Pindaro, vissuto nel VI secolo a.C., è il poeta lirico greco di cui ci è pervenuto il maggior numero di opere. La sua poesia è legata alla celebrazione degli agoni sportivi, ma soprattutto dell’élite aristocratica del suo tempo. La fama del suo stile poetico è legata ai proverbiali “voli pindarici”, che però, come vedremo, sono stati spesso valutati troppo frettolosamente.
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La vita di Pindaro: tra viaggi e prodigi
Dalle biografie antiche di Pindaro veniamo a sapere che il poeta nacque a Cinoscefale, presso Tebe e successivamente studiò ad Atene. Raggiunse poi il culmine del suo successo in Sicilia, presso le corti di Ierone di Siracusa e Terone di Agrigento.
Alcune fonti antiche riportano anche notizie molto fantasiose sulla vita di Pindaro. Tra di esse il racconto di una vera e propria iniziazione poetica. Si dice che da giovane, mentre era a caccia sull’Elicona, Pindaro si addormentò e sulla sua bocca si posarono delle api, che vi costruirono un nido, ad indicare la dolcezza dei suoi versi. Una Vita bizantina, inoltre, ci informa che Pan si manifestò al poeta, chiedendogli direttamente di dedicargli un canto.
La ragione per cui i biografi antichi collegavano a Pindaro simili eventi prodigiosi è da ricercare nella sua poesia. Da essa traspariva, infatti, una forte religiosità, interpretata dai biografi come il segno di un rapporto privilegiato con gli dei. In realtà il costante richiamo alle divinità nei versi del poeta tebano era richiesto dal genere di componimenti che scriveva.
Gli epinici di Pindaro
La maggior parte delle opere pindariche a noi pervenute appartengono al genere dell’epinicio: un componimento dedicato alla vittoria di un agone atletico. Abbiamo quattro libri di epinici, ognuno dedicato ad una delle più importanti feste panelleniche, nel corso delle quali si svolgevano anche gli agoni sportivi. Tali feste sono le Olimpiche e le Nemee (entrambe dedicate a Zeus), le Pitiche (dedicate ad Apollo) e le Istmiche (dedicate a Poseidone).
Nell’epinicio era di primaria importanza l’occasione (kairòs) da celebrare, cioè la vittoria del committente. La lode si articola in motivi topici: la celebrazione del vincitore e della sua famiglia, l’esaltazione della sua città e della sua divinità protettrice. Qui sono inserite spesso digressioni mitiche, a partire dalla divinità o dalla città nominata dal poeta. Sono frequenti anche delle brevi massime (gnomai).
Invece non sono narrate nel dettaglio le gare atletiche: a Pindaro non interessava fare cronaca sportiva, ma realizzare raffinati componimenti di lode ricchi di riferimenti al patrimonio mitico ed epico.
Il problema dei “voli pindarici”
Proprio il passaggio repentino dalla lode di un personaggio contemporaneo alla rievocazione di un lontano passato mitico ha fatto parlare di “voli pindarici”.
Tuttavia i due temi non sono affatto scollegati, in quanto il mito doveva fare da contorno alla celebrazione del vincitore. Sebbene questo tipo di opera possa sembrarci non unitario, dobbiamo ricordare che i Greci avevano canoni ben diversi dai nostri. Infatti nell’epica e nella lirica arcaica le digressioni mitiche sono frequenti.
Il rapporto di Pindaro con la divinità
Gli dei sono rappresentati molto spesso nelle opere di Pindaro. Il poeta li presenta in una maniera tradizionale, molto vicina all’epos. Infatti li ritiene assolutamente superiori agli uomini e li appella con gli epiteti già canonici nell’epica.
Nella Pitica 8 Pindaro afferma:
“Che cosa è l’uomo, che cosa non è? È il sogno di un’ombra. Ma quando venga concesso il raggio da Zeus, luce brillante è sugli uomini e dolce come il miele è la vita”.
Proprio da affermazioni simili derivano probabilmente le tradizioni sul rapporto privilegiato tra Pindaro e gli dei a cui abbiamo fatto riferimento.
I legami di Pindaro con l’aristocrazia
Pindaro instaurò buoni rapporti con membri molto influenti delle élite aristocratiche greche, in particolare quella tebana, ma anche quella tessala, ateniese e siracusana.
È celebrato in vari componimenti l’ateniese Melesia, un educatore di atleti. Egli era un personaggio controverso in quanto ostile a Pericle e sospetto di collusione con i Persiani a Maratona. Dobbiamo tener presente, tuttavia, che la scelta pro-persiana di Tebe giustifica l’accostamento del poeta a Melesia. Inoltre, soprattutto nei suoi ultimi anni di vita, Pindaro si dimostrò ostile ad Atene.
Fu complicato anche il rapporto con Ierone di Siracusa. Pindaro compose varie odi in suo onore, tra cui la Pitica 1, che celebra la fondazione di Etna (470) e la vittoria di Ierone a Delfi. Tuttavia solo due anni dopo Ierone invitò a celebrare la sua vittoria ad Olimpia non Pindaro ma Bacchilide, ed i loro rapporti si chiusero.
La musicalità dei carmi di Pindaro
La maggior parte delle opere di Pindaro rientra nel genere della lirica corale. Quindi i carmi erano cantati, accompagnati da musica e danza, nel corso di celebrazioni pubbliche. La perdita della musica antica ci impedisce di godere a pieno dei carmi pindarici, ma la metrica e la scelta del lessico ci fanno immaginare le grandi qualità musicali di queste opere.
Secondo alcuni studiosi, però, la sintassi complessa del poeta tebano non era facile da seguire con l’accompagnamento di musica e danza. Si è ipotizzato, perciò, che esistesse una seconda destinazione degli epinici. Si tratta di esecuzioni private al cospetto della famiglia del committente, esecuzioni monodiche in cui la musica faceva solo da sottofondo e mancava la componente della danza.
Serena E. Di Salvatore
Bibliografia:
- Canfora L., Storia della letteratura greca, Roma – Bari 2013 (1a ed. 2001).
- Gallo I., Una nuova biografia di Pindaro (POxy. 2438), Salerno 1968.
- Rossi L. E. – Nicolai R., Storia e testi della letteratura greca, vol. 1, Milano 2013 (1a ed. 2002).