Alcmane è un poeta greco arcaico, vissuto nel VII secolo a.C. È il più antico rappresentante che conosciamo della lirica corale: una poesia destinata ad essere pronunciata in pubblico, soprattutto in occasione di riti sacri, accompagnata da musica e danza. La lingua richiesta dalla lirica corale è il dorico, il dialetto di Sparta, di cui era originario Alcmane. La sua poesia è per noi molto interessante anche perché è strettamente legata alla storia arcaica di Sparta e alle sue istituzioni religiose.
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Il legame di Alcmane con Sparta
Sulla provenienza di Alcmane in realtà la critica antica non era concorde. Il lessico bizantino della Suda ipotizza che fosse originario di Sardi (Lidia) o della Messenia. La prima ipotesi deriva probabilmente da alcuni versi dello stesso Alcmane:
“non era un uomo rustico, né sciocco né uno degli ignoranti, e neppure tessalo di stirpe, né un pastore di Erisiche, ma di Sardi sublime.”
Nulla, però, lascia intendere che il poeta stia parlando di se stesso. In più dall’opera di Alcmane è evidente il suo legame con la comunità spartana. Egli celebra i valori della città, invitando tutti i cittadini a conformarsi ad essi. Per comprendere l’opera dell’autore dobbiamo anche tener presente che egli è vissuto in un periodo di splendore sia economico che culturale per Sparta, ancora lontana dall’immagine stereotipata di città guerriera e oligarchica. Qui Terpandro aveva innovato la musica inventando la lira a sette corde e qui si svolgevano numerose gare musicali, orchestriche e ginniche.
I parteni
I parteni sono canti eseguiti da cori di fanciulle, legati a celebrazioni religiose comunitarie. Spesso servivano ad accompagnare il rito di passaggio delle fanciulle dall’età adolescenziale a quella adulta, da coronare con le nozze.
Abbiamo vari frammenti di parteni di Alcmane, che sembrano caratterizzati da una struttura fissa. Abbiamo in essi la narrazione di un mito, che ha spesso la funzione di exemplum (un uso simile a quello di Pindaro). Vi è poi la γνώμη, che rende espliciti i valori evocati dal mito. Vi sono infine i riferimenti all’occasione (καιρός) per cui è stato composto il canto. Tale parte è per noi la più misteriosa. Il canto doveva essere pronunciato durante il rito, per cui non c’era bisogno che esso fosse descritto dettagliatamente. Per noi, invece, è spesso difficile comprendere il contesto del canto.
Nei parteni di Alcmane sono nominate diverse fanciulle, in rapporto gerarchico tra loro. La corega, colei che guidava il coro, doveva avere anche il ruolo di educatrice delle altre fanciulle. Esse appartenevano probabilmente a famiglie aristocratiche, che le affidavano ad istituzioni simili al tiaso di Lesbo descritto da Saffo. Infatti le fanciulle esprimono ammirazione ma anche attrazione sessuale per la corega. Dunque è probabile che anche a Sparta l’omosessualità femminile fosse parte del rito di passaggio alla maturità.
Il partenio di Agesicora e Agidò
Il più lungo partenio di Alcmane conservato è stato tramandato da un Papiro Louvre pubblicato a metà dell’800.
Nella prima parte è raccontato un mito, riguardante una vittoria di Eracle. Segue una gnome che invita alla misura:
“che nessun uomo fino al cielo cerchi di volare, né tenti di sposare Afrodite.”
Dopo una seconda sezione mitica molto frammentaria accompagnata da una nuova gnome sulla felicità, si fa riferimento all’occasione del canto. Sono celebrate due fanciulle: Agesicora, nome parlante che significa “colei che guida il coro” e dunque chiaramente la corega, e Agidò:
“La luce di Agidò; la vedo come un sole, e del sole per noi Agidò supplica lo splendore. A me, né lodarla né biasimarla l’illustre corega in alcun modo non permette. Proprio lei infatti sembra eccellere, come in mezzo a un branco una cavalla vigorosa, vittoriosa nelle gare, dal passo sonoro, visione di sogni alati. Non vedi? È un corsiere veneto, e la chioma di mia cugina Agesicora fiorisce come oro puro […]”
Le altre fanciulle ammettono la propria inferiorità rispetto alle due donne e ne celebrano la bellezza con metafore dalla sfera semantica equestre. Si fa poi riferimento ad un’offerta votiva, che doveva essere parte del rito.
Si è pensato che Agidò fosse la fanciulla che aveva completato il suo percorso formativo e di cui il rito stava celebrando l’ingresso nell’età adulta.
I carmi metasimposiali
Alcmane scrisse anche canti di altro genere. Una tematica ricorrente nelle sue opere è il cibo. Infatti troviamo spesso enumerazioni di pietanze, forse quelle destinate alle cerimonie sacre che comprendevano banchetti e simposi.
Si è pensato che tali componimenti fossero metasimposiali, cioè destinati ad essere pronunciati proprio nel corso di banchetti rituali. Ne sarebbe la prova un frammento in cui il poeta afferma che ai sissizi (“pasti in comune”) è giusto intonare il peana, un canto in onore di un dio.
Il tema amoroso
Talvolta emerge dai carmi di Alcmane anche la tematica erotica. In un frammento il poeta afferma che Eros “dolce mi invade, riscalda il cuore”. In altri versi elogia la bellezza di “Megalostrata bionda”.
Tuttavia a causa dello stato frammentario di questi componimenti non possiamo essere certi della loro natura. Le parole del canto potrebbero essere pronunciate non dall’autore in prima persona ma da un diverso personaggio, ad esempio una fanciulla che elogia la corega. O ancora i carmi potrebbero seguire dei topoi metasimposiali.
Il paesaggio notturno
Un altro componimento frammentario di cui ignoriamo il genere di appartenenza è il celebre carme che descrive un paesaggio notturno:
“dormono le cime dei monti e le gole, i picchi e i dirupi, le selve e gli animali, quanti ne nutre la nera terra, le fiere montane e la famiglia delle api, i pesci nel profondo del mare purpureo; dormono le stirpi degli uccelli dalle lunghe ali.”
Questi versi potrebbero far parte di un partenio oppure di un carme in cui è descritta l’apparizione notturna di una divinità, forse da identificare con Artemide. In ogni caso questa delicata descrizione ha avuto una gran fortuna, ispirando anche un componimento di Goethe.
L’io di Alcmane vs il poeta ufficiale
Come abbiamo visto, è difficile individuare nei frammenti di Alcmane dati riferibili con sicurezza alla sua persona e alle sue emozioni. Non dobbiamo dimenticare, però, che egli rivendica con forza la propria autorialità, appellando varie volte se stesso in terza persona all’interno dei componimenti. Alcmane resta però soprattutto un poeta ufficiale, fiero rappresentante della società spartana di VII secolo.
Serena E. Di Salvatore
Bibliografia:
- C. Neri, Lirici Greci, Età arcaica e classica, Roma 2014 (1a ed. 2011).
- Rossi L. E. – Nicolai R., Storia e testi della letteratura greca, vol. 1, Milano 2013 (1a ed. 2002).