Su un viale c’è un uomo in tenuta da jogging, si guarda intorno, rientra in casa. Lo stesso uomo è in macchina, entra in un bar, il suo bar, si siede al bancone ordinando un bourbon. Ha l’aria stanca, è esausto, anche se sono solo le dieci del mattino. Percepiamo che quella è la sua routine e che proprio essa lo ha stremato. Quello proposto da David Fincher è un inizio lento ma già carico della tensione che sarà il punto cardine di Gone Girl.
Gone Girl è un thriller psicologico, anche se sarebbe meglio dire psicotico, che punta le sue carte migliori in una lotta mentale tra due coniugi ormai alla fine del loro matrimonio.
È il quinto anniversario per Amy (Rosamund Pike) e Nick (Ben Affleck) e nulla farebbe presagire un’alterazione di quella normale giornata uggiosa. Tuttavia l’inaspettato accade, l’input della storia, lei, Amy, è scomparsa. Tutto sembra riportare ad un rapimento ma è solo apparenza perché il regista fornisce pian piano dei dettagli e porta i personaggi, e gli spettatori stessi, a riflettere, fino ad innestare l’idea che si tratti di uxoricidio.
La ricerca della donna inizia e con essa inizia anche la ricerca nel passato dei due protagonisti attraverso i flashback, narrati dal diario di lei, e i brevi ricordi di lui. Della coppia accesa e innamorata la cui frase “ma noi ci amiamo e tutto il resto è rumore di sottofondo”, sussurrata teneramente dai due, ci fa sognare un amore eterno e inattaccabile, non restano che due individui solitari.
Fincher ci presenta in Gone Girl la parte più oscura del matrimonio, la perdita della fiducia, la fine della passione, l’insopportabile tran tran della quotidianità. Un legame che è diventato un incubo claustrofobico, come claustrofobica è anche l’ambientazione scelta. Il regista predilige gli interni dove rinchiude il protagonista il quale, in trappola, soffoca in quella storia come nel matrimonio, richiamando la nostra memoria all’atmosfera asfissiante e irrespirabile di Panic Room.
Ben Affleck è il marito disattento, pigro, che sembra essersi auto-annullato a causa degli avvenimenti della vita. Quasi infastidito dalla situazione piuttosto che preoccupato per la scomparsa della moglie, così apatico e disinteressato da sembrare uno sciocco, è la perfetta pedina da manovrare.
Amy viene interpretata da una gelida ed eterea Rosamund Pike, che in queste vesti offre tutte le ragioni per meritarsi la nomination agli Oscar come migliore attrice protagonista. Ambiziosa scrittrice di successo, traspare da subito la sua competizione con il personaggio da lei stessa inventato, “The Amazing Amy”, una fantastica bambina che riesce ad ottenere tutto ciò che desidera.
Ma gradualmente si rivela la vera natura della donna. Presentataci come moglie esemplare, il cui volto sorridente è trasmesso da tutti i media, è in un’unica scena che si apre il vaso di Pandora e che si svela una realtà impensabile. Così come Oscar Wilde ci presenta la doppia faccia di Dorian Grey, Fincher ci sbalordisce con un personaggio calcolatore, vendicativo e bugiardo.
Qui riscopriamo il vero Fincher, colui che privilegia i personaggi ambigui, bipolari, che mostrano la loro indole violenta e spietata solo in un secondo tempo. In questo Amy rispecchia in tutto e per tutto l’Edward Norton di Fight Club, entrambi guidati nelle loro scelte da una subdola missione.
Per tutto il film aspettiamo chi farà e quale sarà la prossima mossa. Nick e Amy si alternano, aspettano il turno come in un gioco di società. A questo proposito potremmo quasi domandarci se il regista non abbia voluto stuzzicarci fin dall’inizio mostrandoci Nick e la sorella proprio alle prese con un gioco da tavola.
Questo gioco però consuma le loro vite come era stata consumata quella di Nicholas Van Orton in The Game-Nessuna Regola, pellicola di Fincher del 1997. Anche qui si fanno strategie, i due amanti pianificano le loro mosse con una freddezza e un distacco che ci fa dubitare dell’esistenza di un amore precedente.
I traduttori italiani ci hanno visto giusto, “L’amore bugiardo”, traduzione del titolo inglese, è quasi più appropriato di quello originale, Gone Girl. Perché è la menzogna che regola la vita della coppia. Come è iniziato, così il cerchio deve chiudersi e non a caso il regista ripropone in chiusura la prima scena.
Così rimaniamo sbigottiti davanti ad una Amy che si direbbe finalmente soddisfatta dopo aver recitato la veste del “principe che ti salverà da questa noia mortale”, come si era presentato Nick al loro primo incontro, in cui stava per annegare.
Il film si addentra tra le passioni e i sentimenti più oscuri dell’uomo, li analizza e li mette in scena come in un documentario. Ed è effettivamente proprio grazie a Gone Girl, che David Fincher riesce a mantenersi saldamente al suo ruolo di studioso della mente umana.
Celia Manzi