Un’attività mai banale per un archeologo consiste nella datazione di reperti, problema che talvolta non ammette nemmeno risposta univoca. Nel caso di reperti di natura organica, però, questo compito può essere supportato dalla Fisica applicata, attraverso la cosiddetta tecnica della datazione al carbonio-14 (talvolta abbreviato in C-14 o 14C). Così oggi accade spesso che l’Archeologia e altre scienze umane si servano della datazione al radiocarbonio per confermare o smentire teorie. In cosa consiste questo metodo?
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La peculiarità del carbonio-14
Il C-14, anche detto radiocarbonio, è un isotopo (debolmente) radioattivo del carbonio, i cui isotopi stabili sono invece il C-12 e C-13. Gli organismi viventi incorporano il carbonio atmosferico contenuto nell’anidride carbonica, CO2, attraverso la fotosintesi clorofilliana (flora) o attraverso la catena alimentare (fauna). Quindi le percentuali dei tre isotopi del carbonio presenti nei loro “corpi” si mantengono in equilibrio dinamico con quelle ambientali, per tutta la loro vita. Con la morte dell’organismo i processi metabolici cessano e la componente di C-14 – che è la sola a decadere, trasformandosi in azoto – comincia a diminuire, seguendo una legge di tipo esponenziale ben nota ai fisici, comune a tutti i decadimenti radioattivi.
Quindi l’idea: per datare un reperto basta misurare la quantità residua di C-14 rispetto al C-12 e C-13.
Le difficoltà e i vantaggi
Per questo genere di misura, però, sorgono diversi problemi.
- La quantità da rivelare è piccolissima: di C-14 ne esiste, infatti, un atomo ogni mille miliardi di quelli stabili.
- Il tempo di dimezzamento è di quasi 6000 anni: dopo circa seimila anni resterà solo la metà degli atomi iniziali di C-14, dopo altri seimila ne resterà un quarto, e così via; i decadimenti quindi sono rari.
- Non è possibile datare reperti organici più vecchi di 40-60mila anni, essendo ormai considerevolmente o totalmente decaduto il C-14 originariamente presente.
- Gli isotopi mostrano differenze a livello nucleare, non atomico: sono cioè chimicamente indistinguibili.
Ma la missione non è impossibile – altrimenti non sarebbe nemmeno esistito questo articolo.
È quindi fondamentale una grandissima sensibilità. Oggi si può infatti ricorrere a tecniche di Fisica nucleare basate su acceleratori di particelle e spettrometri di massa, che permettono di separare i nuclei di C-14 e contarli. Così non è necessario attendere alcun decadimento, quindi la misura è più veloce e basta sacrificare una quantità di materiale di pochi milligrammi. E questa possibilità rende virtualmente non distruttiva l’analisi di oggetti unici.
Il caso del sigillo di Carlo Magno
I campi di applicazione di questa tecnica, nata a metà del secolo scorso, sono moltissimi. Un esempio interessante e multidisciplinare possiamo rintracciarlo nel lavoro svolto dal gruppo del Prof. Terrasi, allora Professore ordinario di Fisica applicata (oggi in pensione).
Il caso investigativo riguarda la datazione del sigillo in ceralacca del diploma che si vorrebbe emanato da Carlo Magno a Pavia l’8 giugno del 781, circa tre mesi dopo la seconda visita del Re franco a Roma, che oltrepassò le Alpi, fra le altre cose, per battezzare suo figlio Carlomanno col nome di Pipino e proclamarlo Re d’Italia. Carlo Magno rimase nella penisola da aprile ad agosto, sostando qualche tempo a Pavia, dove definì i possedimenti del vescovo di Reggio-Emilia.
Da un’analisi visiva e contenutistica, sembrerebbero non esserci dubbi sulla non autenticità del documento. I moduli grafici infatti ne suggeriscono l’attribuzione alla seconda metà del secolo IX. Si ritiene inoltre che il sigillo sia stato apposto successivamente, forse in età rinascimentale.
La datazione al carbonio-14
La radiodatazione ha stabilito che al livello di confidenza del 95% esistono due intervalli di età possibili: il primo compreso tra il 722 e il 740, il secondo tra il 767 e l’885. In questo caso, nonostante l’ottimo livello di precisione delle misure, l’incertezza sull’età del sigillo è stata amplificata dal particolare andamento (non costante) della concentrazione di C-14 nell’atmosfera, che viene condizionata, ad esempio, dal flusso di raggi cosmici e dall’attività solare e che può essere ricostruita mediante la dendrocronologia. La Natura, infatti, ha voluto che nel 774-75 si sia verificato un picco anomalo e globale di C-14, forse dovuto al brillamento solare più forte conosciuto.
La bellezza dell’attività scientifica risiede pure nell’imprevisto, nonostante il quale si è potuto comunque escludere con certezza l’origine rinascimentale del sigillo, mentre non può essere escluso né che il sigillo sia autentico, né che sia stato prodotto tra la fine dell’VIII e gli anni ’70 del IX secolo.
Una simbiosi perfetta
In certe tipologie di studi è sempre forte l’esigenza di affiancare a considerazioni di natura strettamente archeologica un progetto di datazione dei reperti di origine organica. Ciò in definitiva favorisce uno scambio reciproco di conoscenze e competenze, utile alla realizzazione di progetti multidisciplinari per lo studio e la caratterizzazione delle più disparate tipologie di beni culturali, e non solo. Il know-how sviluppato, infatti, ha oggi importanti applicazioni anche nelle scienze forensi: gli scienziati datano reperti come ossa e carta, aiutando gli investigatori a ricostruirne la storia sulle scene del crimine.
Ma i casi che si presentano non sono sempre macabri. Un’applicazione sicuramente più inebriante riguarda la datazione di vini importanti.
Vincenzo Ventriglia
Bibliografia
Kenneth S. Krane, Introductory Nuclear Physics, Wiley&Sons, 1988 (si veda: chap. 20.2)
Sitografia
Mariaelena Fedi (INFN Firenze), Datazione con radiocarbonio per mezzo di Spettrometria di Massa con Acceleratore, https://agenda.infn.it/getFile.py/access?contribId=4&resId=0&materialId=slides&confId=1962
Pier Andrea Mandò (UniFi), Il bello dei nuclei, https://www.asimmetrie.it/il-bello-dei-nuclei