Bartolomè de Las Casàs è conosciuto come l’autore della Brevisima relaciòn de la destrucción de las Indias, una denuncia sintetica scritta nel 1542 e destinata all’osservazione dell’Imperatore Carlo V.
I primi risultati delle denunce di Las Casàs furono l’emanazione delle Leyes Nuevas, le quali riformularono l’istituto dell’encomienda coloniale. Inoltre bisogna ricordare che tali denunce si poggiavano su una visione moderna, la quale descriveva in modo nuovo la figura degli indiòs.
Quest’ultimi per Las Casàs non erano più degli animali da sfruttare, come l’interpretazione classica sosteneva, ma degli esseri umani raziocinanti come gli spagnoli. Questo rapporto di uguaglianza è il principio sul quale si basavano le denunce di Las Casàs, che sembra puntare alla sola difesa della dignità umana degli indiòs.
Ma è questo il suo vero obiettivo? Chi sono questi “spagnoli” che genericamente denuncia il frate domenicano? E poi la riforma dell’encomienda coloniale a cosa puntava davvero?
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Bartolomè de Las Casàs: convertito sulla via di Hispaniola
Bartolomé de Las Casàs nasce a Siviglia nel 1484 dal mercante Pedro. Il lavoro di quest’utlimo permetterà al figlio di fare degli incontri sensazionali. Per esempio, il 31 marzo del 1493 il piccolo Bartolomè conosce Cristoforo Colombo (il famoso ammiraglio genovese scopritore del nuovo mondo).
Negli anni giovanili Las Casàs studia a Siviglia e decide di seguire la vocazione paterna, diventando anch’egli un mercante attivo nel nuovo mondo. Difatti nel 1502 è al seguito di Nicolas de Ovando, il quale fu il primo governatore di Hispaniola. Su quest’isola, come gli altri connazionali, Las Casàs tenterà di accaparrare ricchezze ai danni degli indiòs.
Ma a causa di questa terrificante esperienza, come lui la definì più tardi, visse una conversione alla “san Paolo”: da persecutore divenne difensore degli indiòs. Dunque decise di prendere gli ordini sacri e di ritornare da missionario nel nuovo mondo. Qui partecipa all’attività del frate domenicano Anotnio De Montesinos, primo accusatore delle atrocità spagnole contro gli indiòs.
Sull’esempio di questo carismatico missionario, Las Casàs denuncia i soprusi contro gli indiòs. Inizia questa attività con un atto simbolico: libera alcuni schiavi indigeni ottenuti tramite rapartimiento (istituto che obbligava gli indiòs a lavorare come schiavi).
Poi prosegue nel testimoniare in Europa le condizioni miserevoli dei nativi americani, ma fallisce diverse volte. La prima volta l’improvvisa morte del Re Ferdinando il Cattolico gli vieterà un orecchio attento. Invece nel 1518 furono senza successo le proteste fatte al governatore di Spagna Francisco Jiménez de Cinseros e del delegato reale Adriano di Utrecht (futuro papa Adriano VI).
I primi risultati delle denunce di Las Casàs: gli interventi di Carlo V e Paolo III
Bartolomè vedrà qualche risultato della sua opera di denuncia solo nel 1520, quando nel presentare lo stato delle cose nel nuovo mondo riceve l’attenzione del Re-Imperatore Carlo V [ndr. ricordiamolo, quest’ultimo era contemporaneamente nipote di Ferdinando e Isabella di Castiglia e Aragona, nipote dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, figlio di Giovanna la Pazza e Filippo d’Asburgo].
Il risultato delle lamentele di Las Casàs a Carlo fu l’emanazione delle capitulaciones, le quali avviarono la colonizzazione “felice”(ovvero sotto controllo della corona e senza massacri indiscriminati) delle Terre Firme [ndr. attuali Colombia, Venezuela e Guyana].
Nel 1522 continua l’attività missionaria nelle Indie occidentali entrando a far parte dell’Ordine dei Predicatori e scrive alcune opere a favore degli indiòs. Ricoridamo per esempio l’Historia de las Indias scritta nel 1527 e la Carta al Consejo de Indias, pubblicata nel 1531. Nel frattempo papa Paolo III pubblica la Sublimis Deus, una bolla papale nella quale riconosceva piena uguaglianza ai figli di Dio, siano essi indiòs che europei.
Le indicazioni papali rafforzarono le denunce del frate domenicano. Quest’ultime avranno un effetto determinante nella pubblicazione delle Leyes Nuevas, emanate da Carlo V nel 1542 (stesso anno in cui fu redatta la Brevìsima relaciòn de la destrucción de las Indias). Sembrarono un vero e proprio adattamento alla morale cattolica che era stata fissata dal Papa, ma in realtà regolamentarono l’istituto dell’encomienda coloniale.
Però, prima di esplorare gli effetti delle Leyes Nuevas, vanno analizzate le denunce contenute nella Brevisima relaciòn.
Le denunce di Las Casàs: la Brevissima Relazione
La Brevissima relacion riporta diversi casi di sfruttamento degli indiòs operati dagli “spagnoli” nel nuovo mondo scoperto da Colombo nel 1492.
La peculiarità di questi reportage è l’indefinizione. Parlano dei massacri degli indiòs nell’ordine delle migliaia, delle centinaia di migliaia, dei milioni, citando pochissimi casi particolari. Tale modus operandi dà un preciso carattere alle fonti: si vuole parlare dei massacri, degli sfruttamenti, delle azioni crudeli, magari indicandone i responsabili, ma non degli indiòs nel particolare come afferma Todorov[ndr. autore de “La conquista dell’America. Il problema dell’altro”, 1982].
Inoltre il modulo delle denunce è sempre identico: non c’è un motivo valido che giustifica le azioni degli spagnoli, è sempre il diavolo (inteso come irrazionalità assoluta) che invade il loro spirito e che li spinge a queste crudeltà,motivate forse dalla sola cupidigia e ricerca di arricchimento. Tali desideri venali spiegherebbero perché gli indiòs venissero sistematicamente sfruttati come schiavi, utili magari per l’estrazione di minerali preziosi o come animali da soma per il trasporto di derrate, viveri o altre risorse.
Insomma lo scenario che appare dalle denunce è questo: Dio ha regalato agli spagnoli un paradiso, in cui vivono persone buone e pazienti, ma loro lo stanno trasformando in un inferno a causa del proprie intenzioni malvagie. Questo modulo si può comprendere meglio se si leggono i racconti riportati da Bartolomé de Las Casas. Per esempio si può scegliere la denuncia relativa alle Terre Firme.
Il caso delle Terre Firme
Las Casàs in questo racconto riferisce delle azioni del governatore Pedro Dàvila e dei suoi assistenti. Dàvila, nato a Segovia nel 1443, proveniva da una nobile famiglia ed era un importante cavaliere impegnato nei tornei medievali. Nel 1513 per ordine della corona venne nominato governatore delle Terre Firme.
Da questi dati si può affermare che Dàvila sia uno di quegli esponenti dell’aristocrazia feudale, che durante il periodo delle esplorazioni si lanciarono alla scoperta di nuovi territori per la maggior gloria di Dio, della corona spagnola e del proprio arricchimento.
Ma la cosa che colpisce di questo racconto, come di altri, è l’indignazione di Las Casàs rivolta non solo contro l’eccessiva crudeltà e aggressività con le quali veniva imposta la disciplina agli indiòs, ma sopratutto contro l’estrema autonomia attraverso la quale venivano gestite le risorse spettanti alla corona:
“A quel tempo rubarono in quel regno (a quanto posso giudicare) oro per più di un milione di castigliani, e credo che questa cifra sia inferiore al vero, e di tutto quell’oro rubato non ne inviarono al re che tremila castigliani”.
Inoltre Las Casàs riporta la partecipazione di altre figure a tali ruberie. Per esempio uomini inviati dal re o sottoposti alla sua autorità (come il caso dei vescovi e degli ecclesiastici sottoposti alla “protezione sovrana”).
Quindi l’intenzione di Las Casàs non è solo di denunciare la semplice ferocia senza limiti degli “spagnoli” (che sono da intendere come i conquistadores, gli ecclesiastici e diversi funzionari impegnati nella gestione dei territori conquistati).
Il suo scopo è anche un altro: vuole mostrare a Carlo V che gli esponenti dell’aristocrazia feudale e della chiesa spagnola, per legge sottoposti alla sua autorità, una volta giunti in America facevano quello che volevano.
Las Casàs svela la verità: l’aristocrazia nel nuovo mondo è troppo autonoma
La libertà dei diversi esponenti dell’aristocrazia feudale nel nuovo mondo era possibile perché un controllo capillare difficilmente poteva esercitarsi così lontano. Con denunce come questa Las Casàs mostrò al mondo l’incapacità della monarchia spagnola di tenere a freno i suoi nobili e la sua chiesa.
Altri fatti che rafforzano questo quadro sono le modalità con le quali avvenne la conquista dei territori americani:
Hernan Cortès quando diede inizio alla conquista del Messico, nel momento in cui sbarcò a Vera Cruz, oltre a distruggere la navi, fondò una municipalità in loco. Questo gli permise di rassegnare l’incarico ricevuto dal governatore di Cuba Diego de Velàzquez de Cuéllar ai magistrati della municipalità locale.
Questi ultimi, infatti, in quanto rappresentanti di una municipalità spagnola erano anche rappresentanti della corona, e dunque potevano affidargli in nome del Re nuovi incarichi: uno su tutti l’autonomia nella gestione delle nuove terre scoperte e conquistate nel continente messicano. Però -dettaglio da non dimenticare- dopo l’investitura dalla municipalità Cortés decide di inviare una lettera di ratifica all’imperatore Carlo V.
Il caso di Cortès come quello di Dàvila dimostrano che i conquistadores reputavano la nomina reale solo come una “giustificazione”. In altri termini la consideravano solo come la benedizione della corona a fare delle terre scoperte quello che volevano. Dunque non la intesero come un incarico nel senso moderno, dove i limiti e le competenze sono ben definiti ed inquadrati in una struttura burocratica.
Siamo difronte al classico conflitto tra aristocrazia feudale e potere monarchico centrale, nel quale contesto si deve inserire l’attività di Las Casàs e delle sue denunce.
“Tutti i figli di Dio sono uguali”. Dunque nessuno è diverso davanti al Re
La condizione di uguaglianza che Las Casàs e la morale cristiana moderna sostengono (vedesi la Sublimis Deus di Paolo III) tra indiòs e spagnoli che cosa vogliono evidenziare?
Innanzitutto la mancanza di distinzioni. Questo comporta un vero e proprio appiattimento delle differenze, reso possibile sul piano legislativo da una sola persona: il Re.
Se inseriamo le denunce di Las Casàs nel contesto dello scontro tra aristocrazia feudale e potere monarchico, si può dedurre che la visione moderna, sulla quale si basano le denunce dei massacri contro gli indiòs, in realtà è quella che giustificava l’esistenza del potere centrale nell’età moderna: era fondato sul Re, in quanto quest’ultimo veniva scelto direttamente da Dio.
È possibile l’associazione delle ideologie: “tutti i figli di Dio sono uguali” e “la monarchia di diritto divino”?
Sì, perché se gli indiòs e gli spagnoli, in quanto figli di Dio, sono uguali, allora dato che la loro uguaglianza dipende dalla volontà divina, da quest’ultima dipende anche il loro giudizio (ovvero il regolamento dei rapporti tra di loro). Ovviamente, per chiara associazione dei concetti sopracitati, poteva essere chiamato solo una persona a giudicare tra di loro, una persona scelta da Dio ovviamente: il monarca.
Dunque, ammettere una condizione di uguaglianza tra spagnoli e indiòs almeno sul piano della fede, rafforzava ulteriormente la legittimità della Corona nell’intervenire nel nuovo mondo come magistratura autorizzata direttamente dall’Onnipotente.
Le Leyes Nuevas: riformare la degenerazione dell’encomienda
Se queste sono le fondamenta che giustificano la centralità della corona nella gestione delle colonie americane, gli effetti di queste affermazioni teologico-politiche si vedranno nella legislazione: l’emanazione delle Leyes Nuevas.
Esse riformularono l’istituto medievale dell’encomienda, che in origine fu usato dai sovrani castigliani per facilitare la gestione dei territori sottratti ai musulmani durante la reconquista. Nell’epoca medievale essi assegnavano alcuni territori di confine alla protezione di diversi ordini militari e tali terreni venivano gestiti dagli encomenderos. Questi ultimi prendevano sotto la loro tutela la popolazione residente nel territorio affidatogli e in cambio gli abitanti davano loro dei tributi di vario genere.
Nel XVI secolo tale istituto fu applicato al contesto coloniale e regolò i rapporti tra spagnoli e indiòs. Se nella struttura rimaneva simile all’istituto medievale, vari fattori agirono a favore della sua degenerazione: uno su tutti il poco controllo del potere regio.
Agli inizi dell’assoggettamento del nuovo mondo (1492-1542) i sovrani spagnoli sfruttarono l’encomienda per assicurarsi una rapida espansione coloniale. Ma col tempo si accorsero che i conquistadores inviati in quei luoghi stavano fondando dei regni personali e autonomi, potenzialmente minacciosi per la Corona.
I fondamenti del centralismo spagnolo nel nuovo mondo: le disposizioni delle Leyes Nuevas
Quando Carlo V si decise a promuovere una legislazione di tutela degli indiòs più chiara rispetto alle precedenti leggi di Burgòs (emanate nel 1512 e che stabilirono un primo diritto degli indiani), in realtà pensò bene di tutelare la monarchia contro la ripresa dell’aristocrazia feudale.
Basta leggere poche righe delle Leyes Nuevas per accorgersi che, oltre ad essere ribaditi i fondamenti cristiani dell’imperialismo spagnolo, veniva riaffermata con decisione la centralità del potere regio nella gestione delle colonie.
Esse che cosa stabilivano?
Innanzitutto la non concessione di nuove encomiendas; e ciò rappresentò la limitazione di un fenomeno andato fuori controllo. Inoltre ordinavano l’ereditarietà della funzione di encomenderos (ciò comportava l’esclusiva trasmissibilità della carica ai figli, senza che essa potesse essere ceduta a persone esterne al gruppo familiare) e il divieto di assegnazione dell’encomendia ai funzionari della corona (ciò tutelava la libertà della corona nello scegliere gli elementi costitutivi della burocrazia che doveva reggere il fardello dell’impero).
Quindi l’importanza di questi provvedimenti e la reazione della corona spagnola alle denunce di Las Casas possono essere comprese solo se si contestualizzano i casi dei conquistadores e delle encomienda all’interno di quel fenomeno di lunga durata che è il processo di formazione degli stati moderni, i quali permettevano poco spazio d’autonomia alla nobilità e chiesa locali.
Carlo V imbarazzato da Las Casàs
Le fonti ricordano un Carlo V imbarazzato dalle denunce di Las Casàs. Questo disagio era conseguenza dell’azione del frate domenicano, che non faceva altro che ricordargli una cosa: la monarchia spagnola ha dei punti deboli.
Nel vecchio mondo l’aristocrazia feudale era stata una fonte di preoccupazione per i re cattolici Ferdinando e Isabella, i quali sono ricordati anche per aver riportato la nobiltà all’obbedienza. Dagli strati sociali più bassi di questa nobiltà provennero molti conquistadores, che trasportarono l’ideale di autonomia dal potere regio nelle colonie americane.
Quindi questa fuga di notizie, rappresentata dalle denunce di Las Casàs, mostrava l’esistenza di strascichi del conflitto tra corona e aristocrazia feudale. Carlo V doveva smorzare qualsiasi tentativo di autonomia aristocratica, riportando i vasti territori occupati dai conquistadores sotto il controllo pervasivo della burocrazia regia.
Esito felice di questo processo fu il regno di Filippo II, il monarca che gestiva il suo vasto impero coloniale tramite lettere, missive e dispacci.
In conclusione, le denunce di Las Casàs dimostrarono al mondo una situazione di ampia libertà nobiliare nelle Americhe spagnole; l’autonomia dei conquistadores non poteva che essere una minaccia per la monarchia spagnola; e quest’ultima vedeva macchiata indelebilmente la propria immagine nel mondo dal disastro umano rappresentato dalla morte di milioni di indiòs.
Niccolò Maria Ricci
Bibliografia
B. De Las Casas, “Brevisima relaciòn de la destrucción de las Indias”, edz. it. a cura di Paolo Collo, 1992, [Edizioni Cultura della Pace].
T. Todorov, “La conquista dell’america. Il problema dell’altro”, edz. ita., 2018, Einaudi.
Rafael Altamira, Spagna, 1412-1516, in Storia del mondo medievale, vol. VII, 1999, pp. 546–575.
J. H. Parry, Spaniards in the New World, in The New Cambridge Modern History, vol. I, 1953, pp. 430-444.