Nel 1911, su invito del neokantiano Heinrich Rickert, Edmund Husserl pubblica, sulla rivista Logos, il saggio La filosofia come scienza rigorosa. Tale scritto rappresenta il manifesto programmatico della fenomenologia, giacché quest’ultima viene presentata come l’unica strada perseguibile per consentire alla filosofia di fondarsi come scienza. Tuttavia, la realizzazione di tale progetto richiedeva la definitiva liberazione dalla minaccia incombente dello scetticismo. Per tale ragione, egli si impegna a mostrare, con grande lucidità e chiarezza espositiva, le derive scettiche implicite nel naturalismo.
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La filosofia come scienza rigorosa
In apertura al testo, Husserl afferma che la filosofia ha mostrato, sin dai suoi esordi, l’aspirazione a costituirsi come scienza rigorosa, sebbene tale aspirazione non sia mai giunta a concreta manifestazione. Alla filosofia non è mai stata riconosciuta – differentamente dalle altre scienze, rispetto alle quali essa occupa un ruolo fondamentale – alcuna validità oggettiva. Si è per lungo tempo ritenuto che, nel caso specifico di problemi e questioni di natura filosofica, si trattasse di mere “convizioni personali” o “interpretazioni di scuola”.
L’intenzione, allora, dichiarata dal padre della fenomenologia è esattamente quella di operare una vera e propria svolta nel campo della filosofia. Una svolta finalizzata all’edificazione di un sistema filosofico, che poggia le sue basi su di una preliminare “critica della ragione“, dei metodi e dei problemi che sono, appunto, di competenza filosofica. Ad ogni modo, la filosofia ha erroneamente creduto di potersi riformare scientificamente, adottando le metodologie proprie delle scienze empiriche. Tuttavia, le scienze empiriche – in particolare le scienze della natura – non possono fungere da modello per l’indagine filosofica. A questa occorre riconquistare nuovamente la propria autonomia.
La critica allo psicologismo
Husserl definisce naturalismo quella tendenza a ridurre ogni realtà – sia essa psichica o ideale – all’ “essere spazio-temporale regolato da leggi naturali esatte”. In quanto forma di riduzionismo al dato materiale, lo psicologismo si inscrive, a sua volta, nel solco del naturalismo. Lo psicologismo, infatti, pretende di spiegare ogni fenomeno psichico mediante leggi biologiche, che regolano il funzionamento della nostra struttura cerebrale. Attraverso esse, inoltre, cerca di rendere ragione dei principi logico-formali, in base ai quali si giudica la verità o la fallacia di un ragionamento. Ogni valore assoluto e valido oggettivamante – in ambito teoretico, etico o estetico – diviene ora relativo e soggettivo. Ciò si deve alla costituzione biologica del soggetto empirico.
Lo psicologismo, dunque, persegue due obiettivi: da un lato, tenta di naturalizzare la coscienza; dall’altro, di naturalizzare le idee ed ogni genere di norma assoluta ed ideale. La negazione di ogni idealità da parte del naturalista, si rivela, però, un proposito assurdo e contraddittorio. Il naturalista, negando, afferma come vero ciò che è oggetto del suo negare: vale a dire, una verità razionalmente vincolante, che deve essere riconosciuta come tale da ogni soggetto pensante. Il naturalista si scopre, dunque, “un idealista, che formula e pretende di fondare teorie che negano proprio ciò che egli presuppone nella sua condotta idealistica”.
Atteggiamento naturale e atteggiamento fenomenologico
A questo punto, Husserl si rivolge all’ambito della psicologia sperimentale e all’idea di naturalizzare la coscienza. In primo luogo, egli stabilisce che la psicologia sperimentale non può configurarsi come il fondamento sul quale istituire alcuna ricerca filosofica. Ciò dipende dalla natura stessa della psicologia, che si qualifica come “una scienza di fatti”. La filosofia, al contrario, si specifica come una disciplina pura. Essa ha a che fare con i “principi della pura logica, della pura assiologia e della pratica”.
In secondo luogo, va riconosciuta una sostanziale diversità tra l’atteggiamento dello scienziato e l’atteggiamento del filosofo. Il primo interagisce ingenuamente col mondo, poiché ne assume l’esistenza come un dato certo e indubitabile. Diversamente, quello autententicamente filosofico è l’atteggiamento fenomenologico. È un atteggiamento radicalmente critico, giacché pone “in questione l’intera esperienza in generale e il modo di pensare proprio delle scienze empiriche”. Il filosofo si impegna ad esercitare l’epoché. Nell’impianto fenomenologico, l’epoché equivale ad una messa tra parentesi del mondo. Si tratta di una momentanea sospensione del giudizio sulla sua esistenza.
Fenomenologia della coscienza
L’esercizio dell’epoché permette, a questo punto, di studiare la coscienza e di coglierne l’essenza, cioè l’eidos. Mentre la psicologia sperimentale resta imbrigliata in pregiudizi teorici da cui non riesce a liberarsi, la fenomenologia è capace di progredire nell’analisi della vita di coscienza. Tramite la riduzione eidetica, essa porta ad intuizione quelle che sono le strutture formali della coscienza, e, correlativamente, i modi in cui gli oggetti si danno a questa stessa coscienza.
Tali strutture sono comuni ad ogni forma di coscienza, che si tratti di una percezione, di un ricordo, della fantasia ecc. La fenomenologia, pertanto, è la sola capace di coglierne l’intenzionalità, ovvero quel carattere per cui ogni coscienza è “coscienza di”, è coscienza dell’oggetto al quale è correlata. La fenomenologia può, allora, assicurare una fondazione scientifica alla filosofia perché si definisce come ricerca “in senso autentico a priori”. Essa è necessaria al progetto di una “filosofia dal basso”, che trova fondamento nell’individuazione delle strutture a priori della coscienza.
Filosofia e psicologia
A questo punto, occorre domandarsi quale sia il ruolo che Husserl attribuisce alla psicologia. In che termini si articola il rapporto tra psicologia e filosofia? Per il filosofo, si tratta di una relazione “strettissima”, nella quale, però, la filosofia – intesa come fenomenologia – detiene il primato. Ogni conoscenza psicologica – prosegue Husserl – “presuppone la conoscenza d’essenza dello psichico“. Significa, cioè, che presuppone una “fenomenologia sistematica”. Questa si incarica di ricercare e studiare “le formazioni di essenza della coscienza e dei suoi correlati immanenti”. Solamente la fenomenologia può portare ad evidenza quei concetti rigorosi, di cui lo stesso psicologo necessita per formulare i suoi “giudizi psicofisici”.
Neuroscienze e naturalizzazione della coscienza
Ancora oggi, la sfida principale delle neuroscienze è la naturalizzazione della coscienza. Esse cercano, in sostanza, di ricondurre la coscienza – in tutte le sue forme – a circuiti neurali, che ne determinerebbero l’origine. Questo tentativo di riduzione ha portato all’affermazione di un nuovo scetticismo, analogo a quello fortemente contestato da Husserl. In particolare, il neuroscetticismo contemporaneo sostiene la natura finzionale della coscienza. In tal caso il sé non è altro che il prodotto illusorio di complessi meccanismi di elaborazione dell’informazione. I modelli del sé, di cui sono dotati alcuni organismi biologici, corrispondono soltanto a particolari stati del cervello.
Alla luce di tali considerazioni, allora, si può ben comprendere che la fenomenologia può offrire le risorse atte a mettere fuori gioco tale riproposizione dello scetticismo. La fenomenologia, invero, è avulsa da ogni pregiudizio scientifico e naturalistico, dal momento che essa vuol guardare alle “cose stesse”. L’attenzione all’esperienza e al vissuto di coscienza ci consente di dire che, se anche la coscienza fosse il frutto di un’illusione del cervello, va tenuto conto che ogni soggetto esperisce se stesso in quanto sé. Il neuroscetticismo – se vuole qualificarsi scientificamente – deve rendere ragione di tale esperienza e non limitarsi a liquidarla come mera apparenza.
Alessandra Bocchetti
Bibliografia:
E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Bari 2005.
L’immagine di copertina è ripresa da http://www.festascienzafilosofia.it