Nel 2001, Frank Miller, fumettista di fama mondiale, pubblicò Batman: Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora. A distanza di 15 anni dal capitolo precedente, il pluripremiato capolavoro dell’86, l’autore decise di inscenare un ulteriore ritorno di Batman.
Aspettative
Diventare un’artista di fama mondiale è da sempre un’arma a doppio taglio. Il pubblico si aspetta che ogni opera sia geniale, unica, innovativa. I migliori riescono a fare proprio questo: stupire ogni volta. Tuttavia può accadere che, come pubblico, ci si dichiari insoddisfatti, a torto o a ragione, delle modalità. E a volte si pretende addirittura di indicare agli artisti il modo in cui dovrebbero stupirci: cosa a cui un buon creativo non dovrebbe mai sottostare
Ecco, il punto de Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora e del suo autore è proprio questo. Il pubblico (forse oggi diremmo fandom) si aspettava probabilmente un’esatta replica de Il ritorno del Cavaliere Oscuro. Accade spesso: salta fuori un capolavoro e sboccia il desiderio contraddittorio di serializzarlo. Una pretesa, volendo essere schietti, un po’ ottusa.
Ottusa per ragioni non solo generali, ma anche specifiche. Il Batman a cui Miller ha dato vita nell’86 si inscriveva in una corrente innovativa del fumetto, tanto sul piano formale che su quello contenutistico. Tutti gli anni ’80 sono attraversati da un revisionismo supereroistico radicale. Alan Moore domina la scena con i suoi Miracleman, Swamp Thing, Watchmen, affiancato proprio da Frank Miller (basti pensare a Daredevil o Elektra) e da esperimenti minori, come il Black Orchid di Neil Gaiman.
Ne consegue che Il ritorno del Cavaliere Oscuro colpì l’universo fumettistico come un fulmine perché diede una scarica di originalità tanto a Batman quanto al fumetto in generale. Ma poté farlo proprio perché all’epoca il mercato fumettistico americano ristagnava, richiedeva a gran voce delle novità, andava evolvendosi. Dunque ne consegue anche che Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora, frutto di altri tempi, non poteva sortire gli stessi effetti né suscitare le stesse emozioni.
Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora… ma in modo diverso
Ciò non vuol dire che manchino contenuti e idee al secondo capitolo di questa trilogia, da poco conclusa (anche se si vocifera di un quarto episodio). Tutt’altro. Solo che si muove in una direzione per certi versi opposta al suo predecessore. Nel’86 ci si trovò davanti ad un Batman più realista che mai, a tratti stanco e sempre sull’orlo di violare il suo dogma “non uccidere”. Gli eventi hanno una forte coloritura politica e morale e sono pungenti e cupi. A distanza di un anno, con Batman: Anno uno, Miller continuava in questa direzione con una lettura intimista dei personaggi mostrando un Bruce Wayne alle prime armi, titubante nel compiere la scelta che lo renderà l’uomo che Gotham non merita ma di cui ha bisogno.
Come dicevamo, le cose sono in parte diverse ne Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora. Il numero dei personaggi è più ampio e al contempo i singoli eroi sono più piatti poiché Miller sa di parlare ad un pubblico perfettamente cosciente dell’identità di ognuno di loro. Non mostrano particolare profondità (eccezion fatta per Catgirl e Superman), si affidano a battute ad effetto, ma si tratta di una scelta consapevole nonché condivisa da tante grandi saghe.
Se negli anni ’80 si inseguiva il realismo, qui sembra si miri ad un’atmosfera “cartoonesca”, più vicina a quella delle serie animate. Non è casuale la presenza di due super-villain, Luthor e Braniac, nel ruolo di antagonisti principali. Ne Il ritorno, invece, ci imbattevamo in un Joker carismatico, ma non preponderante.
Tale scelta ha la sua ricaduta più evidente, a tratti sgradevole, sul piano grafico. Il tratto di Miller, come sempre marcato e imponente, raggiunge il suo estremo, fino a scivolare nell’eccesso. Si alternano in modo lunatico tavole curate ed espressive ad altre quasi caricaturali, con personaggi stilizzati all’estremo e una dilagante incuria per le proporzioni, la profondità e la prospettiva. La colorazione, nonostante sia firmata anche in questo capitolo da Lynn Varley, lascia il lettore ugualmente perplesso. Uno sfacciato uso del digitale fa rimpiangere il lavoro meticoloso del capitolo precedente. Tale tecnica conoscerà poi un grande successo, ma qui è applicata in modo piuttosto ingenuo, forse con il preciso intento di sovraccaricare il carattere parodistico di molti disegni. Il tutto in un’incuria quasi totale degli sfondi, assenti quando non monocromatici e privi di dettagli.
È ancora il Cavaliere Oscuro
Se nell’86 Miller contribuiva a cambiare i caratteri del fumetto supereroistico, qui sembra lanciare uno sguardo nostalgico proprio allo stile precedente alla svolta revisionista. Sul piano visivo non offre il meglio di sé e scade spesso nella parodia, quasi volesse canzonare la serietà delle storie contemporanee, influenzate dal revisionismo. Non si può dire altrettanto della sceneggiatura che, seppur dai toni meno cupi e realistici, mostra un chiaro senso di continuità. Non è il Miller innovatore radicale, ma parliamo pur sempre di uno sceneggiatore che si riconferma più che capace di offrire una storia solida e intrigante. Anche la fluida alchimia tra lunghi periodi e frasi lapidarie è quella di sempre.
Mentre ne Il ritorno cercava di esplorare come la politica influenzerebbe gli eroi e viceversa, in Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora le allusioni sono rivolte al mondo reale. Con occhio preoccupato quanto ironico, Miller mette in scena una distopia politica compiuta secondo il modello del totalitarismo morbido. I cittadini vivono una vita agiata ma sono narcotizzati dai vari media e dominati da una élite dispotica, capeggiata da Luthor e Braniac. Gli “eroi in costume”, simbolo della lotta per la giustizia, sono estinti o sottomessi in segreto dal governo. E quando riappaiono inizia a dilagare tristemente la moda di travestirsi guidata da delle improbabili “superpupe”.
Si tratta di un mondo che Batman non può accettare e che per tre anni si è preparato a distruggere. Non c’è più spazio per i compromessi. La lotta per la libertà si trasforma in una vera e propria rivoluzione e se ci scappa il morto perfino Bruce Wayne è disposto a chiudere un occhio. Sebbene si possa restare abbagliati dalla facciata eccentrica dei disegni non bisogna quindi tralasciare che la seconda riscossa di Batman è ancora più dura e violenta della precedente.
Ed è proprio questa guerra che l’amico/nemico Superman stenta ad accettare. Proprio negli incontri/scontri tra i due riecheggia un po’ pigramente il passato, marciando in un déjà vu prevedibile e forse inevitabile. Ma proprio grazie ad essi e alle sollecitazioni dell’impetuosa figlia Lara, l’Uomo d’Acciaio si scuote dall’anonimo ruolo di ago della bilancia e inizia a ragionare da kryptoniano piuttosto che da cittadino americano.
La distruzione che ha invaso Gotham e Metropolis diviene fuoco purificatore foriero di nuovi inizi. Superman e Lara si chiedono cosa fare del mondo. Batman, dopo aver bruciato la sua caverna per la seconda volta, chiude la storia in modo sorprendente. Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora non ci lascia con un volto illuminato dalla luce del domani e affermazioni dall’elevato lirismo, ma con un grugno del tutto pesto e una battuta da cabaret di terza categoria.
Bibliografia:
Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora, Frank Miller, 2016, RW edizioni.
Il ritorno del Cavaliere Oscuro, Frank Miller, 2016, RW edizioni.
Batman: Anno Uno, Frank Miller & David Mazzucchelli, 2016, RW edizioni.
Giovanni Di Rienzo