È il cinema che racconta il nostro amato Belpaese uscito martoriato sotto macerie e disperazione dal secondo conflitto mondiale, ma perennemente speranzoso ed ottimista nel domani. Vittorio De Sica ha trasportato con estrema fedeltà nel maxi-schermo l’Italia dei nostri nonni, povera ma felice, affamata ma speranzosa, malata ma spensierata; in fondo la conclusione della guerra e dell’oppressione nazi-fascista rappresenta già un forte segnale di ripresa per tutto un popolo, il quale finalmente poteva riassaporare un meritato senso di libertà e pace. Come dire… poveri ma liberi.
Da primattore del teatro napoletano a padre del cinema neorealista
Vittorio De Sica, nasce a Sora (FR) in data 7 luglio 1901 da famiglia benestante appartenente alla piccola borghesia, padre assicuratore e madre casalinga. Trasferitosi a Napoli, inizia ben presto ad appassionarsi all’arte della recitazione, esibendosi giovanissimo come attore teatrale e dopo la dovuta gavetta ottiene delle particine nel nascente cinema italiano, preferendo però, almeno inizialmente, il teatro all’ancora acerba industria cinematografica. Dopo il consueto periodo di gavetta, Vittorio De Sica ottiene nel 1930 il prestigioso ruolo di primo attore all’interno della compagnia gestita da Mario Mattoli. La sua fama s’accresce spettacolo dopo spettacolo, pertanto questi decide di fondare nel 1933 una propria compagnia teatrale, dedicandosi al contempo anche a lavorare in radio, ennesima sua dichiarata passione, realizzando numerosi sketch umoristici e brillanti, i quali poi vengono puntualmente ripresi e riadattati ad hoc per il maxi-schermo.
Vittorio De Sica: il suo cinema tutto acqua e sapone… e fantasia
Il primo film di successo con attore Vittorio De Sica datato 1932 si intitola Gli uomini che mascalzoni, da cui viene lanciata la tutt’oggi celebre e pubblicizzata canzone Parlami d’amore Mariù. Con Il signor Max (1937) giunge la consacrazione definitiva, che dona all’attore di Sora popolarità a livello nazionale. Nel 1940 passa dietro la cinepresa cimentandosi nell’arduo compito di regista con Rose scarlatte, ma il primo abbozzo cinematografico neorealista avviene quattro anni più tardi con I bambini ci guardano, opera che pone le basi ai seguenti lavori ispirati a descrivere il contesto storico-sociale dell’Italia in piena seconda guerra mondiale. Nel 1946 grazie al film Sciuscià, Vittorio De Sica ottiene addirittura un apposito premio dall’Academy Studios di Hollywood ricevendo un Oscar speciale istituito ad hoc per lui, non essendo all’epoca in auge la categoria miglior film straniero. Soltanto due anni più tardi l’ennesima consacrazione internazionale col capolavoro Ladri di biciclette, che pur non ricevendo grossi introiti ed applausi in patria, riscuote enormi consensi all’estero, particolarmente in Francia e Stati Uniti, il che consentirà a De Sica di rivincere l’ambita statuetta d‘oro salvandosi dalla bancarotta, poiché questi aveva investito gran parte dei propri risparmi nella produzione del film.
Nonostante ad oggi Ladri di biciclette rimanga una pietra miliare nella storia della cinematografia italiana ed internazionale, all’epoca si innalzarono varie polemiche riguardo la sventolata condizione del popolo italiano, rappresentato fedelmente dal regista povero e disperato. La critica più illustre giunse dal giovane onorevole Giulio Andreotti, il quale, senza neanche entrare nel merito del film in questione, rilasciò alla carta stampata la seguente dichiarazione: “I panni sporchi della povertà italiana vanno lavati in famiglia!“. Il cinema, è risaputo, comunica attraverso un linguaggio diretto ed universale, l’omertà cinematografica è anacronistica ed inaccettabile per chiunque intenda rappresentare l’arte su pellicola, cosicché il genere neorealista desichiano fece da subito scuola infrangendo il pesante muro di omertà nazionalista legata ancora ad obsoleti dettami di regime.
Ma è recitando solo (o anche) nel ruolo di attore protagonista nelle commedie neorealiste degli anni ’50-’60 che Vittorio De Sica conquista la popolarità nazionale. Opere come Pane amore e fantasia, Il signor Max, Matrionio all’italiana, La ciociara, rispecchiano storie di vita quotidiana tipiche dell’immediato dopoguerra, alcune molto forti ed al limite della censura dell’epoca (La ciociara), personaggi semplici dal volto e linguaggio pulito, sempre ben caratterizzati. L’ingenuo spettatore pare avere la sensazione d’ammirare dal vivo un affresco pittorico in movimento, entrando nel quadro e sentendosene parte attiva. Contrariamente ad un altro compianto maestro del cinema nostrano, quale Ermanno Olmi, il regista-attore ama lavorare e stare a contatto con interpreti già affermati, servendosi spesso di volti noti ed affidabili, quali Gina Lollobrigida, Sofia Loren, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e Alberto Sordi, vere e proprie icone dello star-system italico in bianco e nero. Dirigendo la mitica coppia Loren–Mastroianni in Ieri oggi e domani (1963) ottiene il suo terzo Oscar. L’ultimo grande successo planetario dietro la macchia da presa, col solito Oscar annesso (e sono quattro, cosa assai rara per un artista straniero ad Hollywood) giunge nel 1970 col film drammatico Il giardino dei Finzi-Contini.
Poco dopo aver girato il film Il viaggio assieme alla Loren, si sottopone ad un delicatissimo intervento ai polmoni, avendo vissuto già in condizioni precarie da diverso tempo. La riabilitazione non procede al meglio, le difficoltà respiratorie dovute a polmoni fragili e vari acciacchi dovuti all’avanzare della malattia aggravano il periodo post-operatorio. Il 13 novembre 1974, a 71 anni compiuti, a Neuilly-sur-Seine, nei pressi di Parigi, si spegne la personalità forse più emblematica del nostro cinema, lasciando un vuoto colmato dai suoi capolavori, simili a dipinti d’autore, simboli vividi su pellicola di un popolo finalmente libero dall’oppressione dell’olocausto, un intero Paese che rialzava dignitosamente lo sguardo al cielo, non più per schivare proiettili e bombe, bensì per tornare a sognare guardando brillare le stelle.
Vittorio e Christian: De Sica si nasce
Oggi, coniando un linguaggio social al passo coi tempi, definiremmo De Sica un influencer, considerata appunto la innata capacità di influenzare a suo tempo usi e costumi, di creare tendenza e fare “proselitismo“. Il cinema desichiano ha realmente fatto scuola per tutta una generazione di futuri registi e cineasti italiani e non, i quali sebbene ovviamente con tecniche, stile e tecnologie differenti, hanno tratto dal maestro spunti di riflessione per arricchire i propri lavori ed omaggiare il padre del neorealismo all’italiana. L’ultimo in ordine di tempo ad ispirarsi a quel genere di successo, Luca Guadagnino, il quale col suo recente capolavoro Chiamami col tuo nome, tratto dal medesimo romanzo, richiama l’importanza simbolica, quasi onirica, del giardino, rifacendosi appunto a Il giardino dei Finzi-Contini come luogo–tema sul quale sviluppare la relazione omosessuale tra i due giovani protagonisti. Addirittura il maestro del brivido Dario Argento utilizza nei suoi racconti horror una simbologia pregnante su oggetti e luoghi del quotidiano, che rappresentano parte attiva del film, non mero sfondo paesaggistico assegnato a contorno, è il contesto che prende gradualmente forma e vita nell’opera, divenendone quasi voce narrante, a delineare e rafforzare l’importanza del contesto che assurge al ruolo di attore protagonista accompagnando a braccetto gli interpreti reali in carne ed ossa.
La dinastia artistica dei De Sica non ha certamente termine con Vittorio. Il figlio secondogenito Christian ha infatti anch’egli intrapreso in piena autonomia ormai da tempo le orme dell’amato genitore, recitando in numerosissimi film campioni d’incassi ai botteghini italiani, seppur servendosi di uno stile più sboccato, esplicito e meno soft rispetto all’attore-regista; d’altra parte il contesto storico-cinematografico italiano è andato emancipandosi dal tipico candore alla Pane amore e fantasia dei film diretti ed interpretati da Vittorio. Lo stesso Christian racconta che suo padre era solito suggerire ai propri figli di provare a realizzarsi in altre professioni, “di cercarsi un lavoro serio” era solito affermare sorridendo sotto i baffi (o sotto il naso, una volta “amputati” gli immancabili baffetti). Sempre a detta di Christian De Sica, un “uomo e papà severamente divertente“, che imponeva al contempo, pur non volendo, rispetto e soggezione, sempre propenso ad elargire consigli qualora necessario, senza mai intralciare o peggio oscurare i propri cari causa la propria aura da divo indiscusso del cinema italiano.
Attore teatrale, radiofonico e cinematografico, regista, cineasta, artista poliedrico e geniale, Vittorio De Sica ha dato voce, attraverso i propri capolavori immortali, ad un intero Paese che aveva voglia di tornare a vivere sentendosi nuovamente libero di sognare, gridando al mondo le proprie (dis)umane sofferenze, sempre col sorriso dipinto in viso di coloro che trovano nell’ingiustizia della fame e della miseria post-guerra validi motivi per vivere, non per morire. La sua arte universale ha contribuito a riportare la gioia delle piccole cose alla gente, gridando fieramente al mondo la drammatica situazione in cui milioni di italiani si riappropriavano laboriosamente della propria terra, servendosi di umili lavori, procreando famiglie sempre più numerose, tra romantiche genuine storielle quotidiane ed immancabili voci di paese. Assistere ai suoi film equivale a leggere un vecchio libro scorrendo rapidamente pagine di storia, raffiguranti paesaggi rurali, case in macerie, mestieri dimenticati e valori genuini ormai sbiaditi; un nostalgico bianco e nero colorato da… pane, amore e fantasia.
Davide Gallo