Per quel che riguarda le più importanti correnti storiografiche in età ellenistica, proseguiamo con la storiografia tragica o drammatica, una scelta tendente soprattutto alla mímesis, all’imitazione, nel senso di una rappresentazione “realistica” degli avvenimenti.
Duride di Samo e Filarco di Atene sono i suoi esponenti principali.
Contro questo genere storiografico di scaglia in più passi della sua opera Polibio di Megalopoli, sostenitore, sulle orme di Tucidide, di un’acuta analisi dei fatti e delle cause storiche: egli si pone come il fondatore della storiografia pragmatica, tutta volta cioè ai soli eventi, definibile in un certo senso come storiografia fattuale.
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L’età ellenistica e “le sue storiografie”
Le correnti principali della storiografia ellenistica sono, dunque, le seguenti: retorica, tragica e pragmatica. Esse non furono correnti statiche, ma “scelte”, “gusti” che fin da subito cominciarono a mescolarsi fra loro.
Per questo motivo, si possono menzionare numerosi storici nelle cui opere, in misura diversa, si colgono elementi che appartengono a tutte le tre correnti.
La storiografia greca di età ellenistica è relativamente articolata e non riassumibile in un certo numero di nomi come la storiografia greca di età classica.
Dionigi d’Alicarnasso chiarisce in un passo (de comp. verb. 4, 30) che non sarebbe sufficiente un’intera giornata per elencare i nomi di tutti gli autori.
Il panorama della storiografia ellenistica è dominato, infatti, da una immensa quantità di nomi, opere, e una molteplicità di temi e una considerevole diversità di forme e scelte espositive.
La storiografia ellenistica ha rappresentato quella fase del pensiero storico antico che si fece testimone di una serie di eventi di straordinaria importanza: dalla creazione dei grandi regni ellenistici come conseguenza della divisione dell’impero di Alessandro fino alla loro progressiva decadenza e caduta a causa dell’espansionismo di Roma.
Quella ellenistica é, dunque, una storiografia dai confini più aperti, non delineati, rispecchiando la realtà storica degli scrittori che via via si interfacciavano nel panorama storiografico.
Tuttavia il vasto e complesso panorama di opere storiche che furono prodotte dall’età di Alessandro fino al secolo I a.C. è per noi ricostruibile solo in minima parte, poiché, anche se numerose sono le testimonianze indirette, molto pochi sono i frammenti rimasti.
La storiografia tragica
In un frammento di Duride di Samo (FGrHist 76 F 1) si legge un giudizio molto significativo su Eforo e Teopompo, rappresentanti della storiografia retorica di età ellenistica: essi sono privi di «capacità di mimesi», e quindi incapaci di coinvolgere emotivamente i loro lettori nelle vicende che narrano, e inoltre non presentano uno stile piacevole.
Polibio rincalza
Di contro Polibio (II, 56) – le cui valutazioni spesso sono state prese troppo alla lettera – rivolge un’aspra critica a Duride e al suo immediato continuatore Filarco per la loro spiccata tendenza alla drammatizzazione, realizzata attraverso uno stile ricco di pathos che non nascondeva le sue finalità psico-pedagogiche.
Tra storia e tragedia
Viene dunque individuato nell’ambito della storiografia ellenistica un filone che privilegiava la mimesi e il pathos e che tendeva a confondere gli intenti della storia con quelli della tragedia, di cui Duride e Filarco sarebbero stati i rappresentanti principali.
La storiografia tragica: una teoria di impronta peripatetica?
Il fatto che Duride fu allievo di Teofrasto fece anche pensare di poter individuare l’origine della storiografia tragica in una teoria di impronta peripatetica, ossia in una precisa volontà di estendere anche in campo storiografico le riflessioni aristoteliche sulla mimesi poetica.
Impostazione che si è dimostrata inattendibile. Aristotele aveva sempre teorizzato e ribadito una netta differenziazione tra poesia e storiografia.
È quindi difficile immaginare che proprio Teofrasto e i Peripatetici, allievi di Aristotele, siano all’origine di una teoria che si fonda su una contaminazione tra storiografia e poesia.
Duride di Samo
Duride, esimio esponente della storiografia tragica, nacque a Samo intorno al 340 a.C. e fu tiranno dell’isola, ma la sua formazione culturale avvenne ad Atene presso la scuola peripatetica, dove fu allievo di Teofrasto.
Fu autore di un’opera storica sul periodo compreso tra il regno di Aminta III, padre di Filippo II, e la morte di Pirro.
Scrisse anche di letteratura e di musica e, primo, si occupò di storia dell’arte. Le sue opere storiche furono utilizzate in età romana da Cornelio Nepote, Diodoro (forse indirettamente) e Plutarco.
La drammaticità dello stile di Duride, lontano dall’essere manifestazione di una specifica teoria storiografica, men che meno di origine peripatetica, deriva da quel gusto per il racconto storico di tipo romanzesco che cominciava a diffondersi con i primi storici di Alessandro.
Di matrice certamente peripatetica fu invece l’interesse di Duride per il genere storico-biografico. A questo genere appartenevano infatti la sua Storia di Agatocle e le biografie di artisti famosi, ma anche nella sua opera storica maggiore il gusto per la biografia doveva essere molto presente.
Filarco di Atene
Continuatore dell’opera di Ieronimo di Cardia e di Duride di Samo, e a quest’ultimo accomunato da Polibio come esponente della storiografia tragica, fu Filarco, storico greco nato ad Atene o secondo altri a Naucrati in Egitto, o a Sicione, ma considerato ateniese perché a lungo dimorò in quella città.
Visse ai tempi di Arato e la sua fama è dovuta alle sue Storie, nelle quali abbracciava il periodo dalla morte di Pirro (272 a. C.) alla morte di Tolomeo Evergete e di Berenice (221 a. C.) e di Cleomene (220/219 a.C.) dopo la disfatta inflittagli da Antigono Dosone.
L’opera comprendeva 28 libri, ma della sua struttura e del disegno generale restano che frammenti che non dicono tanto riguardo.
Pare, inoltre, che l’autore spesso si abbandonasse a digressioni, durante il racconto degli avvenimenti, che si richiamavano a fatti che non avevano diretta attinenza con la materia trattata.
Questo derivava altresì dalla vena oratoria che scorreva nelle vene dello storico, proclive più alle narrazioni, ai quadri coloriti e di effetto che non all’esatta descrizione dei fatti. Non si preoccupava, quindi, troppo della verità storica.
Non è escluso che il giudizio negativo espresso da Polibio fosse politicamente condizionato dalla forte simpatia che Filarco, nella sua opera, mostrava apertamente nei confronti di Cleomene, il re che guidò gli Spartani nella guerra contro la lega achea, capeggiata, tra gli altri, da Licorta, padre di Polibio.
Anche Plutarco che lo criticò più volte, lo considerava quale storico secondario. Però l’opera sua, nonostante tutte le critiche, era documento importante per la storia di quel tempo e Polibio stesso e Plutarco dovettero servirsene in mancanza di fonti migliori; e così Trogo Pompeo e Timagene.
Con maggiore favore, Filarco fu utilizzato e ricordato dagli scrittori e raccoglitori di aneddoti meravigliosi o piccanti ed erotici quali Partenio, Apollonio, Ateneo.
A lui attingono anche i lessicografi. Ma alle pretese stilistiche delle sue storie non corrispondeva un grande senso artistico; il suo periodare non era armonioso e Dionigi di Alicarnasso lo rimprovera a riguardo.
Maria Francesca Cadeddu
Bibliografia:
- Domenico Musti, Storia Greca, Laterza 2003;
- Klaus Meister, La storiografia greca. Dalle origini alla fine dell’ellenismo, Laterza 2006;