Matilde di Canossa: la storia della contessa medievale

Vissuta nell’Italia segnata dagli scontri fra l’Impero e la Chiesa, la grancontessa Matilde di Canossa emerse come la più potente signora dell’XI secolo.

Ella fu capace di determinare con la sua azione storica le sorti della Chiesa, che, trovandone irrinunciabile il protagonismo, sospese nei suoi confronti la sua tradizionale misoginia, e ne esaltò piuttosto l’aspetto di donna attiva nelle vicende del mondo.

L’erede degli Attoni

Nata nel 1046, Matilde fu l’ultima erede della dinastia degli Attoni, signori del castello di Canossa nell’appennino reggiano, riusciti nel giro di un secolo e mezzo – fra conquiste, alleanze e legami vassallatici con l’imperatore e il papa – a controllare un vasto territorio che andava da Verona alle Alpi e dalla Toscana alla Romagna.

Questo eccessivo potere rese il conte Bonifacio, padre di Matilde, inviso all’imperatore Enrico IV, che fu forse dietro la sua morte improvvisa nel 1052. La vedova, Beatrice di Lorena, corse ai ripari risposandosi in fretta con il più feroce dei nemici dell’imperatore, Goffredo il Barbuto, duca dell’Alta Lorena.

Qualche anno dopo, la stessa Matilde dovette sposarne il figlio, avuto in un precedente matrimonio, dal non lusinghiero nome di Goffredo il Gobbo. La giovane sposa resistette due anni. Poi lasciò la Germania e non vi fece più ritorno, nonostante i tentativi più o meno imperiosi del Gobbo di riportarla indietro.

La contessa italiana

Tornata in Italia, e morta la madre nel 1076, Matilde assunse il ruolo di governante dei beni di famiglia (nei documenti si firma comitissa e ducatrix, contessa e duchessa).

Il suo vero desiderio sarebbe stato il ritiro dal mondo, mettendosi definitivamente al riparo dalla condizione matrimoniale che non le era congeniale. Ma i suoi consiglieri, fra cui papa Gregorio VII, la invitarono a dedicarsi piuttosto alla vita attiva, che era quella di cui ritenevano Dio avesse bisogno in quel momento storico.

Oltre allo scontro di autorità fra Impero e papato, si consumava, infatti, anche una tensione interna alla Chiesa fra un partito conservatore che voleva mantenere il carattere politico delle cariche ecclesiastiche, e un partito riformista (di cui il papa era espressione) che voleva districarsi dall’ingerenza di ogni potere secolare per affermare il proprio, come alternativo e superiore.

La signora di Canossa

La situazione precipitò nel 1075 quando papa Gregorio fu vittima di un attentato. L’anno successivo, alla dieta imperiale di Worms, l’imperatore lo dichiarò decaduto in quanto eretico e lussurioso, indicando in Matilde, fuggita dal marito, la sua amante.

La reazione immediata del partito romano fu la scomunica dell’imperatore e l’assassinio di Goffredo il Gobbo; poi, grazie alla mediazione di personaggi importanti, si giunse ad un incontro fra le due parti, che avvenne proprio nella fortezza di Canossa. Dopo tre giorni di penitenza a piedi scalzi nella neve, l’imperatore Enrico fu ammesso alla presenza di Gregorio, che lo reintegrò nella Chiesa. Fu una sottomissione (o, come la intesero poi gli storici tedeschi, un’umiliazione) necessaria, altrimenti i giuramenti dovutigli dai vassalli non sarebbero stati più vincolanti.

Miniatura in cui Ugo di Cluny media fra Matilde e Enrico IV
L’episodio di Canossa in una miniatura dalla Vita Mathildis di Donizone: Ugo, abate di Cluny, media fra il supplice Enrico e Matilde. Papa Gregorio viene omesso dalla scena: l’episodio di Canossa per il monaco partigiano è una vittoria politica della contessa.
(Cod. Vat. lat. 4922)

Eppure non fu molto più che una messa in scena. Qualche mese dopo i principi ribelli all’imperatore tentarono di eleggerne uno nuovo e l’imperatore di rimando elesse un proprio antipapa. In Italia scoppiò la rivolta dei cittadini lombardi fedeli ad Enrico che attaccarono gli eserciti di Matilde a Volta, mentre lei era impegnata ad assediare di Ravenna.

L’anno successivo (1081) Enrico stesso scese in Italia e assediò Roma. Matilde attuò una strategia attendista, ritirandosi sull’appennino tosco-emiliano a rafforzare i suoi castelli, in vista di una guerra d’assedio che sapeva di poter vincere, a differenza di quella in campo aperto.

Papa Gregorio e i romani resistettero all’assedio fino al 1084, quando infine Enrico entrò in città e insediò Guiberto, vescovo di Ravenna, quale antipapa con il nome di Clemente III, da cui si fece anche incoronare. Chiuso in Castel Sant’Angelo, Gregorio fu salvato solo dal provvidenziale arrivo dei Normanni di Roberto il Guiscardo, che lo portò con sé a Salerno, dove morì nel 1085.

Matilde di Canossa leader riformatrice

Matilde rimase quindi la sola leader degli ecclesiastici riformisti e dei signori tedeschi avversi ad Enrico. Evitando ancora l’attacco diretto, lasciò che gli imperiali controllassero tutte le terre oltre il Po, tranne le fortezze di Nogara e Piadena. «Ma non per questo abbandona la contessa il suo zelo pel papa, pur se tanto mal le procura. Ella andava sicura per le contee di Modena e Reggio rafforzando i propri castelli e non disperava di battere un giorno il sovrano. Ne scopriva ogni giorno di più le abitudini ed i percorsi, così da sapere in ogni istante dove andava il malvagio e quanti soldati aveva con se»1, ci informa il monaco Donizone, appartenente alla cerchia canossiana, nel suo poema dedicato a Matilde.

Una seconda importante sconfitta si abbatté sulle truppe della contessa a Tricontai, nel padovano, a cui seguì un’offerta di pace in cambio del riconoscimento di Clemente III come papa. Pressata dai suoi vassalli, Matilde convocò allora un concilio nel castello di Carpineti per decidere sul da farsi. Tutti si trovarono d’accordo ad accettare l’offerta di Enrico, ma un’eremita di nome Giovanni riuscì a convincere la contessa a resistere appellandosi alla Provvidenza divina.

Enrico marciò dunque direttamente su Canossa, mentre Matilde divise le sue truppe, attuando una strategia a tenaglia. L’assedio risultò comunque impossibile alle truppe imperiali che furono sommerse dalle frecce e sbandate da una provvidenziale nebbia che si alzò fitta. Il fallito assedio segnò l’inizio delle sfortune di Enrico e la ripresa di Matilde.

Che, nel frattempo, sotto l’insistenza del nuovo papa Urbano II, si era vista imporre un nuovo marito, inadeguato come il precedente, ma dei cui soldati non poteva far a meno. Si trattava del sedicenne Guelfo IV di Baviera, detto già allora il Pingue per la sua obesità. Ci si sbarazzò comunque presto anche di costui: terminata la sua utilità, fu rispedito in Baviera senza tanti complimenti.

La vittoriosa

Matilde si prese anche la sua rivincita sulla dieta di Worms, che aveva insinuato fosse stata l’amante del papa: l’imperatrice Prassede, che Enrico teneva prigioniera a Verona, fu liberata dagli uomini della contessa, e al concilio di Piacenza (1095) rese pubbliche le perversioni sessuali dell’imperatore, infangandone la reputazione. A completare il quadro, anche il principe ereditario Corrado si ribellò ad Enrico e si rifugiò in territorio matildico, dove rimase fino alla morte.

Vinta la guerra contro Enrico – che si ritirò in Germania senza riuscire ad ottenere nulla dopo la débâcle di Canossa – nell’ultimo scorcio della sua vita, l’anziana grancontessa dovette fronteggiare la ribellione delle città, per via diplomatica o con assedi.

Il caso più eclatante fu quello di Mantova: appena circolò la falsa della notizia della sua morte, i mantovani bruciarono il vicino castello di Rivalta, simbolo dell’autorità signorile. Riavutasi e venendo a sapere ciò, Matilde si pose alla guida di un contingente e meditò di bruciare la città. I ribelli, usciti dalle mura, «timidi, si presentarono a chieder[le] perdono»2.

Nel 1106, ormai isolato e deposto, moriva Enrico. Il suo successore, Enrico V, riallacciò i rapporti con il papato e reintegrò Matilde dei suoi titoli, facendosi designare suo erede, in quanto suo parente più prossimo.

Nel 1110 si spense Matilde, a sessantanove anni, senza rimpianti e consapevole di aver adempiuto efficacemente ai suoi doveri di alleata del papa, vassalla dell’imperatore e signora di mezza Italia. Il suo ricordo non venne meno nei territori del suo dominio, che ancora oggi si fregiano di castelli e percorsi connessi all’illustre signora, né nella considerazione della Chiesa, che nel XVII secolo fece traslare i suoi resti in Vaticano, dove tuttora riposano in un sarcofago realizzato da Gian Lorenzo Bernini.

Matilde di Canossa: ufficiale e gentildonna

Gli storici, pur riconoscendo l’eccezionale azione politica di Matilde di Canossa, a lungo non ne hanno considerato l’aspetto più strettamente militare, sebbene per quarant’anni si occupasse più che altro di spostare eserciti e rafforzare fortezze. Il coevo Bernoldo di Costanza, monaco riformista, la definì giustamente «il più prudente capo di guerra e più fedele soldato di san Pietro»3.

Lamentando questo disinteresse, David Hay nel 2008 ha dedicato un’intera ricerca alla leadership militare di Matilde, fatta di carisma, velocità, mobilità e tenacia. Non era forse la vita che una donna così pia sperava per sé, nondimeno ella si ritrovò a passare il tempo in consigli di guerra, finendo col meritarsi la fama di una potente signora che era meglio non provocare.

A inficiare questo aspetto guerriero fu d’altronde lei stessa che, fra tutti i numerosi titoli a disposizione, nei documenti preferisce firmarsi solo come “Matilda dei gratia si quid est”, “Matilde per grazia di Dio se è qualcosa”.

Si è molto scritto su questa autodenominazione: un’incertezza identitaria dovuta ai molteplici titoli o il segno di umiltà? Probabilmente un momento di verità in cui esprimeva la sua indifferenza verso il proprio stato ufficiale e di fierezza: «chiamatemi come volete, poteva voler dire, io comando»4, sottraendosi a ogni controllo terreno.

Firma autografa di Matilde di Canossa
Firma autografa di Matilde, dei gratia si quid est.,
(Notitia Confirmationis (Prato, Giugno 1107), Archivio Storico Diocesano di Lucca, Diplomatico Arcivescovile, perg. ++ I29)

La sua militanza politico-religiosa la portò ad invischiarsi in una guerra dai molteplici significati, in cui si combatté con tutte le armi, incluso il gossip. Per il circolo imperiale fu facile attaccarla: bastava dire che era una donna e, seguendo il vecchio adagio e secoli di letteratura misogina classica e cristiana, già questo era un danno; per di più era una donna che comandava e viveva sola, non associata ad un marito o figlio.

Matilde dal canto suo poté difendersi grazie a polemisti, canonisti e giuristi che giustificarono le sue imprese e la salutarono come prototipo del miles Christi – il soldato di Cristo, a cui tutto era concesso, perché nella guerra contro l’Anticristo tutto era messo in gioco – e come una virago – donna con positivo spirito virile – per cui non valevano le regole applicate alle donne comuni. Rangerio di Lucca non resistendo al fascino classico ne parlò in questi termini:

Come Pentesilea, del genere delle Amazzoni

[Matilde] dispone le sue truppe alla guerra e sta alla loro testa;

non la fiaccano le notti e il freddo

né le intemperie le fanno abbandonare i suoi.5

Dall’Inghilterra, Guglielmo di Malmesbury, parimenti commentò che «dimentica del suo sesso e comparabile alle Amazzoni antiche, era solita porsi alla testa delle sue ardite truppe in battaglia 6.

Per quanto ne sappiamo, Matilde non combatté in prima persona, ma spesso si trovò a vivere la vita militare al seguito dei suoi uomini, condividendone i rigori, spostandosi con le truppe da una fortezza all’altra in un vasto territorio, presentandosi minacciosamente alle porte di città ribelli, offrendo una scorta per il papa o l’imperatore, oltre a occuparsi ovviamente dell’aspetto strategico-logistico in consiglio di guerra.

Abbiamo quindi buoni motivi per immaginarla a cavallo in cotta di maglia, ma nessuno per farle usare direttamente la spada. Tanto più che grosse battaglie non ce ne furono nella sua carriera, come in quella di molti signori maschi dell’epoca, ma solo assedi e tafferugli a sorpresa.

«Molte rocche possiede inespugnabili, è amata da molti, e sa difendere ville e castelli»7, e se riuscì a resistere a tutte le sconfitte fu proprio per l’invincibilità delle sue numerose fortezze che, a differenza delle città, vogliose di farsi Comuni autonomi, le rimasero fedeli. Questa solidità della pietra parve comunicarsi alla loro padrona: «com’è saldo il diamante, così la Contessa fu salda nei tanti travagli che s’abbatteron su di lei in quegli anni»8.

Nella breve e bella biografia che Vito Fumagalli le dedicò nel 1996, di Matilde è sottolineato il grande potere e la grande solitudine, sebbene si indulga un po’ troppo alla dolcezza – segno di una storiografia datata nei confronti delle donne. Più che altro, la gran contessa emana severità, costanza e disciplina. Fu una teutonica madre superiora, non una madre mediterranea, che fino alla fine assolse al suo “divino” servizio.

“Mutan così le vicende”, disse Matilde, “ora vinci, ora perdi,

ma è il valore ostinato a decretar la vittoria”.9


  • 1  Donizone, Vita Mathildis, II, vv. 562-568.
  • 2  Donizone, Vita Mathildis, II, v. 1342.
  • 3  Bernoldo di Costanza, Chronicon in MHG SS, vol. 5, p. 433.
  • 4  Rosalind Jaeger Reynolds, “Reading Matilda: the self-fashioning of a duchess” in Essays in Medieval studies, vol. 19, 2002, p.9.
  • 5  Rangerio di Lucca, Vita Anselmi, vv. 3679-3684.
  • 6  Guglielmo di Malmesbury, Gesta regum Anglorum, pp.467-468.
  • 7  Donizone, Vita Mathildis, II, vv. 207-208.
  • 8  Ibidem, II, vv. 483-484.
  • 9  Ibidem, II, vv. 598-599.

BIBLIOGRAFIA

BERNOLDO DI COSTANZA, Chronicon in Monumenta Germaniae Historica (MGH), S. rer. Germ, N.S., vol. 14.

DONIZONE, Vita Mathildis o De principibus Canusinis (edizione moderna: Vita di Matilde di Canossa, a cura di Paolo Golinelli, Jaca Book, 2008).

FUMAGALLI Vito, Matilde di Canossa. Potenza e solitudine di una donna del Medioevo, Il Mulino, 1996.

GOLINELLI Paolo, L’ancella di San Pietro. Matilde di Canossa e la Chiesa, Jaca Book, 2015.

GOLINELLI Paolo, Matilde e i Canossa, Mursia, 2004.

GUGLIELMO DI MALMESBURY, Gesta regum Anglorum (edizione inglese moderna: William of Malmesbury, Chronicle of the kings of England, a cura di J. Sharpe, London: Bohn, 1847).

HAY David J., The Military Leadership of Matilda of Canossa, 1046-1115, Manchester University Press, 2008.

JAEGER REYNOLDS Rosalind, “Reading Matilda: the self-fashioning of a duchess” in Essays in Medieval studies, vol. 19, 2002.

RANGERIO DI LUCCA, Vita Anselmi in MGH (SS), vol. 30/2.

Luciana A. Manzella