Francesco Guccini, sussurrando con la sua voce avvolgente questi versi tratti da Gli artisti, penultima traccia del suo disco d’addio L’ultima Thule, inciso nel 2012, si avviava a trarre definitivamente le somme della sua cinquantennale carriera da cantautore:
“Perché anche una vita infelice si illumina con la fantasia/ Io semplice essere umano, costretto a costretti ideali/ Sono solo un umile artigiano e volo con piccole ali/ Fabbrico sedie e canzoni, erbaggi amari, cicoria/ O un grappolo di illusioni che svaniscono dalla memoria/ e non restano nella memoria”.
Da quel momento, infatti, non c’è stata nessuna nuova incisione del “maestro di Pavana”, che ha continuato nei romanzi a dare espressione alla sua insaziabile ricerca narrativa.
D’altronde, se si ascolta con attenzione la discografia di Guccini, non può non apparire evidente che l’autore ha costruito la propria poetica sul nesso fortissimo tra letteratura e materia biografica, che si fondono spesso per un’esigenza comunicativa, per esprimere dubbi, paure, perplessità e speranze.
I protagonisti delle sue canzoni hanno origini e caratterizzazioni diverse: ai personaggi del mondo della letteratura – fra i molti si ricordino Chisciotte, Gulliver, Cyrano e Odisseo – si accompagnano le donne e gli uomini incontrati durante la sua lunga vita. Tutti questi soggetti, apparentemente distanti tra di loro, presentano in realtà una caratteristica comune: la ricerca delle proprie “radici”.
Sono personaggi, infatti, in costante partenza verso una “direzione” non ben precisata, caratterizzati da un “io” tormentato da “domande consuete”, che cercano un significato per le proprie esistenze non vergognandosi di immedesimarsi in quelle altrui, come chi osserva “le luci nel buio di case intraviste da un treno”.
Se per Guccini, come per Ungaretti, “la meta è partire”, l’autore accetta di perdersi “dietro a frasi di canzoni, dietro a libri e ad aquiloni, dietro a ciò che non sarà”. Ecco allora che veste i panni di un moderno Chisciotte, tramutando la sua chitarra e i suoi versi nell’armatura letteraria degna di un “romantico rottame”.
Appare giustificata, dunque, la scelta del cantautore a voler letteraturizzare vite, dando spazio a eroi “poveri”, che “si chiedono troppi perché”.
La perfetta espressione di questa volontà narrativa di Francesco Guccini si può ritrovare nella sua versione di Odysseus, proposta nel disco del 2004 intitolato Ritratti: Odisseo, presentato come un uomo destinato a viaggiare, seppur non viaggiatore nato (“non appartenevo al mare/ anche se i Dei d’Olimpo e umana gente mi sospinsero un giorno a navigare”), va alla ricerca di un qualcosa che sa che forse non potrà trovare, ma da cui sente che dipende il senso della sua esistenza:
“E il mare trascurato mi travolse, seppi che il mio futuro era sul mare/ con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare […]/ Ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli di presente,/ ti esalta l’acqua e al gusto del salato brucia la mente/ e ad ogni viaggio reinventarsi un mito a ogni incontro ridisegnare il mondo/ e perdersi nel gusto del proibito sempre più in fondo […]”.
Arricchendo i suoi versi di citazioni tratte da Foscolo e Kavafis, Francesco Guccini dona al suo Odisseo, anziano e melanconico per un passato che non può più vivere, la consapevolezza di “un’eterna vita racchiusa in versi, in ritmi, in una rima” che gli danno “ancora la gioia infinita di entrare in porti sconosciuti prima”.
Il tema del viaggio viene riproposto da Guccini, all’interno dello stesso disco, nel ritratto del navigatore per antonomasia, Cristoforo Colombo. Teso verso “un mondo impensabile ancora da ogni teoria”, Colombo diviene esempio di un tenace eroismo e metafora dell’anelito umano a cercare.
Come evidenzierà anni dopo lo stesso autore in un’intervista, la lotta dei suoi personaggi è proprio contro un sistema, come quello attuale, “che chiude”: “[…] Ecco perché Don Chisciotte parte, ecco perché Cristoforo Colombo va… È il discorso relativo anche a Odỳsseus, che ‘dei remi fa ali al folle volo’, come dice Dante. Questi personaggi devono cercare, sapendo però che è impossibile conoscere veramente, sapere veramente”.
Il vecchio e il bambino: la vita come arte dell’incontro
La stessa convinzione appartiene ai personaggi “anonimi” delle canzoni di Francesco Guccini, che, “come in un libro scritto male”, fanno della loro vita arte dell’incontro.
È il caso de Il vecchio e il bambino, dove la narrazione offre uno sfondo a metà tra il fiabesco e il nostalgico: il vecchio accompagna per mano il bambino in un percorso che si muove sia verso la dimensione del ricordo di “miti lontani”, sia verso quella di un presente apocalittico, dove al posto di “frutti”, “fiori” e “colori” domina “il tetro contorno di torri di fumo”. Ormai il “ritmo delle stagioni” non coincide più con il “ritmo dell’uomo”, spiega il vecchio con disincanto, in un inconsapevole richiamo alle pagine esiodee.
Tuttavia sarà proprio il bambino che, con vivace incredulità, concederà al vecchio una sospensione dalla melanconica realtà, chiedendogli di raccontare altre “fiabe”: l’anziano, vittima delle “ingiurie degli anni”, vivrà una tenera illusione di recupero del proprio passato attraverso il medium della narrazione, incapace alla sua età di “distinguere il vero dai sogni”.
Francesco Guccini sembra, dunque, esprimere attraverso queste sue “maschere” ciò che evidenzia il critico letterario palestinese Edward Said in Orientalismo: l’ultimo periodo della vita si caratterizza per la contraddizione e la disarmonia, che proietta l’uomo “in una dimensione differenziale che lo monadizza”.
Se tutto sembra deformarsi nella visione “prismatica” della vecchiaia, l’autore emiliano riconosce alla canzone, così come alla letteratura, un ruolo di àncora a cui aggrapparsi.
Francesco Guccini e L’ultima Thule
Quando registra L’ultima Thule ha più di settant’anni e, per sua stessa ammissione, non ha più le energie necessarie per sostenere concerti dal vivo. La sua “navigazione” musicale, a differenza di quella dei suoi personaggi, giunge a un punto di non ritorno: l’ultima Thule è un’isola leggendaria, indicata come “una terra di fuoco e ghiaccio nel quale il sole non tramonta mai”, situata al di là del mondo conosciuto. Qui il cantautore chiede all’ascoltatore di accompagnarlo per il suo ultimo viaggio:
“E qui da solo penso al mio passato,/ vado a ritroso e frugo la mia vita,/ una saga smarrita ed infinita/ di quel che ho fatto, di quello che è stato”.
Guccini si trova di fronte all’interrogativo che tante volte ha cantato in Un altro giorno è andato, brano di spicco del suo disco L’isola non trovata del 1970: le “frasi a cui nessuno bada”, scritte dall’autore nella sua cinquantennale carriera, devono ora fare i conti con un tempo che inesorabilmente corre via. Adesso che ha trovato l’isola, scopre che il senso del viaggio, suo e di tutti gli uomini, è il viaggio stesso, di cui alla fine non resta che tracciare in piena solitudine il bilancio.
Il cantautore emiliano ha deciso di allontanarsi dai suoi “fantasmi giovanili”, dalle “Silvie beffeggianti”, dagli “eskimo innocenti dettati solo dalla povertà”, dai “piccoli autogrill”, situati “fra la via Emilia e il West”, ma non per rinnegarli o cancellarli dalla sua memoria. Sul vascello che lo ha condotto all’ultima Thule ha portato con sé tutti i suoi personaggi, che, se gli ricordano il tempo passato, sanno talvolta offrirgli ancora un “suono” e un “bicchiere” per brindare alla vita:
“E un’altra volta è notte e suono, non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo e voglio in questo modo dire ‘sono’ o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto o forse perché ancora c’è da bere e mi riempio il bicchiere… “.
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Luca Florio