La complessità non è mai stata un tratto caratteristico di Dragon Ball sia nella sua realizzazione che nelle intenzioni dell’autore, Akira Toriyama (come sottolineato in un articolo precedente). Il suo obiettivo era infatti dar vita ad una fiaba semplice e godibile. Con Dragon Ball Super le cose cambiano; questa nuova serie infatti cerca e, in parte, riesce, nonostante i propri difetti, a superare molti limiti strutturali dell’opera madre. Su questa inattesa e spesso sottovalutata crescita desidero soffermarmi nelle prossime righe per sottolinearne l’importanza.
N.B. nel proseguimento dell’articolo ci saranno anticipazioni sulla trama di Dragon Ball Super.
Indice dell'articolo
Black Goku, un nuovo tipo di villain
I villain di Dragon Ball, per quanto iconici, sono estremamente semplici e facilmente etichettatili: si tratta infatti di individui egoisti, mossi unicamente dalla volontà di soddisfare proprie ambizioni personali o dal desiderio irrazionale di portare terrore e distruzione. Alla base delle loro azioni non vi è alcun fattore scatenante ed esse mancano di qualunque carattere chiaroscurale.
In questo panorama Black Goku rappresenta una piacevole ventata di novità. Il principale villain di Dragon Ball Super ha ad esempio uno scopo ben preciso in mente, l’eliminazione di tutti i mortali, che, per quanto possa apparire a prima vista simile alla già citata volontà distruttiva, se ne distanzia notevolmente.
In primo luogo l’obiettivo di Black Goku costituisce infatti l’esito di una riflessione interiore che prende le mosse dalla sua esperienza personale. È osservando i mortali ed i loro comportamenti altamente distruttivi che egli si convince della necessità di annientarli per riportare l’armonia nell’universo. Se dare allo scopo di Black Goku un’origine è già un notevole passo in avanti dotare il personaggio di un distorto altruismo di fondo ne completa egregiamente la costruzione: dal suo punto di vista egli agisce per il bene comune e le sue azioni sono nobili e giuste.
Ma la complessità del personaggio non si esaurisce qui. Oltre che da un distorto senso di giustizia, Black Goku è animato anche da pregiudizi nei riguardi dei mortali che rendono pochi esempi di barbarie sufficienti a giustificare uno sterminio su scala universale. Egli è inoltre convinto di essere l’unico in grado di portare a termine un simile compito in virtù dell’incapacità dei suoi pari di affrontare il problema con la determinazione necessaria.
La sua psicologia è facilmente assimilabile a quella di un suprematista bianco, di un neofascista o di un gerarca nazista convinto di essere un eletto in un mondo corrotto da esseri inferiori e per questo molto più credibile e interessante.
Il modo in cui Black Goku cerca di portare a termine il suo obiettivo, i sacrifici che compie per riuscirvi, i suoi deliri di onnipotenza, le sue cangianti reazioni di fronte a successi e fallimenti costituiscono altrettante conferme della complessità del personaggio ma, per ragioni di spazio, non potrò adeguatamente approfondirle. Sono tuttavia convinto che quanto detto sinora basti a sottolineare l’abisso esistente tra questo villain ed i suoi predecessori.
Jiren, un nuovo tipo di buono
Jiren rappresenta una delle più grandi sorprese di Dragon Ball Super. Nelle sue prime apparizioni egli non parla o interagisce con gli altri personaggi se non per mostrare la sua straordinaria forza combattiva o sottolineare la propria distanza, sia fisica che morale, dagli altri combattenti. Un Gary Stu come tanti insomma.
Negli ultimi episodi della serie però la psicologia di Jiren viene sviscerata dando una motivazione profonda ai suoi apparenti atteggiamenti da spaccone e dotandolo di una caratterizzazione tutt’altro che banale o scontata.
Jiren è infatti un personaggio dal passato traumatico, un uomo che, prima di divenire l’essere più potente del proprio universo, ha perso tutto ciò a cui teneva proprio a causa della sua mancanza di forza.
I suoi genitori e la sua gente sono stati infatti uccisi da un malvagio misterioso e, quando Jiren ha riunito un gruppo di combattenti per abbatterlo, il fallimento del tentativo ha portato al suo abbandono da parte dei compagni. Jiren è dunque giunto alla conclusione che l’unico modo per non perdere più niente fosse diventare il più forte, identificandosi con il concetto stesso di forza.
Essere il più forte per Jiren è qualcosa di più che la soddisfazione del proprio ego, si tratta di un’esigenza imprescindibile e legata alla sua stessa essenza: essendo il più forte egli infatti non rischia più di essere abbandonato o ferito, la sua forza gli permette di plasmare la realtà a suo piacimento impedendo che diverga nuovamente dalle sue aspettative.
Ma questa sicurezza ha un prezzo: il suo “status” di individuo superiore gli impedisce infatti di stabilire qualsiasi legame autentico con i suoi nuovi compagni, rendendolo più simile ad un benevolo e distante dio che all’eroe che in gioventù aspirava a diventare.
Alcune sue azioni apparentemente irrazionali diventano quindi perfettamente logiche alla luce di questa psicologia. Se ad esempio non elimina Goku dopo averne visto la potenza è perché la possibilità che qualcuno possa sconfiggerlo non è contemplabile quindi la pericolosità del saiyan è nulla.
Il senso di giustizia di Jiren è poi è molto diverso da quello tipico di un buono e, soprattutto, di un eroe del suo calibro. Benché usi le sue abilità per aiutare i bisognosi infatti Jiren è convinto che sia la forza a definire ciò che è giusto e che non esista alcuna morale universalmente valida: chi è forte determina la realtà che lo circonda e dà all’ordine che è in grado di creare il nome di giustizia.
Altra peculiarità di Jiren è la sua immensa umanità che si manifesta nel momento in cui la sua essenza va in pezzi: superato da Goku egli perde infatti la propria identità arrivando ad attaccare degli innocenti in preda alla frustrazione per poi perdere qualsiasi volontà di reagire. Entrambe le reazioni sono istintuali ed autentiche, reazioni di un uomo che perde ogni controllo di fronte al ripresentarsi di una situazione traumatica che ormai pensava di non dover più rivivere.
I suoi sono gli errori di un buono che, nonostante tutto, non cessa di essere buono. Egli si configura quindi come un buono diverso, fallibile, dotato di problemi e conflitti irrisolti, spesso espressi sapientemente da piccoli gesti, dallo sguardo o dal mutare della sua consueta espressione indifferente.
Un personaggio del genere non è di certo una novità nel mondo degli anime, ma lo è nel panorama di Dragon Ball dove i buoni, per quanto egoisti, non arrivano mai a compiere azioni che vadano contro la morale comunemente accettata.
Beerus e Zeno: al di là del bene e del male
Altra peculiarità di Dragon Ball Super è l’inserimento di personaggi fondamentalmente amorali che, anche quando compiono atti dal nostro punto di vista condannabili, non sono comunque considerabili villain.
Beerus ad esempio è un dio della distruzione, il suo compito è quello di mantenere l’equilibrio nell’universo eliminando con un singolo gesto intere civiltà. Per quanto sia irascibile e capriccioso non appare però dotato di alcuna malizia e la sua azione distruttiva si pone semplicemente come un qualcosa di necessario e di naturale.
Il suo agire ricorda, su scala decisamente più ridotta, quello di Galactus, il divoratore di mondi di casa Marvel, e, come quest’ultimo, egli è assimilabile più ad una calamità naturale che a un nemico da combattere.
Ancora più estraneo a qualunque scala di valori appare Zeno, divinità suprema del multiverso, che agisce come un bambino assecondando le proprie pulsioni più elementari. Egli non si rende conto delle conseguenze delle sue azioni non provando dunque alcun rimorso o piacere nella cancellazione di interi universi.
Inserire un simile personaggio ha dato inoltre vita a un’inedita situazione di pericolo costante da cui non vi è possibilità d’uscita togliendo ai protagonisti il pieno controllo sul proprio destino.
L’importanza della cooperazione
La cooperazione è stata sempre presente in Dragon Ball ma non si è quasi mai rivelata un elemento determinante. In Dragon Ball Super invece essa diviene fondamentale.
Nel Torneo del Potere infatti l’universo dei protagonisti riesce a prevalere proprio grazie alla sua coesione e al supporto reciproco dei suoi membri ognuno dei quali lotta per il successo del gruppo più che per quello personale.
Lo spirito di cooperazione trova il suo coronamento negli attimi finali del Torneo quando perfino Freezer accetta l’idea di aiutare Goku e, insieme a lui, si sacrifica per eliminare Jiren. La cooperazione arriva ad unire perfino due acerrimi nemici e a dare a Jiren lo spunto per un nuovo processo di crescita interiore.
Le inaspettate conclusioni di Dragon Ball Super
Tra i pregi di Dragon Ball Super si collocano anche numerose sorprese, in grado di dare una scossa ad una trama non particolarmente intricata. Per ragioni di spazio ne tratteremo soltanto alcune, sorvolando ad esempio sulla misteriosa identità di Black Goku e sulla questione del reale scopo del Torneo del Potere.
La sorpresa più grande è probabilmente rappresentata da Freezer e dalla conclusione della sua storia. Non solo egli è mostrato sempre come un personaggio ambivalente, lasciando il dubbio sulle sue reali intenzioni fino alla fine, ma tale ambivalenza non viene meno neanche quando accetta di schierarsi con Goku.
Freezer non diventa infatti un buono, non accenna minimamente a pentirsi e, quando viene inaspettatamente resuscitato, decide di ricostruire il proprio impero. Freezer resta dunque un villain, nonostante compia un percorso di crescita ed il suo rapporto con i buoni cambi nella direzione di una pacifica convivenza. A dispetto del suo status di villain però egli ottiene ugualmente un happy ending.
Altra grande sorpresa è il triste destino dell’universo di Trunks, quello stesso universo le cui sorti avevano interessato un’intera saga del vecchio Dragon Ball. Tale universo viene infatti totalmente cancellato, senza alcuna possibilità di ritorno. Il viaggio di Trunks e le sue peripezie da frammenti di un’epica rivalsa diventano i cocci rotti di un fallimento devastante dando vita ad una tragedia che nel vecchio Dragon Ball non era neanche ipotizzabile.
Altro elemento interessante è la reiterata sconfitta dei protagonisti che non si dimostrano all’altezza delle sfide che gli si pongono davanti, risolte in loro favore da decisioni o interventi di altri personaggi (Beerus che risparmia uno sconfitto Goku, Whis che riavvolge il tempo per fermare Freezer, Hit che si lascia sconfiggere da Monaka, Zeno che cancella Black Goku). Questa impotenza dei protagonisti contribuisce però a renderli più umani e le loro vicende divengono più interessanti, dato che, stavolta, la possibilità di fallire e di perdere qualcosa di insostituibile rappresenta una concreta possibilità.
Nonostante questi pregi Dragon Ball Super ha ovviamente anche dei lati negativi e dei grossi difetti (in primis l’abbondanza di episodi filler privi di contenuti e la stereotipizzazione di alcuni personaggi principali) che, tuttavia, non gli impediscono di configurarsi come un prodotto più maturo e complesso dell’originale. Si tratta di una crescita parziale e senz’altro piena di limitazioni ma pur sempre capace di arricchire notevolmente la qualità del franchise.
Cosa ci resta dunque di Dragon Ball Super? La consapevolezza che un Dragon Ball più adulto è possibile e che questa storica serie può regalare anche qualcosa di nuovo.
Alessandro Ruffo