Poche settimane fa si è spento uno dei registi più imprevedibili e visionari del cinema italiano: il maestro Ermanno Olmi (Bergamo, 24 luglio 1931 – Asiago, 5 maggio 2018), anche sceneggiatore ed abile scrittore. Nato a Bergamo, trasferitosi e cresciuto a Treviglio, il giovane Ermanno resta orfano di padre a causa della Seconda guerra mondiale, frequenta inizialmente il liceo scientifico, in seguito il liceo artistico, non portando comunque a compimento i propri studi. Attratto ed appassionato dal mondo del cinema, si trasferisce a Milano per seguire dei corsi di recitazione alla prestigiosa Accademia di Arte Drammatica, pagandosi gli studi grazie al provvisorio lavoro di fattorino.
Le passioni del giovane Olmi: l’arte di raccontare e documentare
I primi lavori di Ermanno Olmi, pressoché amatoriali, furono decine di documentari, girati tra il 1953 ed il 1961 senza alcuna esperienza, ma nei quali s’intravvede ugualmente un talento da futuro regista, grazie alla sua innata capacità di rappresentare al meglio le condizioni dei lavoratori e la realtà socio-economica degli italiani nel dopoguerra.
Il suo primo lavoro nel grande schermo avviene con Il tempo si è fermato, lungometraggio ambientato nella totale solitudine della montagna che racconta l’insolita amicizia fra uno studente e il guardiano di una diga. Il successo e i riconoscimenti della critica giungono però due anni più tardi con il film intitolato Il posto, che narra sogni e ambizioni di due giovani durante il primo impiego lavorativo. È qui che Ermanno Olmi fa conoscenza della giovane avvenente attrice Loredana Detta, quindici anni più giovane di lui, la quale diverrà sua moglie e darà alla luce tre figli. Nel 1965 dirige E Venne un uomo, pellicola biografica di successo incentrata sulla figura dell’allora Santo Padre Giovanni XXIII, del quale lo stesso regista si professava essere assai devoto.
Segue un periodo professionale di crisi, in cui il maestro non riesce a produrre opere degne di menzione, ma corre l’anno 1978 quando esce nelle sale il suo capolavoro assoluto, L’albero degli zoccoli, film che conquista la Palma d’oro al Festival di Cannes nonché il Premio César nella categoria miglior film straniero, donando così ad Ermanno Olmi la meritata notorietà anche a livello internazionale. L’opera racconta in maniera poetica ma realistica il mondo contadino, al quale lo stesso regista è sempre rimasto legato dalla tenera infanzia.
Dopo anni di residenza a Milano, Olmi decide di trasferirsi nella più tranquilla e vicina Asiago. Nel 1982 a Bassano del Grappa, il maestro fonda la propria scuola di cinema dal nome Ipotesi Cinema. Nella fase conclusiva della sua carriera artistica torna alla vecchia passione dei documentari, girandone diversi per conto della Rai, dirigendo anche vari spot pubblicitari.
Affetto dalla rara sindrome di Guillan-Barré ,identica malattia da cui è affetto Oscar Washington Tabarez commissario tecnico dell’Uruguay ai Mondiali di calcio in Russia 2018, Ermanno Olmi è costretto ad allontanarsi dai riflettori per qualche periodo, tornando in auge nel 1987 con la pellicola Lunga vita alla signora!, film vincitore del Leone d’argento al Festival di Venezia. Da allora una sfilza di film di successo in Italia ed all’estero, tra cui: Il segreto del bosco vecchio, tratto dall’omonimo romanzo nato dalla pena di Dino Buzzati, con protagonista Paolo Villaggio. Con Il mestiere delle armi (2001), presentato ed acclamato al Festival di Cannes, si aggiudica 9 David di Donatello. Nel 2003 Ermanno Olmi si avventura nel lontano oriente, precisamente in Cina, dove gira Cantando dietro i paraventi, con Bud Spencer unico attore occidentale del cast, ricevendo nuovi elogi dalla critica internazionale. Dirige infine Centochiodi (2007), definito da egli stesso come suo ultimo film di finzione, data la sua scelta di dedicarsi da allora in avanti esclusivamente al genere dei documentari. Nell’anno 2008 la Mostra del Cinema di Venezia onora il grande maestro conferendogli il Leone d’oro alla carriera.
Ermanno Olmi: artista “agreste” tra finzione, poesia, schiettezza e realismo
La recente scomparsa del regista Ermanno Olmi segna la fine di uno degli ultimi grandi maestri che hanno rese lustro al cinema nostrano. Come tutti coloro nati a cavallo tra Prima e Seconda guerra mondiale, il piccolo Ermanno ha vissuto un’infanzia umile e sacrificata, conoscendo sin da bambino l’importanza del lavoro e del sacrificio. Avendo trascorso la parte iniziale della propria esistenza a Treviglio, nella semplice provincia, ed essendo venuto a contatto frequentemente con ambienti contadini, ciò si ripercuote inevitabilmente nel suo campo artistico, attraverso contesti raffiguranti paesaggi umili, campagna o montagna che sia, con sfondi quasi poetici, al contempo, legati a un Italia segnata dal dopoguerra, in continuo mutamento ed alla perenne ricerca del benessere e di una propria identità.
Come altri illustri colleghi della sua generazione, Ermanno Olmi ha contribuito a formare e donare credibilità alla cinematografia italiana, grazie alla sua arte schietta, fatta di storie quotidiane, che rappresentano uno spaccato dei storia del nostro Paese, capaci di coinvolgere lo spettatore riflettendo la realtà di un popolo nelle sue molteplici sfaccettature sociali ed economiche. Le storie narrate tramite la cinepresa dal regista bergamasco hanno quindi la finalità di edulcorare il pubblico, rendendolo partecipe riguardo la riflessione di tematiche sociali importanti, il tutto condito da un’umile finzione cinematografica.
Davide Gallo