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L’eredità di 2001: Odissea nello spazio
2001: Odissea nello spazio (1968) è ispirato a un racconto scritto da Arthur C. Clarke, collaboratore di Stanley Kubrick, e narra, brevemente, le vicende di un artefatto alieno ritrovato sulla Luna.
Tuttavia, con 2001: Odissea nello spazio, Kubrick si prefigge il ben più ambizioso obiettivo di tracciare la storia dell’evoluzione della razza umana, dalla scimmia al superuomo.
Il film, non solo costituisce una svolta nella filmografia kubrickiana (passa al colore e c’è, da 2001 in poi, la voglia di superare la grande influenza che ha avuto su di lui Orson Welles), ma per l’intera storia dell’arte grazie al suo profondo significato estetico e filosofico che riesce ad affascinare per lungo tempo anche artisti come David Bowie (che si ispira al film proprio per Space Oddity).
«Molti film mi hanno profondamente impressionato negli anni sessanta e uno dei più importanti è stato 2001: Odissea nello spazio. Lo collegavo al senso di isolamento. Questo e diversi altri elementi modellarono molte delle mie performance, e forse hanno predetto il mio stile di vita negli anni settanta»[1].
2001: Odissea nello spazio si divide formalmente in quattro blocchi (l’alba dell’uomo, TMA-1, missione Giove, Giove e oltre l’infinito) ma, assumendo via via la forma di un’ode pindarica, con inversioni repentine all’interno delle strofe, il film rivela il suo vero soggetto: il tempo.
Di fatto, negli intervalli che separano i quattro blocchi, il cui unico legame tra loro è rappresentato dal monolite, c’è la rappresentazione del tempo (di un tempo svincolato dal piano spaziale).
L’alba dell’uomo – L’evoluzione creatrice
Nell’articolo dedicato al montaggio connotativo si analizza la prima scena di 2001: Odissea nello spazio per sottolinearne proprio il legame intrinseco che ha con la filosofia bergsoniana. Tuttavia, il senso di questo film non si esaurisce in esso: ciò che rende di 2001: Odissea nello spazio uno dei più importanti e significativi film della storia del cinema è proprio il fatto che a ogni visione si può notare un riferimento e un intreccio nuovo. Stimola continuamente il pensiero.
Muovendo dallo studio della storia dell’evoluzione della vita, Bergson definisce come l’intelligenza si sia costituita attraverso un progresso ininterrotto, lungo una linea che attraverso la serie di vertebrati giunge fino all’uomo, accogliendo, dunque una tesi di stampo evoluzionistico.
L’intelligenza umana si sente a proprio agio quando ha a che fare con gli oggetti inerti, in particolare con i solidi, «dove il nostro agire trova il suo punto di appoggio e la nostra industria i suoi strumenti di lavoro; questo perché i nostri concetti sono stati formati a immagine dei solidi, perché la nostra logica è soprattutto la logica dei solidi»[2].
È interessante notare come uno dei migliori registi della storia del cinema, 61 anni dopo, appare vicino proprio a questa teoria dell’evoluzione: in 2001 Odissea nello spazio, Kubrick fa partire la presenza dell’uomo sulla terra al ritrovamento di utensili o armi rudimentali fabbricati usando altro materiale presente in natura, definito da Bergson materia grezza. Nella scena iniziale del film, infatti, due gruppi di scimmie si affrontano di fronte alla misteriosa stele venuta dallo spazio. Scontro che vedrà come vincitore il gruppo di scimmie che avrà l’intuizione e l’intelligenza di usare, come prima arma della storia, oggetti duri come ossa e pietre. È da questo momento che Kubrick fa partire il cammino che, secondo la sua interpretazione, porterà al pieno sviluppo dell’intelligenza e dell’uomo.
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L’incontro con la materia avrebbe, quindi, determinato un’esteriorizzazione di quelle caratteristiche originariamente compresenti. Di qui l’evoluzione per fasci divergenti, attraverso biforcazioni continue, che però conserverebbero in linee evolutive tra loro lontane, tracce della comune origine.
Kubrick, tuttavia, riconduce l’intuizione della scimmia alla presenza (materiale perché viene toccato) del monolite e ciò sarà un elemento ripetuto in ogni blocco temporale.
Ed è proprio l’intuizione ciò che caratterizza l’uomo in quanto tale (essere pensante): l’uomo, l’essere più debole sotto il punto di vista fisico, per evolversi e prevalere sugli altri animali acuisce non il corpo ma l’intelletto.
«Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare»[2].
La prima scena di 2001: Odissea nello spazio, nel particolare, è tra quelle più ricordate e riportate nella storia del cinema e non solo: ancora una volta David Bowie pare farne omaggio (un’ultima volta) nella prima parte del videoclip di Blackstar (il singolo che dà il nome all’ultimo album) mostra una donna con la coda che scopre il corpo di un astronauta morto (Bowman?) di cui il cranio, in seguito, diviene un vero e proprio oggetto di culto.
HAL 9000, il Golem
La terza parte si svolge nel 2001: un gruppo di cinque astronauti (tre in stato di ibernazione) è in viaggio verso Giove con il supercomputer HAL 9000: computer dotato di intelligenza artificiale e in grado di riprodurre con estrema esattezza tutte le attività computazionali della mente umana.
«A me piace lavorare con la gente. Ho rapporti diretti e interessanti con il dottor Poole e con il dottor Bowman. Le mie responsabilità coprono tutte le operazioni dell’astronave, quindi sono perennemente occupato. Utilizzo le mie capacità nel modo più completo; il che, io credo, è il massimo che qualsiasi entità cosciente possa mai sperare di fare».
– HAL 9000
Al termine del terzo blocco si scopre che HAL è a conoscenza della vera motivazione del viaggio ma gli è stato impartito l’ordine di non riferirlo agli altri astronauti. Questa direttiva genererà un conflitto interiore nel calcolatore che era stato originariamente pensato per non omettere in alcun caso dei dati, il quale inizia a manifestarsi come malfunzionamento durante il viaggio sino ad arrivare alla tragica decisione di eliminare il resto dell’equipaggio quando comprende della sua imminente disattivazione.
Se i riferimenti più immediati sono Martin Heidegger con la sua questione della tecnica (una lezione del 1953, con la quale ci invita alla riflessione delle radici della tecnica e della sua evoluzione) e il sociologo Günther Anders, che nel 1956 scrive L’uomo è antiquato (nel quale prevede la subalternità dell’uomo alla macchina) la questione può essere anche ricondotta alla figura del Golem: una macchina fatta di argilla, incapace di sentimenti, che finisce per sfuggire al controllo del suo creatore[4]. Quello della pericolosità dell’intelligenza artificiale è un argomento già approfonditamente dibattuto in molti ambiti, quindi, ma che non riesce e non può esaurirsi perché si nutre della primordiale paura dell’uomo di vedersi costantemente superato, finito.
Giove e oltre l’infinito (e oltre la materia)
Ogni azione, ogni tentativo di raggiungere un obiettivo (successivamente di superarlo) contiene in seno il seme della violenza: la scimmia che per stabilire la propria supremazia ammazza le altre, HAL con gli austronauti, David Bowman con HAL e lo stesso Bowman con se stesso. Ogni superamento di una determinata barriera comporta una morte proprio perché l’uomo supera costantemente i suoi limiti e, quindi, la sua essenza (per questo viene scelto il poema sinfonico di Strauss, Così parlò Zarathustra, ispirato all’opera di Nietzsche).
Proprio con l’ultimo blocco, comunque, diviene chiara l’intenzione di dichiarare la supremazia del tempo sullo spazio: il protagonista arriva a essere compresente a se stesso, a riuscire a piegare le dinamiche spaziali in favore di quelle temporali accettando passivamente gli eventi che semplicemente gli vengono presentati (non c’è un vero e proprio atto fisico visibile: si ritrova in una camera d’albergo, accetta di rimanervi, di cibarsi e di stare a letto).
Al termine del suo viaggio (fisico e metafisico), che si conclude metaforicamente con la sua vita, avviene l’evoluzione, diviene lo space boy: ancora una morte in favore di una nuova vita.
L’immagine finale è mozzafiato, ma il ritratto che Kubrick fa dell’umanità come prodotto finale delle manipolazioni da parte di una forza esterna immensamente superiore – un po’ come avviene con i fantasmi di Shining – sembra quasi predire quello che è effettivamente accaduto nel 2001: l’attacco alle torri gemelle, l’attacco al cuore del simbolo del progresso.
Cira Pinto
[1] David Bowie, Note di copertina di Space Oddity, 2009.
[2] H. BERGSON, L’evoluzione creatrice, cit., p. 1.
[3] Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Milano, p. 538-539.
[4] È curioso che proprio il funzionamento del Golem sia, in un certo senso, richiamato in 2001: Odissea nello spazio: la leggenda narra che il golem entra in azione quando sulla sua fronte si scrive verità e si disattiva con la parola morte, HAL comincia a non funzionare quando viene costretto a omettere dei dati e viene estromesso attraverso la disattivazione (una morte).