Ripercorriamo la nascita, l’infanzia e l’adolescenza di Ercole, un uomo che sarebbe diventato, nel giro di tempo, l’eroe più valoroso e più importante di tutto il mito greco, e quindi di tutta l’umanità. Verità o leggenda, il mito di Eracle (gloria di Hera), latinizzato Ercole, è divenuto nei secoli uno dei personaggi simbolo nel folklore popolare, come figura che osò sfidare l’egemonia degli dei vincendo contro tutte le avversità terrene.
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L’inganno a Zeus
Dopo aver fecondato Alcmena, moglie di Anfitrione, con l’inganno, Zeus annunciò a voce alta agli dei:
“Ascoltatemi, dei e dee, che io possa esprimere ciò che il cuore mi ordina! Oggi la dea che aiuta nei parti difficili, Ilizia, farà venire alla luce un uomo che regnerà su tutti quelli che ci stanno intorno e che sarà del mio sangue!”
Hera, già al corrente dell’ennesimo tradimento del marito, aiutata da Ate, la dea degli inganni e degli errori, fa giurare al marito che l’uomo del suo sangue, nato quel giorno cadendo ai piedi di una donna, avrebbe davvero regnato su tutti quelli che stavano intorno. Il dio giurò ignorando che Ate si era seduta sopra la sua testa per indurlo all’errore (quello di sedersi sulla testa degli dei e degli uomini è la specialità della dea).
La nascita di Euristeo e di Ercole
Hera così lasciò la vetta dell’Olimpo ed andò ad Argo presso la corte di re Stenelo dove la moglie Nicippe era al settimo mese di gravidanza. Stenelo è figlio di Perseo, nato appunto dal sangue di Zeus. La fece così partorire e dopo un’ora circa nacque il figlio di Zeus avuto da Alcmena, ovvero Alcide, nome derivato dal padre di Anfitrione Alceo.
Hera ritornò sull’Olimpo ed annunciò a Zeus la nascita dell’uomo che avrebbe regnato su tutti gli argivi, ovvero Euristeo, il figlio di Stenelo e, quindi, non Alcide, “degradando” di fatto il semidio a servitore del sovrano legittimo di Micene e Tirinto.
Scoperto l’inganno di Ate, Zeus l’afferrò per i capelli e la scaraventò fuori dall’Olimpo espellendola per sempre dal sacro monte, condannandola a vagare nel mondo per indurre così all’errore solo i mortali.
Dato che non poteva rimangiarsi la parola data, il dio accettò il danno, però ottenne dalla moglie l’autorizzazione a “promuoverlo” dio quando questi avesse completato le fatiche imposte da Euristeo.
Dopo Eracle, nacque, sempre dal ventre di Alcmena, Ificle, padre del futuro Iolao che lo aiuterà a vincere contro l’Idra di Lerna (una delle sue future fatiche).
L’inganno ad Hera e la nascita della “Via Lattea”
Dopo la nascita, scoperta la verità sulla paternità del suo primogenito, Alcmena, temendo la collera di Hera, avvezza a far impazzire facilmente le rivali (v. Ino), espose il piccolo su una pianura alle porte di Tebe completamente privo di nutrimento materno.
Zeus così convinse Atena ad accompagnare Hera a fare una passeggiata nei pressi delle porte di Tebe.
“Guarda, mia cara, che bimbo eccezionalmente robusto!” disse la dea “glaucopite” simulando una sorpresa. Raccolse il braccio da terra portandolo in braccio e disse: “Sua madre deve aver perduto il senno per abbandonarlo così in questo campo sassoso! Suvvia, tu hai del latte, danne a questa povera creatura!”
La dea non riconobbe il figlio di Alcmena, così mostrò il petto per la poppata. Il bimbo però succhiò con tanta forza che la dea non potette sopportare ed allontanò da sé il bambino; ma il latte della regina degli dei lo aveva già reso immortale.
“Quale mostro è mai questo bambino!” gridò la dea ed uno schizzo di quel latte salì in cielo ed arrivò ad un punto dell’universo che formò la “Via Lattea”.
Atena, quasi ridendo, lo riportò dalla madre raccomandandole di averne cura.
Infanzia di Ercole
Una sera, quando Ercole aveva meno di un anno, Alcmena, dopo aver lavato ambo i gemelli ed allattato i gemelli, li coricò sotto una coperta di vello di agnello in una culla di bronzo che Anfitrione aveva riportato come bottino dalla sua vittoria contro il pirata Pterelao. A mezzanotte circa Hera mandò due serpenti nella casa di Anfitrione per uccidere Ercole. I rettili arrivarono sin nelle culle dei due gemelli. Ificle lanciò grida terribili che svegliarono i due coniugi. Anfitrione scalzo si precipitò nella stanza dei figli dove vide Ificle riverso a terra atterrito perché caduto dalla culla, mentre Ercole, per nulla spaventato, anzi divertito, teneva ambo i serpenti uno per mano morti strangolati. Il bimbo appena vide il padre glieli gettò ai suoi piedi.
Il mattino seguente, Alcmena chiamò Tiresia e gli spiegò gli avvenimenti della notte prima; egli parlò di un prodigo e vaticinò le grandi imprese a cui era destinato. Consigliò inoltre alla donna di compiere un sacrificio bruciando le spoglie di quei serpenti alla mezzanotte del giorno successivo, di portare poi le ceneri sulla roccia che la Sfinge fece sua dimora e spargerle in cielo senza mai voltarsi indietro a guardare.
I precettori di Ercole
Poco più che bambino, Ercole ebbe numerosi precettori che gli insegnarono sia le abilità nel combattimento che nello studio delle arti.
Il primo maestro fu il padre Anfitrione che gli insegnò a guidare il cocchio ed a girare attorno alla meta senza sfiorarla. Il secondo fu il dioscure spartano Castore che gli diede lezioni di scherma, lo istruì nell’arte di maneggiare le armi e nella tattica di cavalleria e fanteria. Arpalico poi gli insegnò il pugilato ed infine Eurito gli insegnò a maneggiare l’arco diventando in poco tempo il miglior arciere del mondo.
Ebbe anche come mentori Eumolpo e Lino. Il primo era insegnante di canto e di musica – la sua mansione era quella di insegnargli a suonare la lira –, mentre il secondo di letteratura. Un giorno, Eumolpo s’assentò e Lino fece da supplente, però Ercole si rifiutò di seguirlo perché riteneva fuorviante la lezione del docente rispetto a quelle impartite da Eumolpo; così Lino lo mise in punizione ed Ercole, per ripicca, gli ruppe la lira in testa uccidendolo sul colpo.
Salvato da una postilla del “codice di Radamanto” che assicurava la “legittima difesa” contro un aggressione, Ercole, seppur ragazzino, riuscì a cavarsela dal processo per omicidio. Il padre, temendo che il figlio potesse uccidere ancora, anche involontariamente, lo mandò a pascolare le mandrie in un possedimento agreste e colà visse sino alla maggiore età.
Tespio e la nascita degli Eraclidi
Ercole, compiuti i 18 anni, lasciò le mandrie ed andò ad affrontare un leone che stava facendo razzie alla mandrie sia del padre Anfitrione che a quelle di Tespio, sovrano di Tespie, una piccola città in Beozia ai piedi del monte Elicona, il cui patrono era Eros, il dio dell’amore e della passione carnale.
Quivi Ercole trovò ospitalità presso il re perché il leone si rifugiò sull’Elicona. L’eroe gli diede la caccia per ben cinquanta giorni e per cinquanta notti, a sua insaputa, giacque con ognuna delle figlie che il re ebbe dalla moglie, ingravidandole tutte.
Nacquero così cinquanta figli denominati in futuro “Eraclidi”.
Il ritorno a Tebe, la guerra contro Orcomeno e la follia
Ucciso il leone e vestito con la sua pelle, Ercole lasciò Tespie, e ritornò a Tebe sottomessa da un’orribile immolazione di bestiame da versare alla vicina Orcomeno. Così l’eroe organizzò il contrattacco riuscendo a vincere e liberare la stessa Tebe perdendo però in battaglia l’amato padre Anfitrione.
Creonte così gli diede in sposa la figlia Megara con la quale ebbe due figli. Hera però si vendicò sull’eroe rendendolo pazzo; Ercole, in preda al delirio, uccise i figli.
L’eroe fu così espulso dalla città, si recò a Delfi e la Pitonessa gli ordinò prima di cambiare il nome: da Alcide ad Ercole (latinizzato) e poi di recarsi a Tirinto da Euristeo il quale gli avrebbe ordinato di scontare la pena attraverso delle “fatiche”.
Marco Parisi
Bibliografia:
- Karoly Kerenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore
- Robert Graves, I miti greci, Longanesi e C.