Spesso sentiamo dire che gli l’omosessualità nell’Antica Roma non fosse tollerata, ma fosse condannata come elemento culturale importato dalla Grecia.
In realtà è necessario fare le dovute distinzioni. I Romani rinnegavano la pederastia, cioè la relazione tipicamente greca tra un adulto ed un ragazzo dotata di funzione educativa. Questo non si traduceva, però, con una condanna degli amori omoerotici in toto.
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L’ omosessualità nell’antica Roma prima del contatto con la Grecia
Ben prima del contatto con la civiltà greca, era già pratica comune per il pater familias romano avere rapporti con i suoi schiavi. Ciò non sminuiva affatto la virilità del cittadino. Al contrario, sottomettere un altro uomo era considerata una prova estrema di virilità. Lo schiavo, dal canto suo, non poteva che sottostare ai desideri del padrone. Sappiamo che anche una volta diventato liberto questi doveva accettare di sottomettersi alle richieste sessuali dell’ex padrone.
Le più antiche testimonianze delle unioni omosessuali a Roma tra padrone e schiavo si trovano nelle commedie plautine. Spesso infatti ci si prende gioco dello schiavo in scena ricordandogli che dovrà sottomettersi al padrone. Sebbene la commedia di Plauto abbia un fortissimo legame con quella greca, tali allusioni sembrano rimandare alla quotidianità romana.
Le limitazioni imposte dalla legge all’ omosessualità nell’antica Roma
La legge vietava solo determinati tipi di rapporti omosessuali a Roma. Infatti era necessario impedire che un civis romanus ricoprisse il ruolo passivo nel rapporto, alla stregua di uno schiavo. Ha questo scopo una legge di età repubblicana, la lex Scatinia, emanata nel 149 a.C. Secondo Plutarco, la legge prenderebbe il nome da Caio Scatinio Capitolino, che aveva tentato di sedurre il figlio di Marco Claudio Marcello. Quest’ultimo lo aveva denunciato ottenendo che fosse condannato.
Dunque i Romani non ritenevano scandalosi gli amori omoerotici in sé, ma consideravano vergognoso che un uomo adulto facesse da partner passivo. Infatti in questo caso lo definivano impudicus. Tale disprezzo per la passività è da ricollegare al più generico rifiuto dei Romani per la mollezza e per la debolezza, di cui spesso sono accusati i nemici, in primis i Greci.
I poeti cantano l’ omosessualità nell’antica Roma
Tuttavia ai poeti romani era concesso cantare dell’amore per i fanciulli, anche liberi. Sembra che dal II secolo a.C. fosse diventata una moda comporre carmi per corteggiare un puer alla maniera dei carmi simposiali greci. Basti pensare a Catullo, che dedica vari carmi ad un certo Giuvenzio. Al giovane dedica versi che ci ricordano i mille baci chiesti a Lesbia:
“i tuoi occhi di miele, o mio Giuvenzio,
se potessi baciarli come voglio,
trecentomila volte bacerei”.
Inoltre in alcuni componimenti, volendo offendere i pretendenti di Lesbia suoi rivali, si vanta di essere in grado di sottometterli tutti sessualmente. Un’ulteriore prova che per il partner attivo avere rapporti omosessuali a Roma era considerata come una prova di estrema virilità.
Orazio, invece, si vanta di amare sia donne che giovani. Seguendo certamente un topos ellenistico, egli afferma che i giovani sono legittimamente oggetto dell’amore di un uomo adulto, finché non spunta loro la barba.
Anche Properzio elogia l’amore per i ragazzi, che definisce “un fiume placido e senza naufragi”.
Al contrario Ovidio da rivoluzionario afferma di preferire gli amori eterosessuali, perché suscitano il piacere di una donna, mentre è convinto che il partner passivo di un rapporto omosessuale non provi piacere.
L’ omosessualità nell’antica Roma: gli imperatori
Già prima della nascita dell’impero ci furono esempi di accuse di omosessualità passiva a uomini di potere. In particolare Cesare, per essersi concesso a Nicomede, aveva la fama di impudicus, tanto da essere spesso chiamato in tono canzonatorio regina dai suoi rivali.
Anche Augusto fu accusato di impudicitia: secondo alcuni nemici si sarebbe concesso allo stesso Cesare per ottenere il potere.
Agli imperatori successivi sono attribuite innumerevoli accuse di impudicitia. Tiberio si sarebbe dedicato ad ogni tipo di piaceri durante il suo soggiorno a Capri. Caligola avrebbe compiuto efferatezze di ogni genere, unendosi anche con un pantomimo. Nerone sarebbe arrivato a far celebrare per due volte le sue nozze con un altro uomo, in un caso rivestendo il ruolo di sposa e nell’altro di sposo.
È notissima anche la relazione di Adriano con Antinoo, giovane protetto dell’imperatore che seguiva anche nelle sue missioni. Dopo essere morto in circostanze misteriose annegando nel Nilo nel 130, mentre era ancora una volta al seguito dell’imperatore, Antinoo fu addirittura divinizzato.
È molto nota anche la tradizione sull’impudicitia di Eliogabalo, ma sono accusati di avere rapporti omoerotici anche Costantino e Costante, il quale aveva promulgato con il fratello Costanzo una costituzione che puniva severamente l’omosessualità passiva.
C’era dunque una doppia morale, che separava gli uomini di potere dai cittadini comuni? Certamente gli imperatori, forti della loro superiorità assoluta, non si sentivano vincolati a rispettare le leggi, nemmeno quelle promulgate da loro stessi. Inoltre bisogna tener conto della progressiva ellenizzazione dei costumi, che aveva portato alla diffusione della pederastia nel mondo aristocratico.
Tuttavia non dobbiamo dimenticare che per i biografi antichi era di norma inventare notizie scabrose sugli imperatori. In particolare, quello del tiranno dedito ai vizi sessuali era un topos ricorrente.
Il contatto con la morale cristiana
Con l’affermarsi della religione cristiana si affermava un nuovo modo di concepire i rapporti omosessuali e in effetti la sessualità in genere. Per la prima volta con il cristianesimo si fa una distinzione netta non tra attivo e passivo, ma tra rapporto eterosessuale ed omosessuale, considerato contro natura. Gli imperatori, però, non si adattarono immediatamente alla morale cristiana, in quanto gli ideali romani basati sulla virilità erano ancora molto sentiti. La già ricordata costituzione di Costante e Costanzo del 342 puniva solo gli omosessuali passivi, come i successivi interventi di Teodosio I e Teodosio II.
Il primo imperatore che si adeguò in pieno ai dettami cristiani fu Giustiniano. Nel 533 egli sancì che gli omosessuali, senza più alcuna distinzione, fossero condannati a morte.
Serena E. Di Salvatore
Bibliografia:
- Cantarella Eva, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Milano 1995 (1a ed. 1988).
- Veyne Paul, L’omosessualità a Roma, in AAVV, I comportamenti sessuali, Torino 1983 (trad. it. di Sexualités occidentales, Paris 1982).