“Elegia quoque Graecos provocamus, cuius mihi tersus atque elegans maxime videtur auctor Tibullus; sunt qui Propertium malint; Ovidius utroque lascivior, sicut durior Gallus.” “Sfidiamo i greci anche nell’elegia, della quale Tibullo mi sembra l’autore più terso ed elegante; ci sono quelli che preferiscono Tibulllo; Ovidio è di entrambi più lascivo, come Gallo è più aspro“. Così Quintiliano, in un ben noto passo della Institutio Oratoria (X, I, 93), sintetizza il canone dell’elegia latina. In esso figurano i quattro grandi poeti elegiaci in grado di provocare, cioè di sfidare alla pari come emuli, gli elegiaci greci.
Al difficile Properzio, a Ovidio troppo scollacciato e leggero, a Cornelio Gallo, troppo rozzo (e per noi perduto), Quintiliano antepone Albio Tibullo, per l’immediatezza dei suoi versi. Lo consacra così come maggior esponente della cosiddetta elegia “soggettiva” latina.
La biografia di Tibullo
La fonte più antica a parlarci di Tibullo è Orazio, nell’epistola ad Albium Tibullum (Epist. I,1). In essa, il poeta di Venusiae lo apostrofa come giudice spassionato delle sue satire (nostrorum sermonum candide iudex) e lo immagina intento a scrivere, nella sua villa di campagna vicino Roma.
Stranamente, Orazio ci dà un giudizio poco chiaro dell’opera di Tibullo, degna, a suo dire “di superare i versucci di Cassio Parmense”. Cassio Parmense non era un termine di paragone lusinghiero: anzitutto era considerato un poeta minore; in secondo luogo, si era politicamente schierato con i cesaricidi, e aveva addirittura partecipato in prima persona all’assassinio di Cesare, ordito da Giunio Bruto e Cassio Longino. Considerato il destinatario presunto, l’ironia paternalistica di Orazio è sembrata fuori luogo ad alcuni critici, i quali hanno messo in dubbio che l’epistola oraziana sia indirizzata davvero al Tibullo autore delle elegie.
L’ipotesi in questione però non è accreditata. L’Orazio delle epistulae, già abbastanza maturo, può aver benissimo considerato con affetto ironico il poeta elegiaco più giovane. Lo stesso confronto con Cassio Parmense suona più affettuoso che sarcastico.
Quel poco che sappiamo del poeta, per il resto, ci proviene da una scarna Vita Tibulli in coda ai manoscritti delle elegie. Questa Vita condensa alcune informazioni autobiografiche fornite dal poeta stesso e trae qualche notizia dal perduto De poetis di Svetonio. Dal poco che abbiamo, si ricava che Tibullo nacque fra Gabii e Pedum nel 55/54 a.C. La sua famiglia, di estrazione equestre e un tempo ricca, aveva subito una sorta di declassamento. Il poeta stesso testimonia che la sua proprietà era un tempo opulenta e in séguito si è impoverita (Eleg. I, 1, 19). Tibullo si era poi inserito nel circolo dell’aristocratico Marco Valerio Messalla Corvino. Tale circolo era estraneo a quello di Mecenate ed era lontano dalla corte di Augusto, che Tibullo non nomina mai.
Il poeta non ebbe lunga vita. Un epigramma del poeta minore Domizio Marso, oltre a un passo degli Amores di Ovidio (III, 9) ne commemora la morte con parole rivelatrici.
“Te quoque Vergilio comitem non aequa, Tibulle, Mors iuvenem campos misit ad Elysios/ne foret aut elegis molles qui fleret amores/aut caneret forti regia bella pede” (“Come compagno a Virgilio un’ingiusta Morte, Tibullo,/ alle distese d’Eliso in gioventù ti mandò,/ sì che nessuno piangesse in elegi i teneri amori/o accordasse armonie forti alle guerre dei re”)
Così l’epigramma di Domizio. L’associazione immediata fra Tibullo e Virgilio testimonia sia il successo del poeta d’amore, equiparato al poeta epico, sia l’anno approssimativo della morte di Tibullo stesso, avvenuta nello stesso 19 a.C., intorno ai trentasei anni.
Il corpus Tibullianum (libri I-II)
A nome di Tibullo ci restano quattro libri di elegie. Il corpus delle poesie tibulliane pone però notevoli problemi di filologia attributiva.
Sicuramente sono da ascriversi a Tibullo i primi due libri. Nel primo di essi si canta l’amore del poeta per Delia, una donna non meglio identificata, di cui Apuleio (Apologia, 10) svela il vero nome, Plania, e l’eros pederotico per un fanciullo, Màrato. Nel secondo libro, Delia/Plania è sostituita da Nemesi, una vera e propria dark lady, il cui nome è tutto un programma (in greco nèmesis è “vendetta”).
Il corpus Tibullianum (libri III-IV)
Tutt’altra mano sembrano avere i libri finali della raccolta. Il terzo libro è dominato dalla figura di un poeta non meglio conosciuto, Ligdamo, che canta in elegie brevi il suo amore per Neera. Nulla si sa di Ligdamo, ma un suo verso, che indica la sua data di nascita, ha fatto sorgere una questione curiosa. Ligdamo afferma di essere nato l’anno “cum cecidit fato consul uterque pari” (“Quando l’un console e l’altro a eguale fato perì”), il 43 a.C., quando i due consoli Irzio e Pansa morirono nell’assedio di Modena. Lo stesso anno nasce Ovidio, che indica la sua data di nascita con lo stesso verso. Di qui l’ipotesi, oggi non più accettata, che Ligdamo fosse in realtà il giovane Ovidio, che muoveva i primi passi nella sua carriera poetica.
L’ultimo libro si apre con un lungo e fiacco panegirico dedicato a Messalla, console nel 31 a.C. Ma i suoi componimenti più interessanti sono quelli dedicati da una poetessa, l’unica poetessa latina nota, Sulpicia, al giovinetto Cerinto. Non si è in grado di stabilire con certezza chi sia questa giovane autrice, ammesso che il nome di Sulpicia non sia esso stesso il frutto di una finzione letteraria.
Arianna Colurcio