I fidanzati è un film di Ermanno Olmi del 1963, presentato in concorso al 16° Festival di Cannes. I protagonisti sono Giovanni, operaio milanese, e Liliana, la sua fidanzata. La loro relazione è in crisi, tuttavia, gli equilibri vengono forzatamente sconvolti dal trasferimento di Giovanni in Sicilia.
I fidanzati, tra Nouvelle Vague e Neorealismo
Per poter analizzare bene le opere di Ermanno Olmi è necessario chiarire quali sono stati i suoi punti di riferimento stilistici: Olmi rappresenta la generazione di quei registi che hanno già trent’anni negli anni Sessanta ma che è al tempo stesso troppo giovane per prender parte al Neorealismo. Di certo non può far a meno di guardare al passato con ammirazione (avere dei “padri” ingombranti come Visconti, De Sica e Rossellini non può esser stato ininfluente) ma al tempo stesso c’è un forte desiderio di rinnovamento.
Proprio per questo, Olmi, è stato uno dei pochi autori ad aver saputo mettere in scena questo passaggio, delicato e complesso, con un linguaggio cinematografico prettamente moderno: con sconnessioni temporali, stacchi narrativi in piena armonia con quanto si stava facendo già in Francia con Godard, Truffaut e Resnais.
Di fatto, i primi lavori con la macchina da presa sono dei documentari: tra il 1953 e il 1961 lavora presso la fabbrica Edison-Volta e gli vengono commissionati dei filmati per documentare le produzioni industriali.
Tutto ciò è utile per poter comprendere che ciò che viene narrato ne I fidanzati non è solo il disfacimento e la ricostruzione di una storia d’amore, ma del particolare contesto (storico e antropologico) nella quale essa si svolge. Un contesto che, di certo, nel bene e nel male ne ha influenzato l’andamento.
Olmi racconta l’Italia del boom economico, un miracolo (durato poco) in cui tutti vogliono la loro parte: si narra, stranamente, di un operaio del nord che è costretto a trasferirsi al sud e di un sud che deve fare i conti con i nuovi tempi produttivi, slegati dalle condizioni metereologiche.
Di fatto, suoi primi lungometraggi: Il tempo si è fermato (1960), Il posto (1961) e soprattutto I fidanzati (1963), sono fra i pochi corrispettivi cinematografici della letteratura industriale di quegli anni.
Ne I fidanzati Olmi è perfettamente in grado di fondere elementi tipici del Neorealismo cinematografico italiano (la scelta di attori non professionisti, la narrazione dettagliata di un contesto nella quale una microstoria come quella di Giovanni e Liliana può addirittura risultare solo un pretesto narrativo[1]) con il lavoro di sottrazione e la ritmicità tipica della Nouvelle Vague francese.
Sono proprio il realismo e l’introspezione psicologica i cardini attraverso i quali Olmi compone le immagini, sviluppandole in profondità, del rapporto amoroso: la valorizzazione della memoria soggettiva e il tempo umano dei personaggi che (ri)vivono i loro sentimenti in continua tensione con una realtà sociale ed economica che li minaccia.
«Figurati che da quando sei partito anche quelli brutti – i ricordi – mi sono diventati cari, e tutti insieme, a volte, mi facevano venire una gran voglia di piangere. Ma non volevo piangere, volevo farmi forte e allora facevo le prove a rassegnarmi, casomai tu non avessi voluto più ritornare. Cercavo di respingerti e di cancellarti dai miei pensieri. Ma adesso per fortuna è tutto è tutto cambiato e i tristi pensieri mi sembrano lontanissimi».
– Liliana
Dall’incomunicabilità alla ricostruzione
Fin dalla prima scena de I fidanzati si percepisce quale sia il vero problema della coppia: l’incomunicabilità, un’incomunicabilità che inevitabilmente si è creata nella coppia a seguito di una ripetizione senza significato delle solite abitudini. I protagonisti non riescono più a dirsi sul serio cosa pensano l’uno dell’altro o della stessa situazione che sono costretti ad affrontare (la separazione forzata) credendo che tutto si possa capire attraverso degli sguardi ricchi di rabbia.
Inevitabilmente, a seguito del distacco, i due dovranno fare i conti con i propri silenzi e dovranno scriversi: la scrittura forza l’espressione ma al tempo stesso la semplifica.
«Che belle lettere che mi scrivi Liliana e come dici bene le cose che vuoi dire, io non sono così bravo e forse non riesco a dirti tutto. Ma sono sicuro che mi capisci lo stesso, perché vedo che le cose che mi scrivi sono le stesse che provo io e tu le dici anche per me».
– Giovanni
Attraverso le lettere, che diventano un appuntamento intimo irrinunciabile, l’incomunicabilità viene risolta: sono messi nuovamente a nudo, riescono a raccontarsi i pensieri e le preoccupazioni (che li hanno afflitti prima e dopo la partenza) proprio grazie al potente mezzo della scrittura, la quale mette in primo piano non gli atti come mere azioni, ma la profondità emotiva delle stesse.
Lavorando, quindi, di sottrazione e utilizzando in modo maturo e consapevole il mezzo cinematografico, Ermanno Olmi riesce a farci percepire i movimenti dell’anima dei protagonisti. Pone in primo piano sentimenti che hanno portato a una rivalutazione dei loro ricordi e, infine, a un riavvicinamento psicologico.
«Lo sai, Giovanni, forse questo viaggio ha fatto bene a tutti e due. Forse è stata proprio questa lontananza che ci ha aiutato a capire tante cose. Quanto tempo che è ormai che siamo fidanzati, quanti anni. Più che fidanzati, tu lo sai. Eppure non ci siamo mai confidati, non ci siamo mai parlati come ci si doveva parlare: ognuno si teneva i propri pensieri e ci si accontentava di stare insieme […] siamo molto più vicini adesso».
– Liliana
La telefonata, infine, estemporanea e senza alcuna motivazione concretamente valida se non quella di riascoltarsi dopo tanto tempo, ci restituisce tutta la freschezza e la violenza emotiva che ha un temporale dopo molti giorni di caldo afoso: c’è liberazione, «si respira».
Cira Pinto
Sitografia: link allo streaming su RAI PLAY
[1] Si pensi a Ladri di biciclette di De Sica: il racconto del furto di una bicicletta è solo un pretesto per mettere in luce le condizioni difficili in cui versa l’Italia del secondo dopoguerra.