Memoria Russa: l’uso politico della Storia da Lenin a Putin

Per Maurice Halbwachs la memoria non può essere mai intima e personale ma è sempre pubblica, collettiva. Accade però che proprio perché pubblica, essa possa essere facilmente manovrabile da partiti e movimenti politici per poterla sfruttare a proprio vantaggio: analizzeremo di seguito il caso della memoria russa.

Nella Russia contemporanea la concezione della Storia si è diversificata in due filoni differenti, uno storiografico e uno riguardante l’opinione pubblica. La storiografia russa è nettamente in crescita grazie alla recente apertura degli archivi del regime sovietico (la cosiddetta “Rivoluzione Archivistica”) ai maggiori contatti con gli studiosi dell’Europa Occidentale e alla fondazione di associazioni di storici professionisti e non, come la “Memorial” con sede a Mosca.

L’opinione pubblica russa tende invece a rimuovere i lati negativi del proprio passato, mitizzando alcuni aspetti della storia sovietica: così accade per la Grande Guerra Patriottica (la II Guerra Mondiale) considerata dalla storica Dina Khapaeva come una memoria avente funzione di “mito di sbarramento” nei confronti degli orrori dello Stalinismo.

Nel 1999 un sondaggio chiedeva agli intervistati di indicare i dieci personaggi più eminenti della storia russa: Stalin risultava al quarto posto con il 35% delle preferenze, che salivano al 46% se si considerava la fascia della popolazione al di sopra dei 50 anni. Quest’esaltazione del periodo stalinista era dovuta principalmente a due motivi: la democrazia instauratasi ormai da nove anni non aveva risolto la maggior parte dei problemi pertanto la nostalgia per il periodo della grande Unione Sovietica, temuta e rispettata dal mondo intero, prendeva sempre più piede.

Inoltre la grande maggioranza dei partecipanti ai sondaggi, essendo nata e cresciuta sotto il regime sovietico, aveva una concezione della storia completamente falsata.

Fin dalla Rivoluzione d’Ottobre le scienze storiche sono state lo strumento ideale per l’apparato ideologico dello Stato sovietico, “scienze represse che divenivano un potente strumento di repressione”. Pokrovskij, a capo della storiografia durante il governo di Lenin, era cosciente dell’importanza dell’uso politico degli archivi, potente arma al servizio delle campagne ideologiche del partito.

Il controllo degli archivi e l’influenza sulla memoria russa

Chiusure e distruzioni degli archivi non si ebbero soltanto sotto Lenin e Stalin ma proseguirono fino al crollo dell’URSS. Esemplificazione è il caso del carteggio tra il capo del KGB Selepin e Nikita Chruscev  riguardo il massacro di Katyn: per difendere lo Stato e confermare la versione che vedeva colpevoli i nazisti, era proposta la distruzione di 21.857 fascicoli riguardanti i soldati polacchi fucilati su ordine del Politburo. Secondo Selepin questi documenti, oltre ad essere pericolosi per il governo sovietico, non potevano rappresentare alcun interesse storico, neanche per gli stessi polacchi.

Le distruzioni riguardavano, oltre gli archivi pubblici, anche le memorie russe private e familiari. Nelle notti tra il 1937 e il 1938 l’aria delle maggiori città russe si riempiva dell’odore di carta bruciata: come autodifesa contro il terrore sovietico, le famiglie davano fuoco a tutti i loro documenti che potessero collegarle ad un determinato ceto o mestiere. Questo accadeva perché il governo di Stalin aveva una definizione fluida di nemico e qualunque classe sociale poteva essere coinvolta, da un giorno all’altro, nelle purghe.

La memoria russa distorta

Un caso a parte è rappresentato dai sopravvissuti ai gulag che utilizzavano la rimozione delle proprie memorie come strategia di sopravvivenza contro i traumi subiti. Molteplici studi sono stati interrotti proprio per l’impossibilità degli ex detenuti a rispondere a domande sul proprio passato e sulla loro esperienza nei campi di prigionia.

E’ evidente come la coscienza storica di intere generazioni sia stata distorta e manipolata. Dopo il crollo dell’URSS non vi è stato un cambiamento radicale della classe politica e soprattutto negli ultimi anni sono saliti al potere personaggi legati alla nomenklatura sovietica, che tendono a rimuovere dall’opinione pubblica qualsiasi ricordo negativo del vecchio regime.

Come nella Germania del primo ventennio del secondo Dopoguerra, così  la memoria russa pubblica dei primi anni 2000 è stata soggetta ad operazioni di “amnistia e amnesia”.

Tentativi di legislazione della memoria russa

Risale al 6 maggio 2009 la proposta di legge sulla Memoria del partito Russia Unita alla Duma, contro i tentativi di riabilitazione del Nazismo e le accuse alla coalizione antihitleriana. Già nel 2006 Vladimir Putin si era scagliato contro i “falsificatori del passato”, accusati di voler danneggiare la Russia, sovvenzionati da potenze straniere. Nella sua politica, il Presidente della Federazione Russa tendeva a banalizzare il periodo del terrore stalinista, esaltando ed eroicizzando il ruolo dell’esercito e della polizia nella storia del Paese.

E’ in questo clima di tensione che, nel dicembre 2008, avvenne un attacco da parte del governo alla fondazione Memorial: furono sequestrati i computer della loro sede di San Pietroburgo e un ideologo del regime, Pavlovsky, pubblicò contemporaneamente un articolo in cui accusava l’ONG di presentare una visione estremamente negativa del passato russo.

La proposta di legge del 2009 prevedeva dunque la creazione di un tribunale civile per vegliare sulla preservazione della memoria russa e una modifica del codice penale per punire, con pene dai 3 ai 5 anni di reclusione, chiunque vi attentasse. Assoggettati alla legge sarebbero stati anche tutte le Nazioni, ora indipendenti, che facevano parte dell’URSS il 22 giugno 1941.

memoria
Putin e Medvedev

Il 15 maggio 2009 viene istituita dal presidente Medvedev una commissione contro i tentativi di falsificazione della storia a sfavore della Russia. Abolita nel 2012 essa era composta da 28 membri tra politici e giornalisti, guidati da Sergey Naryshkin, capo dell’amministrazione presidenziale; gli unici storici del gruppo erano Vladimir Kozlov, Alexandr Tchoubarian e il nazionalista estremo Andrei Sakharov.

A complicare la situazione entrò in gioco la cosiddetta “Dichiarazione di Vilnius”: tra il 29  giugno e il 3 luglio 2009, durante le celebrazioni del 70esimo anniversario dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale tenutesi nella capitale lituana, i crimini del regime comunista furono equiparati ai crimini nazisti.

In risposta a questo confronto, considerato dai russi come inaccettabile, il presidente del consiglio della federazione Mirnov pubblicò un articolo in cui paventava le falsificazioni della storia, pericolo oggettivo per la sicurezza nazionale della Russia. Nello stesso periodo avvenne però un cambio di rotta nella politica estera del paese, che aprì un ad un clima di distensione con gli Stati Uniti e gli Stati ex membri dell’URSS: approvare la legge sulla memoria sarebbe risultato quindi dannoso per le relazioni internazionali e per questo essa riscontrò un parere sfavorevole in Parlamento.

Secondo la Duma, la legge non era abbastanza chiara e il vietare di “dichiarare criminali le azioni della coalizioni antihitleriana” poteva apparire come un tentativo di copertura degli orrori stalinisti.

Fu allora riformulata dai deputati di Russia Unita:

“La negazione o l’approvazione dei crimini nazisti contro la pace e la sicurezza dell’umanità, stabiliti dal verdetto di Norimberga, sono passabili delle seguenti pene: 300.000 rubli o 3 anni di reclusione.”

Il problema in questa formulazione riguarda il riferimento ai verdetti di Norimberga che sono alla base del diritto internazionale odierno con  la distinzione dei crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità; non vi è assolutamente nessun riferimento ai “crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità” citati all’interno del progetto di legge.

Sarebbe stato inoltre necessario che nessuna delle decisioni prese a Norimberga fosse stata soggetta a revisione; il problema è che su molti punti, le revisioni sono state effettuate proprio dal governo russo. Ritorna anche qui il caso del massacro di Katyn: proprio durante il Processo di Norimberga i sovietici fecero pressioni per accusare della strage i nazisti; recentemente il governo russo si è addossato tutte le colpe.

Se la legge fosse approvata, anche i rappresentanti del governo sarebbero passibili di revisionismo e quindi imputabili. Attualmente il progetto di una legge sulla memoria russa è stato messo da parte e già nel 2010, dopo aver riconosciuto ufficialmente Katyn come crimine sovietico, Putin ha qualificato lo stalinismo come totalitarismo.

Simone Varriale

Bibliografia

Victor Zaslavsky,  La memoria storica nella russia postsovietica  in Storia, verità, giustizia: i crimini del 20. Secolo, Mondadori, Milano 2011.

N. Koposov, La politica della storia e la legge sulla memoria in Russia, in F. Focardi B. Groppo, L’Europa e le sue memorie, Viella, Roma, 2013