La traduzione della poesia può essere attuata secondo quattro procedure: 1. in prosa; 2. alineare; 3. con versi metricamente omologhi; 4. traduzione isometra.
La traduzione in prosa è una resa “di servizio” dell’originale, sacrificando la forma alla lettera del testo; lo stesso vale per la traduzione alineare, in cui ogni verso dell’originale corrisponde a un rigo di prosa. L’uso di forme metriche omologhe a quelle dell’originale contraddistingue molte traduzioni poetiche: un esempio è dato dall’impiego dell’endecasillabo sciolto come equivalente dell’esametro nelle versioni di poeti epici antichi.
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Traduzione isometra: come e perché?
La traduzione isometra cerca di restituire la forma metrica del testo originale. Questa soluzione pone al traduttore una serie di problemi. Una traduzione isometra vera e propria è possibile soltanto tra lingue con la stessa prosodia. Nel testo poetico il contenuto viaggia di pari passo con la forma che il poeta ha imposto al testo. Il messaggio quindi è mediato da due fattori imprescindibili, struttura metrica e lettera. La traduzione isometra (=stesso metro) cerca di rendere conto, con meno danni possibili, di questa dualità.
“Then, in a language newly learned
I grew another stalk and turned
Your stanzas, patterned on a sonnet,
Into my honest roadside prose-
All thorn, but cousin to your rose.”(“e in una lingua appena appresa/piantavo un nuovo stelo e ho resa/la tua stanza a mo’ di sonetto/nella mia onesta e bassa prosa/-spina e cugina alla tua rosa.” Nabokov nel tradurre Evgenij Onegin di Puskin)
Traduzione della poesia antica
Nella poesia antica il rapporto tra il contenuto del testo e il suo impianto formale è ancora più necessario. Nella poesia greca e in quella latina la forma metrica designava il genere dell’opera, portando con sé implicitamente un intertesto tradizionale di temi, lessico, figure retoriche.
Privare l’epica antica, o l’elegia o il teatro, del suo impianto formale significa doverli necessariamente integrare o con il testo a fronte e un apparato di note, o con lo studio pregresso della struttura di partenza. In ogni caso nella fruizione in lingua d’arrivo il lettore necessariamente perderà qualcosa. Per altro la resa in italiano di questi testi pone un problema fondamentale dal momento che la prosodia quantitativa delle due lingue classiche ha criteri molto diversi da quella accentuativa italiana, in cui le quantità sillabiche non sussistono.
Traduzione nei metri barbari e neo-classici
Nella poesia italiana la riproduzione dei metri greco-latini si è avuta principalmente grazie all’opera di Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli. Carducci impiegò unità metriche italiane combinandole in modo da restituire la tipologia metrico-verbale dei versi greci e latini e riecheggiarne alla lontana i ritmi. Per esempio gli accenti ritmici di un verso carducciano come andàvano andàvano cullàndosi lènte nel sòle sono l’imitazione approssimativa degli accenti di parola di un esametro latino come sed màge pacàta posse òmnia mènte tuèri (Lucrezio).
Invece Pascoli cercò di costruire in italiano una metrica basata sull’equivalenza artificiale tra sillaba accentata italiana e sillaba lunga greco-latina. Ne risultavano così esametri italiani il cui ritmo accentuativo ricalca sistematicamente la scansione metrica del verso antico. Per esempio un verso come rè neghittòso alla vàmpa del mìo focolàre tranquìllo riproduce gli stessi ictus metrici di un esametro latino come quàdripedànte putrèm sonitù quatit ùngula càmpum (Virgilio). Pascoli applicò la sua metrica neo-classica alla traduzione dell’Iliade e dell’Odissea.
La traduzione isometra dell’Eneide a cura di Alessandro Fo
Una soluzione nuova è rappresentata dalla metrica adottata da Alessandro Fo nell’Eneide. Fo costruisce un esametro in parte simile a quello carducciano, usando per lo più ottonari, settenari, novenari e decasillabi, ma ammettendo la possibilità che il verso termini con una sdrucciola. Così si ottiene una forma che è a metà strada fra il verso libero cadenzato e l’esametro barbaro.
Le traduzioni isometre di Omero e Virgilio a opera di Daniele Ventre
Ancora diverse sono le forme metriche approntate da Daniele Ventre nelle sue traduzioni dei poemi omerici (Iliade 2010, Odissea 2014) e dell’opera completa di Virgilio uscita a febbraio 2018 per Mesogea. In esse si riprende in parte il modello pascoliano, tramite la mediazione di un poeta di fine Novecento, Toti Scialoja, che in alcune raccolte impiegò un esametro liberalizzato formato da un ottonario seguito da un novenario.
Il risultato è la riproduzione di un ritmo dattilico abbastanza simile a quello del verso antico, con alcune soluzioni metriche, senza eccessive irregolarità. L’elemento fondamentale è però l’abbinamento fra questa struttura e una ricreazione in italiano della lingua formulare dattilica di partenza. Questo fenomeno è particolarmente evidente per Omero, ma emerge anche nella nuova traduzione dell’opera virgiliana.
Restituzione di forme e figure retoriche
La traduzione di Daniele Ventre, tenendo conto della complessa struttura stilistica del testo antico, cerca di riprodurne anche le principali figure retoriche:
“Titiro, tu, riposando al fresco d’un faggio frondoso/ alla tua Musa silvestre dài voce sul flauto sottile.” (Bucoliche, I 1-2)
Tityre, tu, patulae recubans sub tegmine fagi/ sivestrem tenui Musam meditaris avena.
“Canto le armi e l’eroe che primo dal suolo di Troia/ fino in Italia approdò per fato, alle sponde Lavinie/ profugo[…]” (Eneide, I 1-3)
Arma virumque cano Troiae qui primus ab oris/ Italiam fato profugus Laviniaque venit/ litora […].
Arianna Colurcio