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Che cosa sono le neuroprotesi
Negli ultimi decenni l’avanzamento della robotica ha aperto una nuova frontiera degli studi neuroscientifici: lo sviluppo delle neuroprotesi. Queste sono protesi robotiche utilizzate in sostituzione di arti od organi , in caso di tetraplegia, cecità o sordità, causate spesso da forti traumi di encefalo e midollo spinale.
La struttura e le dimensioni delle neuroprotesi variano a seconda delle funzionalità; esistono protesi molto piccole e leggere come l’orecchio bionico o l’occhio artificiale, oppure protesi più grandi come esoscheletri e braccia bioniche. Nonostante queste differenze il principio di funzionamento è lo stesso per tutte: potenziare la trasmissione dell’impulso nervoso derivante dal sistema nervoso centrale e diretto verso un organo compromesso per consentirgli una funzionalità simile a delle condizioni normali.
E’ necessario ricordare che alla base di tutti i nostri movimenti, sia volontari che involontari, c’è la trasmissione dell’impulso nervoso in forma di segnale bioelettrico. Il segnale parte dal sistema nervoso centrale (ossia cervello e midollo spinale) e tramite fasci di nervi viene trasmesso in organi o tessuti effettori. L’impulso elettrico innesca una serie di reazioni biochimiche che portano un organo alla funzionalità. Quando un trauma interrompe questa trasmissione degli impulsi, la funzionalità di un organo si interrompe, provocando disabilità.
Lo sviluppo delle neuroprotesi può, quindi, consentire a pazienti affetti da gravi disabilità di recuperare parzialmente le funzioni perse, e di condurre una vita normale. Sono già disponibili protesi che migliorano l’udito in persone affette da sordità, e la ricerca negli ultimi anni si è concentrata su arti bionici ed esoscheletri, per via del più alto numero di pazienti affetti da disabilità motorie.
Il braccio bionico
Un braccio o una mano bionica sono protesi artificiali capaci di compiere movimenti simili a quelli di un arto vero. Il primo braccio bionico nasce presso il NECAL a Chicago nel 2002. Esso utilizzava dei sensori che intercettano gli impulsi nervosi trasmessi ai nervi del torace quando il cervello pensa di fare un movimento; gli impulsi vengono poi inviati ad un mini-computer posto sull’avambraccio ed elaborati in modo da consentire il movimento del braccio bionico. Questo primo prototipo era però piuttosto limitato, e furono gli inglesi dell’Advanced Control Research a sperimentare un modello più efficiente.
Il gruppo di ricercatori ha praticato al paziente un intervento chirurgico preliminare: i nervi della spalla, deputati al controllo di braccio e mano sono stati reindirizzati su una porzione di muscoli del torace resi in grado di comunicare con le componenti elettroniche della protesi. In tal modo gli ordini del cervello vengono trasmessi al braccio più facilmente e potenziati dalla protesi artificiale.
L’avanguardia italiana
L’Italia si è dimostrata piuttosto all’avanguardia nella ricerca su protesi bioniche. Dal 1999 la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa studia la mano robotica, e gli sforzi dei ricercatori hanno portato allo sviluppo del “progetto CyberHand”.
CyberHand è una protesi in acciaio, fibra di carbonio e cinque dita in alluminio, molto simile ad una mano sia per forma che per dimensioni. Ogni dito è munito di speciali sensori che danno all’amputato la sensazione reale del tocco e di un motore che permette la pressione delle falangi. Un motore aggiuntivo controlla il movimento e quattro elettrodi fungono da ponte tra mano e cervello traducendo il segnale elettrico in impulsi nervosi. Il primo impianto di CyberHand si tenne nel 2008 presso il Campus Biomedico di Roma, con ottimi risultati nella riabilitazione del paziente.
Un’altra avanguardia delle neuroprotesi è lo studio condotto dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e l’INAIL, che ha portato alla creazione di Hannes. Questa mano è molto più leggera ed efficiente di altre protesi, oltre che meno costosa e impiantabile senza un intervento chirurgico. Altro studio condotto dall’INAIL, questa volta con il Campus Biomedico di Roma, è Sensibilia, mano bionica utilizzabile sia per menomazioni sia per paralisi conseguenti a traumi del midollo spinale o ictus.
Gli esoscheletri
Gli esoscheletri sono strutture molto più grandi dei semplici arti bionici, e sono utilizzati per la riabilitazione da tetraplegie o traumi invalidanti degli arti inferiori. Si tratta di strutture robotiche che sostengono il corpo dall’esterno e potenziano le capacità fisiche tramite elettrodi e batterie installate all’altezza di anche e ginocchia.
Il principio di funzionamento di un esoscheletro è lo stesso alla base degli arti bionici, con la differenza che devono garantire oltre al movimento anche stabilità ed equilibrio al paziente.
Sebbene i primi tentativi di creare strutture bioniche di questo tipo risalgano all’Ottocento, il primo esoscheletro moderno è nato nel 2005 in ambito militare per aumentare forza e resistenza dei soldati americani. Il suo utilizzo è stato poi ampliato alla riabilitazione dei soldati feriti, e successivamente ha iniziato a diffondersi in ospedali e cliniche civili.
Gli esoscheletri sono ancora piuttosto costosi, ma sono sempre più richiesti dagli ospedali, per via della efficienza fornita in fase di riabilitazione. Sono nate molte aziende che si occupano della ricerca e produzione di esoscheletri, e in Italia abbiamo anche in questo ambito un certo vantaggio, grazie alla collaborazione di vari istituti italiani e lo sviluppo di piccole imprese che in tutta la Penisola operano in questo settore. Sono inoltre sempre di più gli ospedali italiani dotati di queste tecnologie, e recentemente anche il CONI ne possiede uno.
Lo sviluppo di protesi bioniche è, quindi, una delle nuove frontiere della medicina neurologica e riabilitativa. Il loro utilizzo è ormai realtà tanto da richiedere dibattiti non solo scientifici, ma anche economici per quanto riguarda i costi di produzione, oltre che etici per via di eventuali utilizzi a scopo bellico.
Simone Micillo