Roger Waters al Circo Massimo: un concerto per “restare umani”

Roger Waters, storico bassista e leader dei Pink Floyd, lo scorso 14 luglio ha portato il suo “Us+Them Tour” al Circo Massimo, coinvolgendo i 45.000 spettatori in un viaggio all’interno della loro condizione umana.

Roger Waters: “Siamo intrappolati in un incubo distopico”

Durante le quasi tre ore di concerto il musicista britannico prende per mano i presenti per guidarli, attraverso impressionanti suggestioni audio e video, in un “viaggio che parla della natura trascendentale dell’amore”, ultima ancora di salvezza a cui aggrapparsi per cercare di passare dalle nostre attuali difficoltà a un mondo in cui a tutti sia possibile vivere un po’ meglio:

“Grazie di cuore a tutti, vorrei che l’amore che sento qui uscisse dal Circo Massimo e si diffondesse in giro per il mondo: non possiamo permetterci il lusso di essere indifferenti e di non impegnarci in prima persona nella politica, altrimenti loro (i politici n.d.r.) faranno quello che vogliono e distruggeranno il mondo”.

Resistere. Unica via percorribile, secondo Waters, in un mondo che ci condanna a vivere nel terrore reciproco, un mondo governato dai “maiali” del potere internazionale.

Lo show sembra proprio svilupparsi sul leitmotiv che dà il titolo all’ultimo disco di Roger Waters del 2017: “È questa la vita che vogliamo veramente?”. Riappropriarci della nostra capacità empatica, condannare gli abusi di chi ha potere, salvaguardare la terra dalle incurie delle multinazionali appaiono all’artista come urgenti necessità.

Il compito della sua musica, dunque, non è più quello di indagare lo spazio e mondi lontani, ma di compiere viaggi verso la dimensione terrena, verso l’essenza della nostra umanità. La magnifica “Breathe” in apertura di concerto sembra proprio rimarcare questo rinnovato bisogno artistico di tessere più legami con la vita: “Breathe, breathe in the air\Don’t be afraid to care\Leave but don’t leave me\Look around, choose your own ground\For long you live and high you fly\And smiles you’ll give and tears you’ll cry\And all you touch and all you see\Is all your life will ever be”.

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“Welcome to the machine”

Roger Waters non lascia nulla al caso, nemmeno i momenti di silenzio. La serata viene introdotta da un misterioso e a tratti inquietante video di un quarto d’ora, proiettato sull’enorme maxi-schermo, ritraente una donna seduta in spiaggia mentre scruta all’orizzonte un mare che non promette nulla di buono.

La prima parte della serata si articola come un viaggio interiore verso la presa di consapevolezza del proprio “lato oscuro”, sulle note di alcuni brani classici dei Pink Floyd e quattro canzoni nuove tratte dall’ultimo lavoro del bassista. Il rock di Waters in questa fase è muscolare ma non privo di delicatezza, come per evidenziare la capacità, non del tutto sopita ma difficile da recuperare, di porsi empaticamente verso l’altro.

Se Time scandisce il passaggio dai battiti del cuore dei primi istanti di vita di “Breathe” a quelli degli orologi della gabbia esistenziale del mondo contemporaneo, “Welcome to the machine” ne firma definitivamente la condanna: il brano, tratto dal disco capolavoro “Wish you were here” del 1975, con sfumature cupe e futuristiche sembra fare da preludio ad un destino opprimente che rischia di abbattersi sull’uomo, completamente risucchiato nelle logiche del mercato ed incapace di esprimersi e difendersi. Così il muro che divide “noi e loro” appare indistruttibile, poggiandosi su fondamenta fatte di paure e silenzi.

Il concerto si interrompe per venti minuti, ma non terminano le suggestioni per il pubblico: questa volta ad apparire sullo schermo sono numerose denunce contro le barbarie della politica occidentale ai danni degli oppressi e degli emarginati, contro l’insorgere di neofascismi, contro l’inquinamento planetario, contro la totale assuefazione al mondo digitale. L’invito da parte di Roger Waters ai suoi ascoltatori è uno solo e ben chiaro: resistere attivamente, “non per noi ma per i nostri figli e per i nostri nipoti. Dobbiamo permettere anche a loro di godere delle colline toscane come del deserto dell’Afghanistan. E c’è qualcuno che vuole distruggere tutto questo”.

Il tema della resistenza sarà il perno della seconda metà del concerto, che vedrà un sorprendente cambio scenografico: sul retro del maxischermo appariranno le quattro enormi ciminiere della centrale elettrica di Battersea Power Station di Londra, che fanno della copertina dell’album del 1977 “Animals” una delle più iconiche della storia del rock. alt="Roger Waters" In un clima dai toni orwelliani – sventola tra le ciminiere una bandiera con la scritta: “Siamo intrappolati in un incubo distopico”– si susseguono “Dogs” e Pigs. Durante l’esecuzione, vengono proiettate le immagini dei principali leader politici mondiali, da Erdogan alla Merkel, da Theresa May a Kim Jong Un e Berlusconi, tutti colpevoli di politiche inique.

Il principale bersaglio delle critiche di Roger Waters è, però, Donald Trump, definito letteralmente “un maiale”. Mentre scorrono in sottofondo le peggiori dichiarazioni del presidente statunitense, un gigantesco maiale gonfiabile vola sulle teste del pubblico incredulo del Circo Massimo con un messaggio in italiano: “Restiamo umani”.

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La stessa cupa atmosfera accompagna il blues di “Money”, storico successo della band inglese, fino al brano che dà il titolo alla mastodontica tournèe di Waters, “Us and them”: il suono è di nuovo liquido, il tempo rallentato, quasi per dare una dimensione ipnotica al procedere del concerto. Per stessa ammissione dell’autore, “il testo, così diretto e lineare, tratta la questione fondamentale di quanto la gente sia più o meno in grado di essere umana”. I temi della violenza e della follia, da sempre cari ai Pink Floyd, assumono in questa canzone un ulteriore significato: non esiste differenza tra gli uomini quando toccano l’abisso di sé, “il lato oscuro della luna”, così come quando sono accomunati dall’empatia reciproca.

Saper riconoscere la distanza tra “noi e loro” è una missione spirituale personale e collettiva fondamentale:

“Noi tutti combattiamo piccole battaglie tra il positivo e il negativo nelle nostre vite quotidiane, e io sono ossessionato dalla verità e da quanto la futile corsa per le cose materiali oscuri il nostro cammino verso un’esistenza. Ecco di cosa parla ‘The dark side of the moon’.

“Mother, should I build the wall?”

Prima del bis, Roger Waters si concede al pubblico per i ringraziamenti e la presentazione della band.

In un italiano incerto il bassista inglese invita nuovamente il suo pubblico a resistere e a non cedere alle barbarie del mondo. Secondo lui, oggi la musica ha il compito di parlare alla gente, di divenire “espressione di empatia politica, filosofica e umanitaria” per abbattere tutti i muri.

Infine si concede una battuta: “Ieri ho controllato la mia pagina Facebook dove c’era ovviamente l’annuncio del concerto di questa sera, e un coglione aveva scritto tra i commenti: ‘Speriamo che pensi alla musica e non parli di politica’. Ma vaffanculo!”.

Poi la voce cupa di Waters inizia ad intonare i versi della splendida Mother, eseguita con la sola chitarra acustica: è senza dubbio il momento più coinvolgente del concerto. La “madre” protagonista della canzone rappresenta tutti i vincoli che impediscono all’uomo di guardare alla natura delle cose con i propri occhi, superando quelle barriere artificiali che si crea per proteggersi dal cinismo e dalla crudeltà della società.

Il tema dell’abbandono del mondo dell’infanzia viene ripreso nell’ultimo pezzo della serata, la famosa Comfortably numb: l’intensità del concerto tocca le sue vette durante l’assolo conclusivo del brano, eseguito per l’occasione dal talentuoso Dave Kilminster, quando, parallelamente al consueto caleidoscopico riprodursi di immagini sul maxischermo, parte un suggestivo spettacolo pirotecnico che lascia a bocca aperta i 45.000 presenti.

La musica termina. Il pubblico per svariati minuti applaude in estasi. Roger Waters riceve una bandiera della Palestina, che indossa a mo’ di mantello, e fa un ultimo inchino prima di sparire dietro le quinte.

Sullo schermo ricompare l’immagine femminile in riva al mare proiettata in apertura di concerto, ma questa volta non è sola: è stata raggiunta da una bambina e lo scenario non appare più minaccioso.

La distanza tra “noi”, il pubblico, e “loro”, le protagoniste del filmato, risulta adesso impercettibile: il viaggio musicale dai toni astronomici alla ricerca del proprio io è giunto al termine, portando alla luce la purezza della sua essenza.alt="Roger Waters"

 

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Luca Florio