Grigorij Sokolov e l’utopia classico-romantica realizzata

Grigorij Sokolov ospite del San Carlo di Napoli

Grigorij SokolovLunedì 26 marzo 2018. I musicofili napoletani aspettavano da tempo la data fatidica dell’appuntamento con Grigorij Sokolov. Il pianista russo nato a San Pietroburgo nel 1950 (al tempo, dunque, ancora denominata Leningrado) è senza dubbio uno dei maggiori pianisti viventi, per alcuni critici addirittura il più grande di tutti.

Considerato alla stregua di una leggenda vivente, l’aura di mistero e solennità che ne ammanta la figura contribuisce a rendere ogni sua apparizione in pubblico un evento memorabile.

Dopo essere stato assente per ben nove anni dalle scene partenopee, Grigorij Sokolov ritorna al teatro San Carlo con un programma che spazia dal classicismo haydniano delle Sonate Hob.XVI:44, 32 e 36 al romanticismo schubertiano dei Quattro improvvisi D935, offrendo ai suoi ascoltatori un recital cui la semplice definizione di magico non renderebbe del tutto giustizia.

Grigorij Sokolov: un artigiano al servizio della musica

Grigorij SokolovNella scia della recente lettura del saggio Da Benedetti Michelangeli alla Argerich. Trent’anni con i grandi pianisti di Luca Ciammarughi, all’apparire in scena di Sokolov mi sovviene alla mente l’immagine che ne dà il pianista e critico musicale milanese nel suo libro, definendolo «gargantuesco, a metà fra un orco e un mago».¹

Contrariamente però alla «sensazione di paura e fascinazione»²  che comunicò negli anni Novanta all’allora imberbe Ciammarughi, il pianista che avanza verso il bellissimo Steinway posizionato al centro del palcoscenico del San Carlo appare oggi piuttosto un anziano e sereno vate, suscitando dunque più venerazione che timore. Il passo deciso e sicuro suggerisce una padronanza di sè non comune, ulteriore segno di una saggezza che numerosi anni di onorata carriera hanno contribuito a consolidare.

Ciò che emerge con particolare evidenza dal portamento distinto e semplice allo stesso tempo di Grigorij Sokolov – indice del quale può essere considerato tra l’altro anche l’inchino intriso di nobiltà con il quale il maestro ringrazia il suo pubblico – è un atteggiamento di estrema umiltà e devozione nei confronti della musica.

Grigorij SokolovEsso potrebbe ricondursi a quello che Ciammarughi definisce uno degli aspetti determinanti del percorso umano e artistico del pianista, caratterizzato da una «profonda integrità». Impressioni personali? Forse. Esse, tuttavia, risultano condivise da più parti: testimonianza ne sia anche lo scambio di commenti avvenuto tra amici e colleghi al termine del concerto.

Grigorij Sokolov non è un interprete che suona per mettere in mostra sè stesso o le sue qualità: egli è un artigiano al servizio della musica che umilmente si pone in disparte per rivelarne la bellezza.

Grigorij Sokolov interprete di Haydn

Sonata Hob.XVI:44

Grigorij Sokolov attacca la sonata in sol minore no.32 Hob.XVI:44 di Haydn appena qualche secondo dopo lo spegnersi del fragoroso applauso di saluto da parte del pubblico. Lo stacco di tempo piuttosto deciso dell’incipit sembra, in seguito, quasi cedere il passo ad un una sorta di nostalgia da finis temporis di matrice russa.

Ciò avviene comunque, in generale, in tutti i movimenti lenti delle tre sonate previste dal programma, fortemente caratterizzati da una tensione ideale tutta tesa ad evocare un’atmosfera di contemplazione estatica, quasi da iperuranio di platoniana memoria.

L’interpretazione di Grigorij Sokolov si contraddistingue per lucidità d’espressione e rigore filologico, caratteristiche nelle quali il pianista russo dimostra senz’altro di avere ben pochi eguali al mondo.

La perfezione adamantina degli abbellimenti e l’utilizzo molto parco del pedale che contraddistinguono il modo di suonare del maestro russo (si pensi alla differenza, per esempio, nell’interpretazione dello stesso brano da parte di un altro gigante del pianismo: Sviatoslav Richter) denotano un incedere sicuro e la profonda conoscenza di questo tipo di repertorio, nel quale con tutta evidenza Sokolov si sente a suo agio.

Sonata Hob.XVI:32

Grigorij SokolovAlla cura del dettaglio tecnico e alla pulizia del pedale di Grigorij Sokolov s’è già accennato. A questo proposito, tra l’altro, è interessante notare un felice utilizzo del pedale tonale per prolungare intelligentemente alcune armonie dei bassi.

Questo avviene in particolare nel primo movimento della seconda sonata in si minore Hob.XVI:32, attaccata dal pianista quasi senza soluzione di continuità con la precedente, probabilmente nell’intento di suggerire un’ideale prolungamento della prima in sol minore.

La chiusa del primo tempo avviene dolcemente, con gesto volutamente aggraziato da parte di Sokolov, producendo un suono “appoggiato”: malinconico lamento intriso di nostalgia più che grido straziante di dolore.

Anche nel finale, nonostante il Presto indicato in partitura presupponga un certo virtuosismo digitale, Sokolov non perde mai il controllo, mantenendo comunque intatta la coerenza del discorso condotto fino a quel momento. In certi tratti addirittura il maestro slarga un po’ il ductus laddove la scrittura, inframmezzata da numerose pause, lo richieda, accentuando tra l’altro nel secondo ritornello la vena di mestizia che la caratterizza.

Sonata Hob.XVI:36

La terza sonata in do diesis minore Hob.XVI:36, legata anch’essa alla precedente quasi senza soluzione di continuità, conferma quelli che sono gli intenti e la visione – “programmatica” si potrebbe dire – all’interno della quale Grigorij Sokolov ha inteso presentare questo trittico di composizioni pianistiche haydniane.

Anche in questa sonata l’atmosfera che si percepisce è ancora, tutto sommato, quella dell’Arcadia, efficacemente rappresentata da tanta letteratura e arti figurative del Settecento, in cui sono lontane le ombre dello Sturm und drang. Forse il discorso musicale sembra appena più mosso nello sviluppo del primo movimento, all’interno del quale le modulazioni vengono maggiormente accentuate da una pedalizzazione più generosa.

Il terzo movimento viene reso con un generale senso di mestizia, tipica di quel sentimento nostalgico del quale Grigorij Sokolov qui si fa campione assoluto. E’ una musica inesorabile e sembra suggerire che ormai non vi sia più speranza di salvezza. Tuttavia, è possibile scorgere nell’interpretazione offerta dal pianista russo prevalentemente la prospettiva dello spettatore e non il lamento di chi è inesorabilmente preda di un vortice di passioni.

Un approccio «troppo classicista»?

Alla base dell’approccio rigoroso al classicismo da parte di Grigorij Sokolov, un ruolo importante è senz’altro giocato dal suo interesse per la musica tastieristica dell’epoca barocca e rinascimentale (sono note presso i culturi dell’arte del maestro, tra l’altro, le sue interpretazioni di opere di Jean-Philippe Rameau e dei virginalisti inglesi del Cinque-Seicento), nonchè dal fatto di essere costantemente aggiornato sugli studi inerenti alle antiche prassi esecutive.

Forse è anche per questo che nella lettura delle sonate di Haydn proposta da Grigorij Sokolov non vi è traccia alcuna di quell’Empindsamer Stil³ che ebbe il suo campione nella figura di Carl Philipp Emanuel Bach (1714-1788).

Grigorij SokolovCircostanza che, tra l’altro, durante la pausa tra il primo ed il secondo tempo dello spettacolo ha fatto esprimere ad un vicino di palchetto qualche blanda critica, liquidando l’approccio del pianista russo alle sonate di Haydn come «troppo classicista». Opinione condivisibile o meno: senza dubbio, tuttavia, l’interpretazione di Sokolov risulta ammantata di un indiscutibile fascino.

Grigorij Sokolov interprete di Schubert – Quattro improvvisi D935

Al termine dell’intervallo il pubblico rientra in sala per assistere alla seconda parte del recital. Con Schubert Grigorij Sokolov comincia gradualmente ad allentare le briglie: lo splendore del sentimento romantico di cui sono permeati i Quattro improvvisi D935 non viene sacrificato in nome di un controllato rigore interpretativo, al limite della perfettibilità. In ogni caso, anche nell’esecuzione di questa musica il maestro decide di utilizzare il pedale generalmente con discrezione, cercando di legare le frasi principalmente con le dita.

Nel primo improvviso l’andamento è abbastanza sostenuto e il discorso fila senza particolari indugi. Nella terza sezione del brano il pianista si lascia andare ad una maggiore cantabilità, che evoca senz’altro quell’essenza lirica caratteristica dell’intera opera del compositore viennese.

Il canto si staglia sempre luminoso sull’accompagnamento che peraltro mantiene sempre un equilibrato senso del balance sonoro. Più che la linea lunga, Grigorij Sokolov preferisce un’articolazione del fraseggio basata su un generale senso del non-legato (dal quale sono caratterizzate anche le sonate di Haydn, tra l’altro).

La terza sezione è di una bellezza sublime: qui il gioco dell’alternanza delle mani è reso nel modo più naturale possibile, senza alcuno sforzo, con mirabili effetti di domanda e risposta.

Grigorij Sokolov tra Lachen e Weinen

Grigorij SokolovAnche nel secondo improvviso l’agogica è caratterizzata da un andamento tranquillo. Qui non è tanto la dimensione dell’abisso schubertiano ad emergere (del quale tra l’altro parla anche il grande pianista Alfred Brendel ne Il velo dell’ordine, Adelphi, Milano 2002) quanto quella del sereno paesaggio austriaco.

Anche laddove si desidererebbe forse una maggiore forza espressiva dallo spessore drammatico, tutto rimane immerso in un’atmosfera di placida distensione sonora.

Il sicuro eloquio di Grigorij Sokolov si avvicina in definitiva maggiormente al rassicurante racconto di un amico che non ad un concitato discorso permeato di umori sotterranei. Ciò avviene maggiormente nella terza sezione del terzo improvviso, in cui il pianista russo si concede un fraseggio ed una pedalizzazione ricchi di pathos.

Il quarto improvviso infine, caratterizzato da esplicite reminiscenze popolari che richiamano l’incipit della nota Melodia ungherese D817 e del celebre Momento musicale no.3 D780, è attaccato con moto più misurato rispetto a quanto l’ascolto di diverse interpretazioni non ci abbia in generale abituato.

Grigorij SokolovAncora una volta la visione interpretativa di Grigorij Sokolov risulta confermata: è una lettura quella del maestro russo che fa emergere maggiormente la dimensione del Lachen (sorriso) piuttosto che quella del Weinen (pianto) in una prospettiva di olimpica serenità, in cui viene privilegiata la cura del dettaglio piuttosto che un’organica träumerei che spalanchi le porte sugli abissi dell’animo umano.

Di quest’ultima abbiamo appena un’eco nell’episodio che precede il travolgente finale a suggellare il quale un’ultima scala, precipitando con irruenza sulla nota conclusiva, conferisce una scoperta e umanissima rugosità: caratteristica che la musica di Schubert sembra quasi richiedere all’interprete che vi si dedichi. Un concerto svoltosi tutto d’un fiato, concluso dal generosissimo Grigorij Sokolov con la bellezza di sei bis (!) che prevedevano tra l’altro estratti da Rameau e Chopin.

Gianluca Blasio

Note

1. Luca Ciammarughi, Da Benedetti Michelangeli alla Argerich. Trent’anni con i grandi pianisti, Zecchini Editore, Varese 2017, p. 177.

2. Ibidem.

3. Meglio conosciuto in Italia come «stile sentimentale», esso spianerà nel corso del Settecento la strada alla musica profondamente stürmisch di Mozart e Beethoven.