Nonostante le posizioni di Pico della Mirandola abbiano subìto una leggera mutazione nella fase finale del suo pensiero, l’Oratio de hominis dignitate ( Discorso sulla dignità dell’uomo ) rappresenta ancora oggi un’opera di assoluto pregio dal punto di vista stilistico. Peculiare è soprattutto l’attenzione che il filosofo, dalle straordinarie capacità mnemoniche, riserva all’uomo e al ruolo che egli assume nell’universo rispetto a quello delle altre creature viventi.
Indice dell'articolo
La nascita e lo stile dell’Oratio de hominis dignitate ( Discorso sulla dignità dell’uomo )
È curioso notare che proprio l’Oratio de hominis dignitate sia considerato la più importante opera speculativa realizzata da Pico della Mirandola. Lo scopo dell’orazione era, infatti, quello di dare avvio ad una disputa che il filosofo aveva intenzione di proporre nel gennaio del 1487. Al centro del dibattito ci sarebbero dovute essere ben 900 tesi filosofiche e non l’Orazione, considerata dallo stesso Pico solo un preludio di poco conto.
Del resto questo dibattito non avvenne mai. Ciò non tanto per i contenuti del testo, quanto per le accuse di eresia che furono mosse a Pico da Papa Innocenzo VIII. Da esse scaturì anche l’arresto del filosofo in Francia. L’opera, però, ha avuto un riscontro positivo soprattutto per i posteri. Questi ne hanno apprezzato non solo l’aspetto speculativo ma anche la ricercatezza stilistica e retorica, che contraddistingue soprattutto la prima parte.
Se, infatti, lì abbondano riferimenti biblici e letterari classici ma anche medioevali, nella seconda parte – che egli poi riutilizzerà anche nell’Apologia in difesa dalle accuse – il testo diventa più semplice e concreto. Questa differenza è quasi certamente ascrivibile al fatto che la seconda sezione fu redatta più frettolosamente. Pico aveva necessità di replicare nell’immediato alle prime critiche ricevute.
L’uomo al centro dell’universo e artefice di se stesso
Pico si sofferma innanzitutto sul tema della libertà, che prima di ogni altra cosa è ciò che determina l’uomo. Poco dopo averlo paragonato ad un miracolo, il filosofo scrive:
“Alla fine mi parve di aver compreso perché felicissimo tra gli esseri viventi […] sia l’uomo; e quale veramente sia quella condizione che egli ha avuto in sorte nell’ordine dell’universo, invidiabile non solo dagli animali bruti, ma anche dagli astri e dalle intelligenze ultramondane.”
L’enunciato fa presagire che il fatto che l’uomo si trovi nel cosmo in una posizione diversa sia riconducibile proprio alla sua origine. Anche l’attesa e la suspense che già si denotano in questa prima fase ricorrono costantemente nel testo. Contribuiscono, inoltre, a rendere la forza descrittiva del suo pensiero. Pico prosegue:
“Non ti creammo né celeste né terreno, né mortale né immortale. […] Potrai degenerare negli esseri inferiori, ossia negli animali bruti; o potrai, secondo la volontà del tuo animo, essere rigenerato negli essere superiori, ossia nelle creature divine.”
Queste sarebbero state, a detta di Pico, le parole che Dio rivolge ad Adamo, perché, dopo aver assegnato a tutte le creature un preciso ruolo e dono, si rende conto di non avere più a disposizione “tesori” da distribuire. Non poteva lasciare la sua opera incompleta e, dunque, all’uomo che è uguale agli altri, ma privo di caratteri peculiari, concede l’arbitrio di poter decidere se elevarsi alle cose divine o a quelle brute. All’uomo spetta allora il bene più grande: quello di autodeterminare se stesso.
Pico della Mirandola: tradizioni filosofiche e Cristianesimo
Nel pensiero pichiano, dunque, la dignità umana si caratterizza attraverso la scelta delle azioni, ma come può l’uomo avvicinarsi a Dio e amarlo se non lo conosce?
Per rispondere a questa domanda Pico si appella alla filosofia morale, che serve a reprimere i bassi istinti e a quella naturale che serve a rischiarare l’anima.
A ciò, aggiunge:
“Ci raccomandiamo di non trascurare […] la parte razionale con cui l’anima tutto misura, giudica ed esamina, ma di guardarla assiduamente e stimolarla con l’esercizio e la regola dialettica.”
Anche la teologia, che il filosofo comunque intende in accezione filosofica, contribuisce ad innalzare lo stato dell’uomo. Ecco perché questa seconda sezione viene tipicamente sintetizzata con l’appellativo di “elogio alla filosofia”. Alla base della disputa c’è un metodo preciso: analizzare le antiche tradizioni filosofiche, i testi sacri, e tutte quelle tesi che possono essere oggetto di discussione. Tra queste ultime rientrano anche quelle escogitate dallo stesso Pico. I temi saranno di fisica, metafisica, cose naturali e divine. Questo metodo non deve essere frainteso come una ricaduta nel relativismo filosofico.
Pico scrive:
“Né questo mi venga imputato, di giungere come ospite dovunque la tempesta mi spinga”.
L’apertura al confronto, che già Platone ed Aristotele adottavano, non elide il fatto che il vero vitae magister sia Cristo. La rassegna filosofica è un iter che viene proposto nell’intento di cogliere l’affinità tra la fede cristiana e la filosofia, laddove quest’ultima viene liberata “dalle latebre delle favole”.
Libertà e/è dignità
Il trattato di Pico è considerato storicamente non a caso il manifesto del Rinascimento italiano per eccellenza. L’entusiasmo che emerge in questa orazione, per ciò che concerne la posizione dell’uomo nell’universo, è un elemento che ritroviamo in tutte le declinazioni rinascimentali successive. Pico non solo connota l’uomo di un valore inedito, quello cioè di poter essere ciò che desidera, ma coadiuva la libertà alla dignità. Questo connubio affrancatosi dall’accezione cristiana del libero arbitrio ha avuto un seguito anche nel pensiero di Marx. Oggi più che mai questi due concetti viaggiano insieme in ambito giuridico, bioetico e politico.
Consideriamo inoltre che etimologicamente la parola “dignità” (dal greco ἀξίωμα) aveva una duplice accezione di “assioma/principio” e “dignità”. L’etimologia dunque sottolinea la vicinanza all’aspetto morale. La libertà può nobilitare l’uomo. Essere meritevoli della libertà concessa è lo snodo centrale, il senso dell’Oratio. Pico nel porre questioni, sfidare la censura e replicare ai suoi accusatori mette in pratica proprio il senso della libertà di cui si fa portavoce.
Egli è consapevole del fatto che l’uomo sia artefice di se stesso e che pertanto possa avvicinarsi a Dio, a patto, però, di essere in grado di fare la scelta giusta.
Giuseppina Di Luna
Bibliografia
Giovanni Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell’uomo, Ugo Guanda Editore, Varese 2014.