La fonte principale per la vita di Carlo Magno è la Vita Karoli, scritta da Eginardo tra l’828 e l’830,[1] in un periodo di ritiro monastico successivo al suo allontanarsi dalla corte di Ludovico il Pio. Eginardo visse a stretto contatto con Carlo, ma la sua opera risale ad almeno 15 anni dopo la morte di quest’ultimo. Fra le sue fonti a disposizione c’erano gli Annales, l’Historia episcoporum Mettensium di Paolo Diacono, la corrispondenza diplomatica e il testamento di Carlo.[2]
L’analisi della Vita Karoli merita particolare attenzione, in quanto è la base di qualsiasi biografia di Carlo successiva. L’ispiratore principale della Vita Karoli è Svetonio, sia nella struttura, sia nello spirito dell’opera. La narrazione non segue un ordine cronologico ma una divisione in rubriche, come nelle Vite dei Cesari. L’applicazione del modello svetoniano alla vita di Carlo fa sì che questa biografia abbia un filtro che la renda meno genuina: la mitizzazione di Carlo inizia, seppur in forme molto ridotte, sin dall’inizio.
Il ritratto morale di Carlo Magno nella Vita Karoli
Carlo Magno viene descritto nella Via Karoli come un uomo molto generoso, che si preoccupava di sostenere i poveri, anche provenienti da altre nazioni. Eginardo spiega, con la sua volontà di soccorrere i poveri d’Oriente, le relazioni internazionali intessute dal re franco.
“Si occupava così tanto del soccorrere i poveri, in quella generosità gratuita che i Greci chiamano elemosina, che non solo si occupò dei poveri della sua patria e del suo regno, ma, quando scoprì che vi erano Cristiani che vivevano in povertà in Siria, Egitto, in Africa, a Gerusalemme, ad Alessandria e a Cartagine, ebbe compassione di loro e gli inviò denaro attraverso i mari. La ragione che lo spingeva a stringere amicizia con i sovrani d’oltremare era la possibilità di aiutare i Cristiani che vivevano sotto di loro”[3]
Ciò che esalta magiormente di Carlo è la sua grandezza morale.
“Il re, che superava tutti i principi del suo tempo in sapienza e grandezza d’animo, a nulla di tutto ciò che doveva essere preso o portato a termine egli rinunciò per eventuali difficoltà e pericoli, essendo stato abituato a sopportare qualsiasi difficoltà, senza mai cedere nelle avversità o affidarsi ai favori ingannevoli della fortuna nella prosperità” [4]
Carlo, nella descrizione di Eginardo, sovrastava i re coevi in saggezza e grandezza d’animo, più che per lo spirito combattivo. I valori morali lo elevavano e lo rendevano capace di adattarsi alle situazioni più disparate, scegliendo la soluzione migliore per affrontare le avversità presentategli di fronte di volta in volta.
Quando Eginardo passa dalla descrizione della vita pubblica a quella della vita privata, elenca subito la costanza fra le sue qualità: un’altra volta un valore morale.
“Tutto ciò che Carlo fece per difendere ed aumentare l’estensione del suo regno è ben noto; e qui lasciatemi esprimere la mia ammirazione delle sue grandi qualità e la sua straordinaria costanza nella buona e nella cattiva sorte. Ora io procederò, senza indugio, a fornire i dettagli della sua vita privata e familiare”[5]
Anche la descrizione delle sue abitudini alimentari diventa un modo per esaltare Carlo:
“Modesto nel mangiare e nel bere, e in modo particolare nel bere, perché aborriva l’ebrezza in qualunque uomo, molto più in lui e in quelli della sua famiglia. Raramente organizzava feste, solo nelle grandi festività, e per un largo numero di persone. Mentre cenava egli ascoltava letture o la musica. Venivano lette le storie e le gesta dei tempi antichi. Lo dilettavano anche i libri di Sant’Agostino, in particolare quelli intitolati de Civitate dei. Era moderato anche nel bere il vino e tutte le bevande in genere, tant’è che raramente beveva più di tre tazze nel corso di un pasto” [6]
Carlo Magno in occasioni rarissime organizza banchetti, a tavola è moderato astenendosi dagli eccessi e, addirittura, i suoi pranzi diventano occasioni per leggere Sant’Agostino: decisamente in controtendenza rispetto allo stereotipo delineato da Tacito dei popoli germanici perennemente indeboliti dalla loro tendenza ad ubriacarsi.
L’incoronazione di Carlo Magno
La narrazione dell’incoronazione di Carlo, il passo più noto dell’intera Vita Karoli di Eginardo, è perfettamente in linea con ciò che è stato detto fino ad ora: tutto è organizzato per esaltare la modestia del re.
“Le cause della sua ultima venuta [a Roma] non furono solo queste, ma ci fu anche il motivo che i Romani avevano costretto papa Leone a invocare la protezione del re, avendogli fatto subire molte violenze, cioè a dire gli avevano strappati gli occhi e tagliata la lingua. Perciò venne a Roma per rimettere a posto la situazione della Chiesa, che era diventata eccessivamente confusa, e vi si trattenne per tutto il periodo invernale. In questo periodo prese il titolo di imperatore e di Augusto. Il che dapprima lo contrariò a tal punto che giunse a dichiarare che in quel giorno, anche se era una delle più grandi festività, mai sarebbe entrato in chiesa se avesse potuto supporre quale era il progetto del pontefice. In seguito però sopportò con grande tolleranza l’odio suscitato dall’aver egli assunto quel titolo, sdegnandosi soprattutto di ciò gli imperatori romani, vinse la loro arrogante fierezza con la sua magnanimità, nella quale indubbiamente li superava di gran lunga, e ottenne ciò mandando loro frequenti ambascerie e chiamandoli fratelli nelle sue lettere.”, trad. it a cura di Reti Medievali (http://rm.univr.it/didattica/fonti/anto_ame/cap_VII/VII_2_it.htm#A) [7]
Carlo giunge a Roma unicamente per soccorrere Papa Leone, senza altri intenti. Il re dei Franchi è ignaro di ciò che succederà durante la notte di Natale. La decisione è tutta papale: apparentemente si potrebbe dire che, con ciò, Eginardo dà un potere considerevole al papa, da cui dipende totalmente l’incoronazione.
In realtà, nel modo con cui Eginardo descrive la cosa, Carlo risulta umile, modesto, un uomo che non si sente in grado di assumere questo compito, che sembra dargli più oneri che onori. Nonostante tutto, Carlo, con “molta pazienza”, ricuce i rapporti con gli imperatori bizantini, indispettiti dall’incoronazione imperiale, vincendo la loro fierezza con la sua magnanimità, non a caso un’altra dote morale.
In effetti Carlo è un campione nelle relazioni internazionali.
“La gloria del suo regno aumentò attraverso l’amicizia che Carlo strinse con molti re e popoli” [8]
Eginardo elenca tutti i sovrani con cui Carlo ebbe ambascerie, sebbene tale elenco sia più snello: Alfonso re di Galizia e delle Asturie, Harun re dei Persiani, Niceforo, Michele e Leone imperatori di Costantinopoli ed un anonimo re degli Scoti; Eginardo accenna anche ai doni del musulmano Harun Al-Rashid.
Il Carlo di Eginardo è caratterialmente affabile ed incline a stringere forti legami interpersonali.
“Per natura egli era portato a stringere amicizie, e non solo a stringerne di nuove ma anche a mantenerle vive col tempo, e volle molto bene a coloro con cui strinse questi forti legami” [9]
Carlo Magno in guerra e la morte
Sicuramente, però, non aveva un carattere perfetto: emergono qua e là, nella narrazione, alcune ombre; Carlo presenta un’attitudine crudele in battaglia, per cui, dice Eginardo, l’intera popolazione unna, cioè degli Avari, viene sterminata dopo le sanguinose battaglie intraprese dai Franchi.
“Anche se proseguirono la guerra nel modo più vigoroso possibile, essa pervenne a una conclusione dopo una lotta di sette anni. Lo spopolamento totale della Pannonia, e il sito del palazzo del Khan, ora un deserto, dove nessuna traccia di abitazione umana è visibile, sno testimonianza di quante battaglie sono state combattute in quegli anni, e di quanto sangue è stato versato. L’intera popolazione degli Unni morì nell’occasione, e con essa svanì tutta la sua gloria” [10]
Nonostante questo passaggio, però, c’è silenzio riguardo alle azioni più turpi di Carlo: non c’è traccia, ad esempio, del massacro di Verden.
Anche nel narrarne l’incombere della morte, Eginardo esalta Carlo. La sua fine è preceduta da alcuni presagi che mitizzano il destino del re dei Franchi, a cui segue il lungo testamento di Carlo che, non a caso, enumera donazioni a poveri e chiese.
Il Carlo della Vita Karoli di Eginardo risulta quindi una sorta di ritratto del re ideale, ma dotato di una saggezza mostrata in ogni aspetto della sua vita. Le caratteristiche morali sono quelle che maggiormente definiscono Carlo: in questo Eginardo è perfettamente aderente a Svetonio.
Sarà grazie alla biografia di Eginardo che Carlo diverrà “Carlo Magno”, proprio dal nome che l’opera acquisirà dopo l’introduzione scritta da Gerward, intellettuale della corte di Ludovico il Pio, ossia “Vita Karoli Magni”.
Davide Esposito
Note
[1] Gabriele, M., Stuckey, J., The Legend of Charlemagne in the Middle Ages, Palgrave McMillan, New York 2008, pag. 9
[2] Morrissey, R., Charlemagne and France, pag. 307
[3] Eginardo, Vita Karoli cit. in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi, Hannover 1911, pag. 31-32, traduzione a cura de La COOLtura
[4] Ivi, pag. 11
[5] Ivi, pag. 21
[6] Ivi, pag. 28-29
[7] Ivi, pag. 32-33
[8] Ivi, pag. 19
[9] Ivi, pag. 24
[10] Ivi, pag. 16