Judith Butler (Cleveland, 1956) viene definita dalla filosofa femminista Adriana Cavarero come <<la più autorevole esponente del pensiero lesbico americano, come una filosofa di grande ingegno e una figura di primo piano nel femminismo internazionale>>.
Nel 1984, ancora ventottenne, pubblica la sua tesi di dottorato con il titolo Subjects of desires. Si tratta di un testo che ci fa incontrare “la filosofa da giovane” ma che costituisce un’importante indicazione sugli sviluppi del suo pensiero successivo. In quest’opera Butler, propone un’interessante lettura di Hegel, a partire dall’interpretazione che ne hanno dato gli studiosi francesi del XX secolo. E che viene costruita intorno ai temi del desiderio, dell’autocoscienza, del riconoscimento e dell’alterità.
Butler sa bene che la ricezione francese di Hegel può essere intesa come una reivenzione dello stesso Hegel in linea con le finalità filosofiche che hanno ispirato Hyppolite e Kojève.
Nel pensiero della Butler Hegel non è solo oggetto di un lavoro giovanile, ma il problema attorno al quale la pensatrice statunitense costruisce l’intero suo sistema di pensiero. In una “preziosa” prefazione all’opera, infatti, la Butler sostiene che:
(…) tutto il mio lavoro resta all’interno dell’orbita definita da un preciso insieme di domande hegeliane: qual è la relazione tra desiderio e riconoscimento? E com’è che la costituzione del soggetto comporta una radicale e costitutiva relazione con l’alterità?
Soggetti di desiderio è un esempio, sicuramente il più evidente, del ruolo primario che viene assegnato ad Hegel nella formulazione della sue domande filosofiche ma non è l’unico. Nel 2010, infatti, Butler insieme a Catherine Malabou, docente presso il Centre for Research in Modern European Philosophy della Kingston University, scrivono Che tu sia il mio corpo, un breve testo interamente consacrato all’analisi della dialettica signoria e servitù nella Fenomenologia dello spirito.
Nel 2012, invece, in occasione di una mostra a Kassel, in Germania, pubblica Sentire ciò che nell’altro è vivente. L’amore nel giovane Hegel, dove Butler allontanandosi dalla Fenomenologia, prende in esame il frammento sull’Amore e il Frammento di sistema di Hegel. Ciò è prova di come mai si sia esaurita l’attenzione per Hegel, considerato fonte inesauribile di interrogativi e, in ultima analisi, una vera e propria fucina d’idee da cui attingere continuamente.
Butler incontra per la prima volta Hegel solo al college, quando ‒ entrata nell’area di studi che lei stessa definisce “lesbici e gay” ‒ si domanda se la filosofia femminista e di genere possa essere trasposta nei termini di una logica puramente filosofica.
In questo contesto, il filosofo tedesco ‒ “ostico ed impenetrabile” come lei stessa lo definisce ‒ diventa subito oggetto di grande interesse per l’autrice, tanto che Butler racconta di aver passato giornate intere immersa nella lettura delle sue opere.
È evidente, infatti, nei suoi testi la grande influenza che Hegel esercita nella costruzione della sua idea di “soggetto”: un soggetto dislocato, spiazzato ma che rimanda continuamente a qualcosa, a qualcuno. Butler, subendo l’influenza di Hegel ma anche di altri pensatori come Lacan, Derrida, Foucault e Levinàs critica la visione sostanzialista e solipsistica del soggetto.
A questo proposito, V. Kirby ha osservato che, nel pensiero di Butler, il soggetto (dislocato, spiazzato) ha sempre “bisogno” dell’altro (del “qualcuno”) perché abbia luogo il riconoscimento.
Il riconoscimento è un problema vitale in Butler perché costituisce lo spazio, l’unico, in cui avviene l’autentico incontro tra soggetti. Il soggetto è un prodotto del potere, dice Butler, influenzata, ovviamente, da Foucault. Le minoranze sessuali, per esempio, dice l’autrice, sono escluse dalla possibilità di un effettivo riconoscimento.
Butler si rifà nella costruzione dell’idea di soggetto ad un altro interlocutore privilegiato che ha esercitato una grande influenza sul pensiero e il linguaggio della filosofa statunitense: lo psicoanalista francese Jaques Lacan. Anche Lacan, come Butler, si è formato alla filosofia grazie al faro hegeliano, in particolare attraverso la ricezione francese e tramite Kojève, il quale anticipa nelle diverse interpretazioni che abbiamo di Hegel il fatto che <<il desiderio è sempre desiderio dell’altro>>.
Lacan, pensatore che nel corso del ‘900 si è dedicato così lungamente all’idea di soggetto non poteva che essere inserito nel discorso sul riconoscimento fatto da Butler. Il commento kojèviano della Fenomenologia dello spirito, ripreso da Lacan, enfatizza la dimensione relazionale del desiderio, a scapito di un solipsismo egologico già rifiutato da Butler a partire dalle prime interpretazioni di Hegel.
Lacan sostiene che l’esclusione del soggetto dalle dinamiche di riconoscimento è qualcosa di strutturale e strutturante quanto negativo, tuttavia, per il soggetto stesso. Così inteso, il riconoscimento ‒ che in Hegel è una categoria filosofica necessaria alla costruzione della dialettica ‒ diventa strumento di interrogazione per temi quali la vivibilità della vita e i diritti delle minoranze sessuali.
Perché un soggetto “desideri”, infatti, è necessario che ottenga il riconoscimento da parte dell’altro. Il soggetto in Hegel così come in Lacan non si auto fonda e non ha il suo senso in sé stesso ma costituisce la sua identità attraverso la differenza. Siamo di fronte ad una concezione intersoggettivistica dell’identità umana. Il soggetto, come nella teorizzazione dello stadio dello specchio di cui ci parla Lacan, si trova in una condizione di perenne alienazione, in cui realizza il suo senso solo fuori di sé, in un’immagine ulteriore.
Nella lettura hegeliana di Butler la relazione con l’Alterità diventa costitutiva e necessaria. Nella Fenomenologia dello spirito, infatti, il soggetto per costituirsi come autocoscienza non può prescindere dall’incontro con l’Altro.
La genesi della mente umana non è mai per la Butler monologica ‒ ed in questo ella considera Hegel un maestro ‒ non è qualcosa che ciascuno realizza per conto suo, ma è dialogica. C’è,infatti, un superamento della visione solipsistica nell’idea di costituzione del soggetto, in quanto quest’ultimo deve necessariamente implicare l’altro nel suo fondarsi.
L’idea del soggetto che emerge dalla lettura di Butler della Fenomenologia, similmente all’idea spinoziana da cui Butler è fortemente influenzata fin dagli anni giovanili, è quella di un soggetto che ha bisogno del negativo per comprendere il pieno senso di sé.
Nonostante siamo abituati a pensare Butler come elaboratrice di questioni legate al sesso, al genere e al corpo è ben evidente, dunque, la matrice hegeliana se non, addirittura, idealistica della sua produzione.
Giulia Volpe