Mircea Eliade nella sua opera più famosa, Il Sacro e il Profano, del 1959, tratta, in generale, dello studio fenomenologico e storico dei fenomeni religiosi, il cui tema è proprio l’opposizione sacro-profano.
Mircea Eliade è uno storico delle religioni, filosofo, antropologo e professore universitario, di origine rumena, esperto soprattutto di psicologia e cultura orientale, nato a Bucarest il 13 Marzo 1907 e morto a Chicago il 22 Aprile 1986.
In quest’opera, il maestro Mircea Eliade, cerca di mettere il chiaro tutto ciò che oppone il sacro al profano. Il primo visto come il simbolo di un’esistenza arcaica, il secondo visto come il simbolo dell’esistenza della società moderna, sfociata nella morte di Dio. A tal proposito su questa distinzione si fonda la sua critica verso la considerazione delle società “primitive” come illogiche e prive di razionalità. Per egli è necessario comprendere che è il sacro che influisce sulla vita di queste popolazioni. Il sacro è quindi visto come un’opposizione al profano. Ma andiamo a vedere più nei dettagli.
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Mircea Eliade: considerazioni sullo spazio sacro
Anzitutto, quando Mircea Eliade parla di opposizione sacro-profano, una prima distinzione la si può trovare nel concetto di “spazio”. Infatti per l’uomo religioso, lo spazio non è omogeneo, ma comprende tante spaccature, in cui è inserito anche lo spazio reale, ovvero dove egli vive la sua vita, considerata “sacro”, mentre tutto il resto è considerato “profano”.
Per l’uomo profano, invece, lo spazio è omogeneo, privo di fratture qualitative. Bisogna osservare che la prima considerazione è ciò che contraddistingue le società “arcaiche”, che considerano la propria casa o i luoghi in cui vivono il “Cosmo”, (Imago Mundi), quindi l’ordine e tutto ciò che ne al di fuori il Caos, che tuttavia può essere reso sacro, mettendo ordine, dandogli un’anima, e affinchè ciò sia possibile è necessario un sacrificio di sangue. Un esempio è quello delle civiltà mesopotamiche, in cui la città stato era considerata il centro del mondo e la “ziqqurat” la montagna sacra, dimora del dio.
Mircea Eliade e la concezione del tempo
Dopo aver analizzato lo spazio, adesso si passa ad un altro elemento fondamentale correlato ad esso, il tempo. Anche in questo caso, per le società arcaiche, il tempo, come per lo spazio, è eterogeneo, poiché alterna momenti sacri, che corrispondono alle feste religiose, a momenti profani. Quindi nella sfera del sacro, il tempo regola il ciclo naturale, e di conseguenza la festa religiosa permette di rivivere il tempo della creazione (Illud Tempus), in cui il mondo è sorto per la prima volta e con esso il tempo.
Da qui la concezione di un tempo circolare, e in effetti il “mito dell’eterno ritorno”, come ritorno alle origini del mondo, che inaugura il tempo, e quindi il ciclo della natura. Questa cosa è stata superata con l’avvento del Cristianesimo, che ha portato alla nascita del tempo storico, in cui Dio si è manifestato tramite l’Incarnazione, per raggiungere poi la salvezza. Quindi il tempo storico ha un inizio e una fine.
La natura sacra
Analizzato il tempo e lo spazio, la cosa su cui Mircea Eliade si focalizza è la natura. Dato che il Cosmo è una creazione divina, è quindi la natura ha una sua sacralità. Ella è manifestazione della divinità, poiché ogni essere divino è legato ad un oggetto della natura, e di conseguenza possiede un’anima. Il dio essendo un essere soprannaturale non è tangibile, ma si manifesta attraverso fenomeni naturali, nel momento che viene invocato.
Ad esempio il Cielo è considerato come l’intero cosmo, il mondo trascendentale e quindi il dio superiore e creatore (presente nella maggior parte delle religioni) che si manifesta sulla terra tramite fulmini, tuoni, piogge etc. La natura, insomma, è immagine del dio.
Il rapporto uomo-divinità
Da questa analisi, Mircea Eliade approfondisce l’argomento del rapporto tra sacro e profano, che coincide con quello tra l’uomo e la divinità, all’interno della vita quotidiana. In ogni tradizione religiosa, si parla di un dio che crea il mondo per poi ritirarsi, rimanendo estraneo alla vita degli uomini, anche alle loro preghiere. Per questo gli uomini nella vita quotidiana si rivolgono a divinità minori, facilmente gestibili.
Tuttavia, nei momenti di pericolo, la divinità suprema interviene, anche se l’uomo resta cosciente della sua capacità di essere salvato. Tuttavia ciò può significare l’inizio di un nuovo ciclo naturale, ovvero lo stesso Dio Creatore ha la capacità di creare il mondo, ma anche di distruggerlo, per poi ricrearlo. Un esempio più comune è quello del diluvio universale presente in molte tradizioni religiose.
Il Sacro come luogo di rifugio
Infine Mircea Eliade ci mostra la differenza tra l’uomo areligioso e l’Homo Relgiosus. L’uomo areligioso è il prodotto della civiltà occidentale dominata dalla scienza, e quindi non riesce ad andare oltre la conoscenza reale, a differenza di quanto accade nelle civiltà Orientali e primitive, sebbene lui discenda dall’homo religiosus.
Egli vede semplicemente il sacro, come un ostacolo al progresso, che egli cerca quindi di combattere, ma che allo stesso tempo, l’arma che usa è pur sempre un prodotto del sacro derivante proprio da una caratteristica innata, tipica dell’homo religiosus, che viveva la sfera del sacro e combatteva le minacce esterne con la purificazione. Quindi, come è facile osservare c’è sempre qualcosa di sacro, anche in ciò che è considerato profano.
Per concludere, il senso dell’argomento è semplicemente considerare il sacro, come rifugio dal mondo e ragione di esistenza per l’uomo.
Domenico Medio