Marsilio Ficino (1433-1499) è fra le figure di spicco del Rinascimento italiano. Incoraggiato da Cosimo de’ Medici, il filosofo italiano fonda a Firenze l’Accademia platonica, organo di riflessione e diffusione del platonismo. Proprio a Firenze Ficino raccoglie intorno a sé un folto gruppo di intellettuali, amici, discepoli – tra cui Lorenzo il Magnifico – capaci di farsi attivi rinnovatori della cultura umanistica su scala europea.
Al pari di Niccolò Cusano e Pico della Mirandola, l’opera di rinnovamento intrapresa da Marsilio Ficino è diretta al ricongiungimento di filosofia e religione. La lettura di Platone, dunque, rappresenta il punto di partenza fondamentale per la rinascita di una pia philosophia.
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Marsilio Ficino: la centralità dell’uomo nel cosmo
La filosofia platonica è interpretata da Ficino come un’analisi razionale del reale ed al contempo come un’iniziazione religiosa. Il centro della riflessione ficiniana però non è Dio, bensì l’uomo. Ficino vede nel Cristianesimo delle origini non solo il compimento dei principi platonici, ma anche la fondamentale centralità dell’essere umano.
Questo spostamento del baricentro da Dio all’uomo è uno dei capisaldi della Riforma protestante. Elaborata da Lutero pochi anni dopo la morte di Ficino, essa mostra la straordinaria risonanza che la riflessione filosofica degli intellettuali italiani ha avuto in Europa nel XVI secolo. Nella Theologia platonica – l’opera più importante di Ficino – la centralità in cui è posto l’uomo fa da perno a due tesi fondamentali:l’anima mediatrice e la dottrina dell’amore.
L’anima come copula mundi
Grande conoscitore della lingua greca, a Marsilio Ficino si deve la traduzione di opere essenziali per il Rinascimento italiano, come il Corpus Hermeticum e le Enneadi di Plotino. La ripresa di elementi neoplatonici costituisce il cuore metafisico dell’elaborazione ficiniana. In particolare, dal neoplatonismo Ficino eredita la visione gerarchica dell’universo. Nello schema neoplatonico la realtà è descritta secondo un ordine di cinque gradi, dalla materia a Dio. In questa scala ontologica Ficino attribuisce all’anima una funzione mediatrice fra Dio e il corpo, fra le cose eterne e temporali:
“Tra le cose che sono soltanto eterne e quelle che sono soltanto temporali vi è l’anima che è come una connessione e un vincolo fra le une e le altre.”
L’anima è copula mundi, centro e connessione dell’universo. Dio e il corpo rappresentano i due opposti estremi dell’essere, e mentre le realtà angeliche sono tutte rivolte al divino, le qualità inclinano ai corpi. Soltanto l’anima, essenza media, afferra le cose superiori senza lasciare le inferiori:essa è ”specchio delle cose divine, vita delle cose mortali”.
Il tratto originale del pensiero di Ficino è il ripudio della condanna della corporeità quale tomba dell’anima, in favore della tesi della redenzione del corpo, sede dell’anima divina. L’iniziazione religiosa quindi non propende per un percorso di liberazione dal corpo, ma muove da una purificazione e rivalutazione della corporeità e dell’elemento sensibile.
L’arte come esperienza del divino
La riqualificazione dell’esperienza sensibile induce Ficino ad una vera e propria riflessione estetica. L’arte non è imitazione del reale, ma espressione visibile del Bello, dunque della divinità. Ficino attribuisce all’esperienza artistica la funzione di una teologia visiva. È questo primo incontro con la bellezza che orienta l’uomo al Vero. Siamo spinti ad amare l’arte per un desiderio di bellezza che l’esperienza artistica permette in parte di appagare. L’arte è quindi più di un’esperienza sensibile e rivela all’uomo la sua natura più che corporea. La teoria estetica di Ficino non è dissimile dalla concezione di Schopenhauer secondo la quale l’arte è la più elementare esperienza estatica.
Ficino torna così ad attribuire all’arte il significato di Rivelazione e all’artista una funzione sacrale. Come nell’antica Grecia, l’artista è colui che porta alla luce l’oscurità del divino, dando forma alla materia, imitando l’armonia del cosmo con musica e versi.
La dottrina dell’amore
L’arte indica all’uomo la presenza di una superiore armonia, alla quale l’anima singolare partecipa e cui sempre desidera ricongiungersi. Marsilio Ficino riprende dalla filosofia di Platone il motivo dell’Eros, quel movimento amoroso che tende l’anima a ciò che essa ama.
La bellezza di cui l’anima individuale fa esperienza nel mondo risveglia il ricordo di un originario legame d’amore, di un’anima cosmica che opera in ogni parte dell’universo. Soltanto in quanto mossa dall’amore per il proprio principio – Dio, il Bello, il Vero – l’anima può svolgere quella funzione mediatrice che Ficino le attribuisce:
“Tre sono, dice Ficino, i benefici dell’amore: restituendoci all’integrità, divise che eravamo, ci riconduce al cielo; colloca ognuno al suo posto e fa che in questa distribuzione tutti siano paghi; abolisce ogni noia e accende nell’anima una gioia continuamente nuova, rendendola beata con un blando e dolce godimento.”
Reinterpretando in chiave metafisica l’assunto protagoreo dell’homo mensura rerum, il filosofo definisce l’anima innamorata misura di ogni cosa, misura stessa del tempo, e come il tempo eterna ed infinita.
Martina Dell’Annunziata
Bibliografia
M. Ficino, Theologia platonica de immortalitate animorum, Sansoni, Firenze 1965.