Bella e disinibita, Tamara de Lempicka, nata a Varsavia nel 1898 e cresciuta in Russia, in fuga dalla rivoluzione bolscevica, cerca riparo a Parigi, insieme al marito Lempicki sposato nel 1916.
La capitale francese era allora il centro del mondo, e il quartiere di Montparnasse, luogo di artisti e di uno stile di vita bohémien. Arriva da emigrante e non ha grandi mezzi economici ai quali attingere, decide quindi di intraprendere la carriera d’artista per garantirsi da vivere. Non certo di sopravvivere, no, niente affatto, d’altronde ha chiaro sin dall’inizio il suo obiettivo: diventare la più celebrata pittrice del suo tempo, e ci riesce da subito.
“Avevo un principio: non copiare mai. Crea uno stile nuovo, colori chiari, luminosi; scopri l’eleganza nascosta nei tuoi modelli.”
Ricercata da aristocratici, donne e uomini facoltosi, è quindi l’élite dell’epoca che ella immortala nei suoi quadri; sono tutti affascinanti, vestiti alla perfezione, in smoking spigolosi, luccicanti uniformi o abiti preziosi. Spesso austeri e freddi, superbi nel loro portamento, volti impassibili e con un vago senso minaccioso, inquietante, o trasognante e decadente, ma di forte pregnanza psicologica; simboli di un mondo che sta per scomparire nell’avanzare storico che porterà alla guerra. Nei suoi modelli la bella pittrice polacca non trovò però solo l’eleganza, ma anche e soprattutto la voluttuosa natura delle carni femminili e il fascino erotico dei corpi nudi, giunionici, lasciati languidamente distesi, o disperatamente contorti, mai in ogni caso raggiungibili. Gruppo di quattro nudi femminili (1925),
Andromeda (1927/28), sono splendidi esempi, che devono più di uno stimolo alla visione dell’opera di Ingres (in particolare Il Bagno turco). Il dipinto La bella Rafaela (1927), che ritrae una giovane modella italo-america, divenuta poi oggetto dei suoi desideri, è probabilmente uno dei suoi capolavori in questo senso, nonché uno dei più bei nudi dell’arte.
Lo stile nuovo da lei ricercato, è un compromesso con la cultura artistica più varia dell’epoca, un raffinato miscuglio tra postcubismo, neoclassicismo, “ritorno all’ordine”, ma soprattutto Art déco, che si impose diffusamente a partire dal 1925 con la famosa Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne. La tavolozza pittorica è ridotta a pochi decisi colori, carichi e brillanti, la figurazione semplice e stilizzata. E così la forte presenza plastica delle figure si coniuga spesso a sfondi geometrici, taglienti, caratterizzati da costruzioni moderne, i grattacieli, che poi vedrà di persona una volta trasferitasi in America a seguito del secondo marito, il barone ungherese Raul Kuffner nel 1939, per sfuggire alla morsa nazista. Kuffner era il suo più grande collezionista, nonché ammiratore appassionato, che darà a Tamara finalmente quello che da sempre ricercava, una posizione sociale di alto rango e ricchezza.
Ben presto però la forza seducente dei lavori mondani degli anni iniziali, cedono il posto a soggetti più mitigati, dallo stile severo e dalla composizione più solida, a carattere religioso come santi, madonne e suore (Madre superiora, 1939), ma anche nature morte, anziani (Vecchio con chitarra, 1935), scene di campagna. Un’ umanità comunque non più vincente ma fragile e malinconica, frutto di un raccoglimento solitario e doloroso.
Nel 1962 si ripromette di non esporre più le sue opere in pubblico, entrando in una spirale depressiva, dopo ripetuti tentativi di allinearsi con le correnti artistiche del momento. Aveva cercato di modulare il suo stile, la sua tavolozza, aprirsi all’arte astratta e surrealista, ma finì per produrre opere che lasciarono indifferenti la critica e forse ella stessa. Ciononostante nel 1973 La Galerie du Luxemburg a Parigi organizzò una retrospettiva dedicata all’artista, che offrì la possibilità alle generazioni più giovani di scoprire le opere degli anni Trenta, ed un nuovo, rinnovato interesse per la sua arte, ancora apprezzata sul mercato.
Fu Kizette, la figlia nata dal primo matrimonio, e presente in molte delle sue opere (come Kizette sul balcone 1927) ad esaudire il suo ultimo desiderio cospargendo le ceneri della madre, morta il 18 marzo 1980, sul cratere del vulcano Popocatépetl, in Messico, dove la pittrice si era trasferita nel 1974.
Tamara de Lempicka sarà sempre ricordata come la donna simbolo dei ruggenti anni Venti, spregiudicata e disinibita, magnificamente rappresentata nella sua opera più emblematica Autoritratto (Tamara sulla Bugatti verde, 1925), dove posa in atteggiamento fiero ed elegante, con la presa salda sul volante dell’automobile, lo sguardo freddo e distaccato, ella sembra voler comunicare la sua indipendenza, la sua libertà. È la nuova eroina dei tempi moderni.
Marina Borrelli