poteri magici nella storia dell’etnologia) si tocca la superficie dell’indagine dell’autore. Ripercorrendo numerose fonti, viene esaminato un argomento delicato e spesso non esaminato con la giusta attitudine, ovvero la realtà effettiva dei poteri magici.
Appare presto chiaro che il problema, per de Martino, non è se esistano o meno persone dai poteri straordinari, ma piuttosto porsi nella giusta prospettiva. Si tratta di studiare elementi che sono in tutto e per tutto costrutti culturali, per quanto sembrino sfidare le convinzioni a cui siamo abituati. Anzi, la migliore via d’accesso al “mondo magico” è comprendere che la visione del mondo che riteniamo ovvia e naturale non è l’unica. Solo così ci si può affacciare su una realtà umana che ha un differente modo di rapportarsi a ciò che la circonda.
È quanto viene trattato nel secondo capitolo, Il dramma storico del mondo magico, la parte più densa ed originale del testo. L’autore sottolinea a più riprese che nella realtà del mondo magico l’individuo non si è ancora affermato in modo stabile, non ha ancora raggiunto quell’autocoscienza che lo studioso occidentale, guardando alla propria storia, concepisce come ovvia e assunta a priori. Il sé, o meglio, usando il termine demartiniano, la presenza, è qui ancora una realtà in formazione, dunque frutto di un processo storico.
Tutta la società magica ruota intorno al rischio perenne di sfaldamento e crollo che la presenza corre e ai relativi rituali che vengono messi in atto per salvaguardarla. Tale labilità della presenza è dovuta ad una presa non ancora ben salda sul mondo, foriera di crisi radicali. La persona cade in movimenti ossessivi e ripetuti, si perde nella reiterazione di suoni, è vittima di fatture che attentano alla sua salute. È qui che interviene l’attore principale della comunità, il mago, ritratto con sembianze salvifiche da de Martino, che arriva a definirlo “Cristo magico”.
Essendo colui che autonomamente, o assistito da altri maghi, è stato capace di dominare la crisi, diventa un punto di riferimento per tutti gli altri. Nel corso del capitolo vengono elencate le varie situazioni in cui il suo intervento è richiesto. Tuttavia, cosa più importante, pur agendo a favore del singolo, va pian piano plasmando rituali che hanno una valenza culturale.
In una dimensione in cui i confini tra individuo e mondo sono incerti, il rituale è un strumento capace di ordinare l’ambiente circostante in sistemi di senso dove ognuno possa muoversi al riparo da esperienze traumatiche. Il fulcro del dramma storico del mondo magico è proprio qui, in questo processo di assicurazione del mondo, dove lo studioso è costretto a rivedere la sua opinione sulle pratiche magiche. Da banali superstizioni e illusioni, si passa a considerarle come il principale mezzo grazie al quale l’umanità fonda e tutela se stessa. Piuttosto che tentare di incapsularla in metri di giudizio scientifici, “oggettivi”, la magia va compresa tramite una ricostruzione storica del suo significato.
Al di là del mondo magico
Nonostante il fascino di tale teoria, l’autore decise di respingerne alcuni passaggi cruciali. Stimolato dalle critiche del suo mentore in campo filosofico, Benedetto Croce, de Martino scarterà l’interpretazione radicalmente storicistica della presenza. Il nucleo essenziale della presenza, ovvero le categorie dello spirito, sono ontologicamente legate all’umanità, non è possibile individuare il momento storico della loro formazione
Tuttavia l’antropologo napoletano tratterrà il concetto di crisi della presenza, che si ritrova in tutte le sue altre opere, seguendo la convinzione che il sé può sempre affacciarsi sul baratro e cadervi. Ed è proprio questo il messaggio più forte della ricerca demartiniana, ovvero che nessuna cultura, meno che mai quella occidentale, deve lasciarsi andare alla presunzione di essere fuori dal rischio della caduta. All’opposto, dev’essere conscia dei pericoli che la insidiano in modo da poterli affrontare e superare.
Bibliografia:
Il mondo magico: Prologomeni a una storia del magismo, Ernesto de Martino [1948], Bollati Boringhieri, 1973/2012
P.S. Per una soddisfacente biografia dell’autore si rimanda al sito: http://www.ernestodemartino.it/?page_id=51
Giovanni Di Rienzo